Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-02-2011) 11-04-2011, n. 14459

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.N. ricorre avverso la sentenza 30.6.09 della Corte di appello di Bologna che ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per essere i ritenuti reati di ingiuria e diffamazione ascrittigli estinti per intervenuta prescrizione ed ha rideterminato in Euro 7.000,00 il risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione alla richiesta assolutoria di cui al primo motivo di appello, rilevando che quanto al delitto di ingiuria in danno dell’allora assessore al Comune di (OMISSIS), M. C., da una ponderazione degli scritti attribuiti al C. emergeva come egli avesse fatto solo uso del diritto di critica, in assenza di attacchi personali e gratuiti, ma la Corte di appello era ricorsa ad una serie di luoghi comuni non dimostrati e che non avevano avuto ingresso nel processo in ragione di qualsivoglia relazione tecnica, dimostrando superficialità estrema nell’attribuire all’imputato la volontà di farsi vendette.

Infatti – prosegue il ricorrente – spostando l’attenzione sulla realtà degli accadimenti, cioè sulla acrimonia emersa tra le due parti, che mai avevano avuto un vero e proprio rapporto diretto, ancorchè di reciproca conoscenza, si sarebbe compresa la genesi storica della vicenda processuale: un professionista, intento allo svolgimento della propria professione, ed un assessore ligio alle proprie funzioni, ma nulla di più, e le missive attribuite al C. altro non erano che un tentativo di sensibilizzare la giunta comunale in relazione a problemi esistenti, ma senza sfoderare attacchi personali alla figura dell’assessore M., il tutto in un contesto immune da parole oltraggiose o da chiare o velate offese, esprimendosi solamente disapprovazione per il verificarsi di concrete problematiche.

Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione al mancato riconoscimento dell’esimente putativa, essendosi l’ingegner C. venuto a trovare di fronte ad una serie di problematiche che non potevano non condurlo a determinarsi in errore circa la sussistenza di condotte manchevoli da parte dei tecnici comunali, dal momento che all’inizio dell’anno 2000 era sorta una controversia tra il ricorrente – presidente della Cooperativa di abitazione Savena – ed il Comune di (OMISSIS), in relazione ad una concessione edilizia, poi negata, richiesta dal C. al fine di demolire e poi ricostruire alcuni fabbricati acquistati dalla Cooperativa, vicenda che aveva avuto risvolti anche dinanzi alla autorità amministrativa e che aveva ingenerato, anche a seguito della dettagliata analisi della normativa di riferimento ad opera dei progettisti della Cooperativa, la ferma convinzione nell’imputato che non vi fossero serie ragioni per il diniego della domanda, ma il Comune di (OMISSIS) aveva avanzato obiezioni finchè, il 23.6.2000, si era giunti a concordare un ennesimo appuntamento al termine del quale il Comune aveva comunicato che tutte le eccezioni erano state chiarite e che a breve sarebbe stata rilasciata la concessione, per poi però, inaspettatamente, a fine luglio del 2000, rigettare la domanda, diniego poi confermato nel successivo mese di ottobre e seguito da una lettera indirizzata dall’assessore al C. che rinviava al nuovo regolamento edilizio la soluzione del problema.

Con il terzo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per non avere la Corte di merito ritenuto di dover applicare l’esimente di cui all’art. 599 c.p., comma 2 evidenziando lo svolgimento dei fatti un pregnante stato di esasperazione nel quale si era venuto a trovare l’odierno ricorrente nel momento in cui aveva redatto gli scritti, ritenendosi vittima di gravi ingiustizie perpetrate dai tecnici comunali a danno della Cooperativa e comunque nella erronea ma ragionevole supposizione del fatto ingiusto altrui, tanto che l’interpretazione data dagli ausiliari del C. era stata poi recepita nel nuovo regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS) del 2003.

Con il quarto ed ultimo motivo si deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per assenza di concreta motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche con il criterio della prevalenza. Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

Le imputazioni a carico del C. consistono nell’avere, quale presidente della Cooperativa Abitazione Savena s.c.ar.l., con una missiva in data 11.12.2000 indirizzata a M.C., assessore all’Urbanistica e Casa del Comune di (OMISSIS), e per conoscenza al sindaco e vice sindaco, offeso la reputazione del M. assumendo che i funzionari comunali non avevano rilasciato alla Cooperativa una concessione edilizia conformemente alle sue richieste in quanto erano stati "rinfrancati dalla copertura politica" dell’assessore M., ed invitando il medesimo a fare "quanto le compete per ristabilire le condizioni di trasparenza, correttezza ed imparzialità della funzione amministrativa", perchè in caso contrario sarebbe stato connivente, nonchè di avere inviato, il 6.11.01, una missiva di posta elettronica sia alla casella del predetto assessore sia a quelle di altri assessori comunali assumendo che negli scritti del Comune di (OMISSIS) viene dichiarato il falso al fine di distorcere la realtà nell’evidente speranza di indurre in errore i giudici ed affermando che l’interesse pubblico debba essere perseguito con imparzialità e correttezza e non già con falsità ed espedienti che sono indegni di un paese civile e che dimostrano la vessatorietà da noi sempre denunciata.

