Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 19-05-2010) 01-07-2010, n. 24865 BANCAROTTA E REATI NEL FALLIMENTO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Propone ricorso per cassazione F.P. avverso la sentenza della Corte di appello di Roma in data 4 dicembre 2008 con la quale è stata confermata quella di primo grado (in data 22 novembre 2005), affermativa della sua responsabilità in ordine ai reati di cui ai capi F) ed F1), ossia quelli di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e nella forma anche preferenziale, nonchè bancarotta fraudolenta documentale, relativi al fallimento della Jolly Pack srl, dichiarato con sentenza del 14 luglio 1995.

Il F. era stato chiamato a rispondere dei detti reati quale amministratore formale fino al (OMISSIS), anche in concorso con il coimputato L. (nei confronti del quale la sentenza di appello è divenuta definitiva), a sua volta amministratore nel periodo immediatamente successivo e cioè dal (OMISSIS).

La distrazione che veniva imputata al ricorrente era quella relativa a somme presenti sul conto corrente acceso dal medesimo a nome della società nell'(OMISSIS), ed era consistita nel pagamento preferenziale di alcuni debiti verso dipendenti e fornitori nonchè, fino all'(OMISSIS), anche in vere e proprie distrazione mediante emissioni di assegni non contabilizzati.

Deduce:

1) la erronea applicazione delle norme sulla prescrizione.

La Corte aveva negato tale beneficio senza tenere conto che la nuova e più favorevole disciplina introdotta con L. n. 251 del 2005 era da ritenere applicabile al ricorrente in ragione del fatto che alla data di entrata in vigore della legge il processo doveva reputarsi non ancora pendente in grado di appello. Tale situazione si era prodotta infatti non prima del 30 marzo 2006, quando era stato formalizzato l’appello.

2) la inosservanza degli artt. 191, 407, 430 e 431 c.p.p..

Era stata dedotta in appello la inutilizzabilità del verbale di constatazione della Guardia di finanza che era stato acquisito agli atti del processo solo in udienza ai sensi dell’att. 234 c.p.p. e nemmeno in forma originale.

Tale atto, in realtà redatto nel dicembre 1996, non era dunque presente nel fascicolo del PM e, ciò nonostante, la parte pubblica aveva articolato un mezzo di prova (l’audizione del M.llo P.) destinato proprio a rievocare gli accertamenti che erano stati consacrati nel detto verbale.

Tale teste aveva poi, nel corso della sua deposizione, fatto riferimento proprio al tenore del verbale e la difesa, per i motivi esposti, aveva eccepito la inutilizzabilità del verbale medesimo.

Il Tribunale aveva replicato osservando che il verbale atteneva al genere degli atti amministrativi e non a quelli di PG, mentre lo sviluppo della istruttoria dibattimentale aveva svelato la esatta natura del verbale, che era quella di evidenziare proprio fatti aventi rilevanza penale. Del resto tale natura era tradita anche dal rilievo che gli accertamenti della GdF avevano avuto origine da una sollecitazione del PM. La conseguenza della condotta processuale descritta era la inutilizzabilità degli atti non trasmessi alla Procura come affermato dalla giurisprudenza di legittimità (sent. n. 4707 del 1999 ed altre).

D’altra parte la mancata ostensione dei risultati della attività della GdF all’imputato e alla difesa aveva grandemente nociuto agli interessi del primo, dovendosi rilevare che l’esame del M.llo P., nel (OMISSIS), era avvenuto senza che la difesa potesse avere a disposizione il verbale al quale egli, nel corso dell’esame, continuava a far riferimento.

La detta inutilizzabilità discendeva dalla violazione degli artt. 416 e 431 (sugli atti irripetibili). Discendeva anche dall’art. 407 c.p.p., in quanto l’atto di indagine era stato compiuto nel (OMISSIS), dopo la scadenza del termine di un anno per la durata massima delle indagini preliminari.

Inoltre, anche in relazione alla semplice rievocazione del contenuto del verbale, realizzata attraverso la deposizione del teste P., era configurabile una nullità per violazione dei diritti difensivi. Infatti se la parte fosse stata portata a conoscenza del contenuto di tale verbale, avrebbe potuto valutare se accedere ad un rito alternativo.

