Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-02-2011) 11-04-2011, n. 14455 Decreto di citazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 15 giugno 2009, ha sostanzialmente confermato (escludendo la continuazione ma confermando l’entità della pena) la sentenza del Tribunale di Cosenza, Sezione Distaccata di Acri, del 3 aprile 2008 che aveva condannato A.L. per il delitto di minacce.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:

a) la violazione della legge processuale per nullità del decreto di citazione a giudizio, ai sensi dell’art. 552 c.p.p., comma 1, lett. c), non essendo stato indicato il giorno di commissione del reato;

b) la manifesta illogicità della motivazione, con particolare riferimento all’affermazione della sussistenza dell’imputazione sulla base delle sole dichiarazioni della parte offesa, all’insussistenza dell’aggravante e alla mancata riduzione della pena.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è chiaramente inammissibile.

2. In primo luogo perchè i motivi proposti avanti questa Corte ripropongono quelli già presentati avanti la Corte territoriale e da essa disattesi.

3. A tal proposito, correttamente si è rigettata l’eccezione di nullità per la pretesa mancata indicazione della data del commesso reato, in quanto la stessa è evidenziabile dal capo d’imputazione (periodo compreso tra (OMISSIS)).

Data e luogo del commesso reato costituiscono, inoltre, elementi accessori che completano il fatto nella sua collocazione spazio – temporale e, pertanto, sono necessari per l’esercizio del diritto di difesa, ma non determinano la nullità del decreto in sè, tutte le volte in cui sia possibile, come nella specie, dedurne aliunde la conoscenza.

4. Del pari inammissibile è l’ulteriore contestazione all’impugnata sentenza basata su di una diversa lettura delle risultanze processuali probatorie (in particolare la credibilità della parte offesa).

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal Giudice d, merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai Giudici di merito (a cui le parti non prestano autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

5. Anche l’ultimo motivo di doglianza si appalesa inammissibile in quanto il trattamento sanzionatorio non presenta la evidenziata violazione di legge.

E’, infatti, vero che la Corte territoriale ha escluso la continuazione dei reati ascritti ma ha ritenuto, piuttosto, l’esistenza di un concorso formale di reati, ipotesi che si verifica, come nel caso di specie, allorquando un unico fatto concreto integri contestualmente più azioni tipiche alternative e che risulta, del pari, assoggettato alla disciplina e al trattamento sanzionatorio di cui all’art. 81 c.p..

6. Il ricorso va, in conclusione, dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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