T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 06-04-2011, n. 3040 Destituzione e dispensa dall’impiego Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato alla Amministrazione della Giustizia in data 17 maggio 2010 e depositato il successivo 3 giugno 2010, la ricorrente, agente scelto di Polizia Penitenziaria assunta nel 1994, espone di prestare servizio presso la Casa di Reclusione di Vercelli venendo distaccata presso la CC di Biella. Rappresenta di avere subito soltanto tre sanzioni disciplinari minime nella sua carriera e di avere sempre ottenuto giudizi complessivi annuali molto positivi, quando a seguito di un controllo della Squadra Mobile di Novara in data 18 settembre 2009, effettuato mentre accompagnava un ex collega a riscuotere presso un campo nomadi il prezzo della vendita dell’automobile di questi, quest’ultimo appunto veniva trovato in possesso di sostanze stupefacenti e condotto in stato di fermo mentre a carico della ricorrente non veniva svolta alcuna attività di polizia.

L’episodio, tuttavia, provocava l’avvio del procedimento disciplinare a carico della ricorrente, con conseguente contestazione degli addebiti consistenti nella violazione dell’art. 6, comma 2 lett. a), b), d) ed f) del d.lgs. n. 449/1992, per avere l’incolpata contravvenuto ai doveri assunti con il giuramento tenendo una condotta che manifesta mancanza del senso dell’onore e del senso morale e che mal si coniuga con il doveroso rispetto delle norme.

La ricorrente chiedeva la sospensione del procedimento disciplinare, allo scopo di attendere l’esito del giudizio penale nei confronti dell’ex collega, richiesta che non veniva accolta, neppure in sede di audizione presso il Consiglio di disciplina che deliberava l’irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione, come da decreto del DAP al momento gravato.

Avverso tale provvedimento l’interessata oppone:

1. Violazione degli articoli 15 e 16 del d.lgs. n. 449 del 1992; eccesso di potere per carenza dell’attività istruttoria; violazione dei principi del procedimento disciplinare; violazione del diritto di difesa; eccesso di potere per travisamento dei fatti, difetto di motivazione; ingiustizia manifesta.

2. Illegittimità per violazione di legge – Violazione e falsa applicazione degli articoli 1, comma 2 e 11 del d.lgs. n. 449 del 1992; violazione dei principi di proporzionalità della sanzione disciplinare; eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità dell’azione amministrativa; violazione dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990; carenza di motivazione; ingiustizia manifesta.

Conclude per l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio, ha contestato le doglianze proposte ed ha concluso per la reiezione dell’una e dell’altro.

Alla Camera di Consiglio del 1° luglio 2010 è stata accolta la cautelare ai fini del riesame, all’esito del quale l’Amministrazione si è pronunciata col provvedimento impugnato dalla ricorrente con i motivi aggiunti, siccome avente nuovamente esito negativo sulla sua posizione.

Nel confermare tutti i motivi opposti col ricorso principale, l’interessata ulteriormente deduce:

1. violazione di legge per violazione degli articoli 16 e 17 del d.lgs. n. 449 del 1992; incompetenza, eccesso di potere per sviamento.

2. Violazione di legge per elusione del giudicato cautelare

3. Violazione di legge (art. 1 e 11 del d.lgs. n. 449 del 1992 – art. 3 della legge n. 241 del 1990), eccesso di potere per irragionevolezza e sviamento nell’agire amministrativo, ingiustizia manifesta.

Nel riprendere le doglianze già prospettate col ricorso principale la ricorrente conclude rilevando il danno grave ed irreparabile derivante dal provvedimento espulsivo che viene anche a cadere sulla sua situazione familiare, essendo l’unica ad assistere una figlia portatrice di handicap ed esplicita, dunque, una nuova istanza cautelare oltre alla richiesta di accoglimento in toto del ricorso e dei motivi aggiunti.

L’Amministrazione ha contestato anche i detti motivi aggiunti concludendo per la loro reiezione, come pure del ricorso.

Alla Camera di Consiglio del 21 ottobre 2010 la richiesta cautelare è stata respinta ed è stata fissata l’udienza pubblica del 20 gennaio 2011 alla quale, infine, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Con esso l’interessata impugna il provvedimento di destituzione dal servizio irrogatole per l’infrazione disciplinare prevista dall’art. 6, comma 2 lett. a), b), d) ed f) del d.lgs. 3 ottobre 1992, n. 449 e cioè per atti che rivelano mancanza del senso dell’onore o del senso morale, che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento, che arrecano grave pregiudizio all’istituzione, nonché per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari.