Orbene, del tutto correttamente e con motivazione congrua ed immune da vizi di illogicità, la Corte bolognese – rilevata la prescrizione dei fatti di reato di cui ai capi A e B – ha ravvisato negli scritti dal C. indirizzati all’assessore comunale M. una oggettiva lesione dei beni dell’onore e della reputazione della p.o., accusata di aver violato la virtù primaria per chi gestisce la cosa pubblica, cioè l’imparzialità, con l’utilizzo di espressioni che non possono ricondursi nell’alveo di una critica, sia pure accesa, all’operato di pubblici funzionari, essendo trasmodate in accuse esplicite e del tutto gratuite al predetto assessore, tacciato di essere venuto meno -unitamente agli altri funzionari preposti all’esame della pratica edilizia riguardante la Cooperativa di cui il C. era presidente – al suo elementare dovere di amministratore pubblico addirittura mediante false dichiarazioni e con la distorsione della realtà, anche al fine di indurre in errore i giudici amministrativi, avendo offerto il M. la copertura politica agli stessi disonesti funzionari comunali.

Affinchè infatti il diritto di critica possa ritenersi correttamente esercitato – e rendere non punibili espressioni anche aspre e giudizi che di per sè sarebbero ingiuriosi – è necessario che i comportamenti denunciati siano stati realmente tenuti dal personaggio pubblico, mentre non può scriminare la falsa attribuzione di una condotta scorretta, utilizzata come fondamento per la esposizione a critica del personaggio stesso (v. Cass., sez. 5^, 13 gennaio 2004, n. 24087). Nella specie, invece, hanno evidenziato i giudici territoriali come arbitri, nella conduzione della procedura amministrativa edilizia, non ve ne siano stati da parte degli organi comunali, e che il C. di ciò ben doveva essere a conoscenza, trattandosi di professionista del settore, ingegnere e presidente di una cooperativa edilizia, tanto che il Comune di (OMISSIS), facendo corretta applicazione delle norme urbanistiche all’epoca vigenti, dopo aver raccolto il parere degli organi legittimi, aveva rigettato le domande di concessione edilizia analogamente a quanto era accaduto in casi simili ad altri cittadini, nè era rimasto provato in alcun modo che i funzionali avessero volutamente dato una interpretazione della normativa esistente volta a pregiudicare il C., tanto che – hanno rimarcato i giudici del merito – intervenuta successivamente una modifica normativa, al C. era poi stato concesso ciò che aveva chiesto.

Del pari, anche l’esimente della putatività dell’esercizio del diritto di critica, postulando essa la necessaria correlazione tra quanto è stato affermato e quanto realmente accaduto, del tutto correttamente è stata esclusa dai giudici territoriali, sulla considerazione che ove anche il C. si fosse ritenuto vittima di un arbitrio, a nessun titolo avrebbe potuto coinvolgere l’assessore M. imputandogli una copertura politica, dal momento che non era certo il M. a gestire le singole pratiche amministrative nè è risultato essersi in concreto ingerito nella pratica concernente la Cooperativa edilizia presieduta dal C. o tanto meno che avesse avuto un qualche ruolo nella vicenda giudiziaria apertasi dinanzi al Tar regionale. In assenza, quindi, di alcun fatto ingiusto ascrivibile al comportamento tenuto dall’assessore M. ovvero dagli organi comunali interessati, legittimamente è stato escluso dai giudici di merito che possa ricorrere l’esimente della provocazione, neanche sotto il profilo dell’art. 59 c.p., in assenza di una ragionevole opinione dell’illiceità del fatto altrui.

Inammissibile, perchè manifestamente infondato è, infine, l’ultimo motivo concernente la mancata concessione delle attenuanti generiche con il criterio della prevalenza, attesa la declaratoria di prescrizione dei reati di ingiuria e diffamazione ascritti al ricorrente.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione di quelle sostenute, nel presente giudizio di legittimità, dalla costituita parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate in complessivi Euro 1.500,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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