3) la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

Il tenore della imputazione rendeva evidente che al ricorrente era stata attribuita la distrazione in relazione al periodo nel quale egli era stato amministratore legale della società. Non vi era invece menzione di un suo supposto ruolo di amministratore di fatto, continuato dopo la cessazione della carica formale. Ed invece la distrazione delle somme acquisite tramite emissione di assegni era stata addebitata proprio sul presupposto ed in relazione al fatto che egli avesse agito quale amministratore di fatto. Era stata pretermessa la valutazione di un allegato alla relazione della Gdf dal quale emergevano i più limitati importi presuntivamente sottratti dal ricorrente.

4) il vizio di motivazione.

Riguardo alla bancarotta fraudolenta documentale la Corte aveva omesso qualsivoglia motivazione.

Riguardo alla bancarotta per distrazione e preferenziale, la parte aveva eccepito nei motivi di appello che mancavano agli atti i verbali di sequestro della documentazione bancaria su cui era stato fondato il giudizio di responsabilità. Sul punto era stata ritenuta sufficiente la ricostruzione e, quel che era più grave, la valutazione del M.llo P..

In secondo luogo la Corte aveva omesso di considerare le destinazioni date ai denari asseritamente sottratti, in realtà destinati a pagare i debitori e al funzionamento della impresa.

Era stata contestata anche la esistenza del dolo specifico del reato di bancarotta preferenziale senza ricevere risposta.

Il ricorso è fondato nei termini che si indicheranno.

Il primo motivo di ricorso va risolto, con declaratoria di infondatezza, alla luce della sentenza delle Sezioni unite che ha preso posizione sul contrasto delineatosi in materia ed evidenziato dal difensore.

Ha osservato il Supremo collegio, con pronuncia che si condivide appieno essendo stata anche preceduta da analoga produzione giurisprudenziale di questa Sezione Quinta, che ai fini dell’operatività delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado determina la pendenza in grado d’appello del procedimento, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme più favorevoli (Sez. U, Sentenza n. 47008 del 29/10/2009 Ud. (dep. 10/12/2009) Rv. 244810). Facendosi rinvio alle argomentazioni illustrate in tale approdo giurisprudenziale, integralmente da sottoscrivere, si osserva che nella specie la Corte si è uniformata proprio ai principi in questione ed ha fondatamente negato la declaratoria di estinzione dei reati in quanto trova applicazione nella fattispecie in esame la disciplina anteriore alla novella del 2005. La prescrizione per i reati di cui si tratta è destinata a maturare, con riferimento alla ipotesi meno grave di bancarotta preferenziale, non prima del 2017. Invero, anche per tale ultima fattispecie, le attenuanti generiche concesse non hanno determinato una pena inferiore a cinque anni, in quanto sono state bilanciate dalla aggravante, contestata in fatto, e derivante dalla cirostanza della pluralità dei fatti di bancarotta (art. 219 L. Fall.).

Il secondo motivo è inammissibile.

Giova muovere dalla premessa che, come evidenziato anche dalle Sezioni unite di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, la incidenza di ciascuno di essi sul complessivo compendio indiziario o probatorio già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato (vedi Sez. U, Sentenza n. 23868 del 23/04/2009 Cc. (dep. 10/06/2009 ) Rv. 243416).

Nella specie la parte ha articolato un complesso motivo di ricorso volto ad illustrare le pretese ragioni di inutilizzabilità del verbale della GdF e delle eventuali nullità collegate alla avvenuta utilizzazione del relativo contenuto, ma non ha indicato quale fosse il detto specifico contenuto e, segnatamente, quale prova fosse stata tratta dalla denunciata attività processuale. L’omissione è decisiva ai fini della individuazione della causa di inammissibilità del motivo di ricorso, dovendosi considerare che l’affermazione di responsabilità ribadita nella sentenza impugnata non appare affatto fondata in via esclusiva sul contenuto di detto verbale. E’ vero invece che a pag. 3 della sentenza sono indicate come utili fonti di prova le dichiarazioni del curatore, le dichiarazioni del consulente fiscale della curatela, le dichiarazioni del responsabile commerciale della società fallita, le dichiarazioni del teste R., le dichiarazioni del consulente della difesa e, assieme a tutte queste, le contestate dichiarazioni del m.llo P. della GdF. Non è dunque chiarito dalla difesa quali parti del verbale della Gdf – di cui essa eccepisce la inutilizzabilita – sarebbero state utilizzate in via diretta per fondare la pronuncia di responsabilità, con la conseguenza che viene in tal modo interdetta a questa Corte la prova di resistenza della motivazione volta a saggiare la tenuta della stessa anche in mancanza del mezzo di prova in ipotesi inficiato da vizi.