2. Avverso tale provvedimento l’interessata lamenta che il decreto di destituzione è ingiusto e frutto di un procedimento sommario, basato sulla totale assenza di prove anche in ordine alle circostanze in cui si sono svolti i fatti. In particolare le sarebbero state contestate una serie di telefonate effettuate con il suo cellulare a noti pregiudicati, telefonate in realtà fatte dall’amico che ella aveva accompagnato. Il funzionario istruttore, in violazione dell’art. 15 del d.lgs. n. 449 del 1992 si è limitato a prendere atto del contenuto del fermo di polizia disposto dalla Procura della Repubblica di Novara a carico di soggetti diversi dalla ricorrente e ciò inficia il procedimento disciplinare, in quanto ai sensi della citata norma, il funzionario istruttore ha l’obbligo di espletare gli opportuni accertamenti ai fini della corretta ricostruzione dei fatti. In applicazione dei principi del giusto procedimento la stessa disposizione impone proprio di valutare la rilevanza del fatto in ordine al tipo di misura disciplinare da adottare.

Nel caso in esame la ricorrente non risulta né indagata, né imputata in un processo penale.

L’esponente lamenta pure che il funzionario istruttore si è sostituito al Consiglio di disciplina nel giudizio circa la sussistenza della trasgressione commessa, mentre le norme citate distribuiscono in maniera chiara la competenza tra il funzionario istruttore ed il Consiglio di disciplina.

La ricorrente rappresenta il mancato rispetto del principio di gradualità e di proporzionalità della sanzione, oltre tutto evincibile dalla mancanza di una congrua ed idonea motivazione atta a giustificare l’irrogazione della sanzione massima. Nel provvedimento si sarebbe dovuto dare contezza dell’allarme sociale provocato (assolutamente nullo) e degli indizi di pericolosità che l’hanno caratterizzato, nonché la complessiva personalità e la condotta della dipendente nello svolgimento del proprio lavoro. Tale corretta valutazione avrebbe potuto essere corroborata dagli elementi portati dalla ricorrente tramite il difensore, ma questi non sono stati neppure presi in considerazione.

Con i successivi motivi aggiunti l’interessata oppone ancora che il riesame della vicenda è stato operato, per come richiesto dal TAR, dal Vice Capo Vicario del DAP il quale ha confermato e reiterato il medesimo provvedimento di destituzione, procedendo autonomamente senza in realtà effettuare una rivalutazione della vicenda, in base a quanto dall’ordinanza cautelare richiesto e cioè verificando la corretta applicazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 449 del 1992 e valutando il mancato coinvolgimento della ricorrente nella vicenda penale. La competenza spettava allo stesso organo che ha adottato l’atto finale e cioè al Consiglio di Disciplina il quale doveva ai sensi dell’art. 17, comma 3 del decreto legislativo menzionato rivalutare la situazione e quindi trasmettere gli atti al Capo del DAP per l’adozione del provvedimento.

In realtà la fretta di adottare il provvedimento espulsivo ha comportato che l’Amministrazione non tenesse in alcun conto quanto dal TAR richiesto con la cautelare e che cioè la stessa rivalutasse la situazione in relazione alla presenza di circostanze attenuanti, alla mancanza di precedenti disciplinari sostanziosi, in relazione ai precedenti di servizio, all’età, alla qualifica e con riferimento alla natura dei fatti addebitati.

Riguardo a questi ultimi poi la ricorrente rileva che, nel provvedimento, il Vice Capo Vicario del DAP ha dovuto dare atto che, malgrado non sia stata concessa la sospensione del procedimento disciplinare, i fatti nei quali l’interessata è rimasta coinvolta riguardano altre persone e ciò comporta anche sviamento dell’azione amministrativa.

3. Come in parte anticipato in narrativa, l’episodio che ha dato la scaturigine alla destituzione dal servizio della ricorrente si è verificato in data 18 agosto 2009 ed è stato riscontrato dalla Mobile di Novara che, in appostamento nelle vicinanze di un campo nomadi, vedeva giungere una autovettura con a bordo due persone e che si fermava presso il campo. Non appena la Polizia si avvicinava per identificare le due persone, una di queste buttava dal finestrino un involucro di ridotte dimensioni. Gli occupanti venivano identificati come la ricorrente ed un suo ex collega, pregiudicato. L’involucro di cui si era disfatto l’ex collega della ricorrente conteneva mezzo grammo di cocaina e nel portaoggetti dell’autovettura la Polizia rinveniva un altro grammo di cocaina. L’accompagnatore della ricorrente spontaneamente dichiarava che la cocaina era per uso personale e che da due mesi per due volte la settimana effettuava i suoi acquisti da referenti nel campo nomadi.

Oltre a ciò vi erano anche riscontri telefonici dei contatti con la banda del campo nomadi, risultando dall’utenza telefonica intestata alla ricorrente ben 19 contatti con un noto spacciatore, tutti avvenuti nell’agosto 2009, circostanza questa dalla ricorrente smentita, in quanto ella avrebbe prestato il telefono cellulare all’ex collega, nonché amico di famiglia.

4. Ciò posto anche a seguito del riesame disposto dall’Amministrazione le doglianze non possono essere condivise.

In primis va esaminata e respinta la censura di incompetenza del Vice Capo Vicario del DAP, laddove parte ricorrente sostiene che la competenza spettava allo stesso organo che ha adottato l’atto finale e cioè al Consiglio di Disciplina, il quale doveva ai sensi dell’art. 17, comma 3 del decreto legislativo menzionato rivalutare la situazione e quindi trasmettere gli atti al Capo del DAP per l’adozione del provvedimento.

Con essa l’interessata tenta di spostare ad un altro livello di competenza le determinazioni che sono proprie del Capo Dipartimento o in sua assenza di chi ne fa le veci, laddove la Sezione con la cautelare aveva, invece, proprio censurato tali determinazioni come confluite nello stringato provvedimento di destituzione, che appariva, seppure al sommario esame proprio della sede cautelare, scarsamente motivato sia con riferimento all’art. 11 del d.lgs. n. 449 del 1992 e quindi ai parametri della decisione dell’organo competente ad adottare la sanzione disciplinare e sia in ordine al coinvolgimento della ricorrente nelle vicende di cui è questione.

E le valutazioni cui la Sezione ha fatto riferimento nella richiesta di riesame non sono quelle proprie del Consiglio di Disciplina, ma sono quelle proprie del Capo del Dipartimento, che ha la competenza ai sensi del precedente art. 6/dlgs. n. 449 ad adottare la massima sanzione disciplinare e cioè la destituzione.

Ad esso fa riferimento l’art. 11 menzionato laddove specifica quali sono i parametri delle valutazioni che "L’organo competente ad infliggere la sanzione" deve adoperare:

" a)… le circostanze attenuanti, dei precedenti disciplinari e di servizio del trasgressore, del carattere, dell’età, della qualifica e dell’anzianità di servizio;" e deve:

"b) sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio o che abbiano prodotto più gravi conseguenze per il servizio, quelle commesse in presenza o in concorso con inferiori o indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali.".

Tali parametri ritenuti non rispettati dal decreto impugnato col ricorso principale sono di competenza solo e soltanto dell’organo deputato ad irrogare la sanzione disciplinare e non coinvolgono l’attività del Consiglio di disciplina, ma rilevano esclusivamente come difetto di motivazione della determinazione adottata, con la conseguenza che il procedimento di valutazione poi confluito nel decreto di riesame gravato con i motivi aggiunti non va affatto ripetuto a partire dalle deliberazioni del Consiglio di disciplina, come richiesto in ricorso, ma soltanto dalla determinazione espulsiva.

5. E quest’ultima, così come adottata all’esito del riesame, non consente più di condividere le censure proposte sia con il ricorso principale sia con i motivi aggiunti, già poste in rilievo nelle sede cautelare.

Il nuovo provvedimento getta, infatti, una luce più chiara su aspetti dell’istruttoria, pristinamente non confluiti nel primo decreto, laddove incorpora nella motivazione, facendole proprie, parti della deliberazione del Consiglio di Disciplina che ha evidenziato come la ricorrente fosse stata già "sanzionata disciplinarmente con la sospensione per due mesi per una infrazione analoga", con tale osservazione sconfessandosi quanto in ricorso opposto e cioè che la ricorrente avesse subito soltanto infrazioni disciplinari minime, laddove una di queste, invece, è relativa proprio a fatti della stessa natura di quelli in cui è rimasta coinvolta nell’ episodio del 2009.

Per tali circostanze, anche a voler condividere la prospettazione dell’interessata, appare di una imperdonabile leggerezza avere consegnato il telefono all’ex collega, che si è assunto tutta la responsabilità dei fatti, per consentirgli di telefonare per ben diciannove volte nel mese di agosto 2009 ad un noto spacciatore, che poi era lo stesso che avrebbe consegnato loro la droga, nell’episodio che ha dato la scaturigine alla vicenda disciplinare, sicché appare del tutto condivisibile la motivazione del provvedimento principale e quella del provvedimento di riesame, laddove, a fronte della reiterazione della medesima infrazione, il Capo del Dipartimento ha osservato che la frequentazione di pregiudicati integra di per sé gli estremi della condotta disciplinarmente sanzionabile e che la persistenza di tale condotta ha dimostrato l’assoluta mancanza di senso dell’onore e della morale nell’interessata.