Anche la denunciata mancanza in atti dei verbali di sequestro della documentazione bancaria, d’altra parte, costituisce una doglianza del tutto generica e ininfluente, ben potendo la prova della distrazione essere desunta anche da accertamenti contabili eseguiti e riferiti da persone che a vario titolo hanno avuto veste nella procedura fallimentare e che regolarmente sono stati assunti come testi.

Il terzo motivo è manifestamente infondato.

La lettura del capo di imputazione rende evidente che all’imputato sono stati contestati sin dall’origine tutti gli elementi di fatto e in diritto utili per apprestare una adeguata difesa in ordine a quanto poi addebitatogli.

La responsabilità per gli ammanchi riferiti al periodo successivo alla cessazione dalla carica di amministratore e quindi a titolo di concorso personale con il formale amministratore di diritto, è stata ritenuta provata alla luce della emissione di assegni da un conto della società per finalità estranee agli interessi aziendali. Tale emissione, integrante dunque proprio la condotta distrattiva materialmente posta in essere dal F., è stata imputata in base all’art. 110 c.p., menzionato nel capo di imputazione, ben potendo la condotta distrattiva essere realizzata materialmente sia dall’amministratore di fatto che dall’extraneus in concorso con l’amministratore di diritto. Ne consegue che nessun genere di lesione ai diritti di difesa dell’imputato è ravvisabile nella specie.

Infine appare manifestamente infondata la doglianza sulla mancata considerazione delle giustificazioni addotte in relazione agli ammanchi stessi. L’utilizzo di parte delle somme per pagare debiti della società è stata presa in considerazione attraverso la contestazione anche della bancarotta preferenziale (dell’art. 216, comma 3, L. Fall.). Quanto all’uso delle somme residue per affrontare le ordinarie esigenze aziendali, la censura risulta ancora una volta inammissibile.

Essa consiste, invero, nella opposizione, alla ricostruzione accreditata dalla Corte di appello, di alternative ricostruzioni in fatto non apprezzabili dal giudice della legittimità.

Va esente da censure, infatti, la attestazione della Corte, secondo cui numerosi assegni sono stati emessi senza che si conosca l’impiego delle somme stesse, nemmeno contabilizzate.

La parte, ove ne fossero ricorsi i presupposti, avrebbe soltanto potuto evocare gli elementi in fatto, capaci di dimostrare la bontà della tesi difensiva, eventualmente sottoposti alla Corte di merito e altrettanto ingiustamente non considerati. Tali soltanto sono i limiti del deducibile vizio di motivazione, nella specie non azionato in modo corretto dall’interessato.

Infondata è la doglianza riguardante la omessa motivazione sulla contestazione della configurabilità del dolo specifico del reato di bancarotta preferenziale. La Corte risulta invero essersi attenuta al principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta preferenziale (art. 216, comma 3, L. Fall.) è costituito dal dolo specifico che è ravvisabile ogni qualvolta l’atteggiamento psicologico del soggetto agente sia rivolto a favorire un creditore, riflettendosi contemporaneamente, anche secondo lo schema tipico del dolo eventuale, nel pregiudizio per altri (Rv. 244498; conf. Rv. 211138).

Ne consegue che, essendo rimasto dimostrato il pagamento di alcuni soltanto dei creditori e la prossimità del fallimento (sostenuta persino nel ricorso a pag. 20), la motivazione adottata è da ritenersi sufficiente ed adeguata ai principi interpretativi esposti, mentre le censure del ricorrente si risolvono in una contraria affermazione in punto di fatto.

Fondato è invece il motivo di ricorso col quale si deduce la carenza assoluta di motivazione riguardo alle contestazioni sottoposte al giudice dell’appello in tema di bancarotta fraudolenta documentale.

La parte ha riportato nel ricorso gli articolati motivi formulati nell’atto di appello e effettivamente riscontrati nell’atto di gravame a pag. 16, 17 e 18.

Trattandosi di doglianze che non evidenziano connotati di palese inammissibilità, la mancata replica ad esse configura una lacuna nella motivazione che non trova giustificazione nel corpo della restante parte argomentativa esibita dai giudici del merito e che deve dunque essere colmata in sede di rinvio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla bancarotta fraudolenta documentale con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per nuovo esame. Rigetta nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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