Tali valutazioni, riprese dal Capo Dipartimento nei due provvedimenti esaminati, in maniera più stringata nel primo ed in maniera più esaustiva nel secondo, comportano che nei due atti il riferimento ai deliberata del Consiglio di Disciplina svuota di significato sia il dedotto difetto di motivazione, atteso che nel nostro ordinamento è possibile la motivazione per relationem come è quella che caratterizza il nuovo provvedimento; ma svuota di significato anche il difetto istruttoria ed il travisamento dei fatti, nel momento in cui vengono riportati esattamente i passi degli accertamenti svolti dal funzionario istruttore, come confluiti nella deliberazione del Consiglio; e svuota di significato pure la pretesa violazione dell’art. 11 del d.lgs. n. 449 del 1992, dato che, per quanto sopra riportato, appare del tutto compiuto il raffronto tra la fattispecie verificatasi ed i parametri normativi da esso previsti.

6. A tal riguardo del tutto fuorviante o pertanto non condivisibile si palesa l’aspetto di censura con il quale l’interessata fa valere l’ingiustizia manifesta dei provvedimenti esaminati, come dimostrata dalla circostanza che ella non risulta né indagata, né imputata in un processo penale, che, invece, riguarda il suo accompagnatore, il quale, come sopra accennato, si è peraltro attribuito tutta la responsabilità della vicenda. E con il quale deduce pure la illegittimità dell’operato dell’Amministrazione per non avere concesso la sospensione del procedimento disciplinare fino all’esito del processo penale che riguardava detto ex collega.

Poiché l’organo competente deve sanzionare con maggior rigore le mancanze commesse in servizio ed indicanti scarso senso morale e quelle recidive o abituali va da sé infatti che a nulla rileva l’eventuale responsabilità di cui sarà o non sarà riconosciuto portatore l’ex collega della ricorrente oppure ancora la rilevanza penale del singolo episodio commesso, come riconosciuta da una sentenza, poiché detto episodio, nello specifico, pone in evidenza quel carattere di reiterazione nel comportamento che reca disdoro all’Amministrazione penitenziaria e che costituisce espressamente uno dei parametri di valutazione ai fini dell’irrogazione della sanzione massima, per come stabilito dal menzionato art. 11 del d.lgs. n. 449 del 1992.

7. La reiterazione della condotta della ricorrente scongiura altresì la dedotta mancanza di proporzionalità nella sanzione.

Infatti, come posto in evidenza dalla resistente Amministrazione, in un primo episodio la ricorrente era stata trovata colpevole di furto e condannata a 15 giorni di reclusione. Nel procedimento disciplinare conseguente, pur rilevandosi che il furto è indicato tra i delitti per i quali l’appartenente al Corpo di Polizia Penitenziaria può essere destituito, il Consiglio derubricava l’originaria incolpazione e proponeva la sospensione nella misura minima edittale.

In un secondo episodio, in cui era rimasta coinvolta con soggetti implicati nello spaccio di stupefacenti, l’interessata si era difesa asserendo di essere rimasta coinvolta inconsapevolmente in una vicenda che riguardava una persona non conosciuta mai prima del momento in cui il fatto era avvenuto (nella sua vettura era stata trovata una sigaretta manufatta di tabacco e hashish). E tale episodio le era valso il giudizio di scarsa attenzione nelle frequentazioni e di negligenza, "poiché un poliziotto penitenziario deve prestare particolare attenzione anche nella conduzione della vita sociale", con ciò irrogandole la sanzione della sospensione dal servizio per due mesi.

Infine avevano luogo i fatti nei quali era rimasta coinvolta con l’ex collega, che nella deliberazione del Consiglio di Disciplina viene indicato come pregiudicato tossicomane.

Dall’ex cursus delle vicende, a fronte della negligenza grave con cui la ricorrente, pur consapevole della propria grave situazione familiare (madre separata di una figlia portatrice di handicap) gestisce la propria vita privata con le conseguenti ricadute in termini di pregiudizio arrecato alla credibilità, al prestigio ed all’immagine dell’Amministrazione, nonché in contrasto con i doveri di correttezza e rettitudine insiti nel giuramento prestato, non pare proprio che possa desumersi dall’operato dell’Amministrazione quella lesione del principio di proporzionalità o di gradualità che devono presiedere alla irrogazione delle sanzioni disciplinari, specie nella considerazione che la prima infrazione commessa e per la quale la ricorrente era stata trovata colpevole, (furto) già avrebbe potuto comportare l’irrogazione della sanzione massima, mentre la sanzione è stata derubricata.

D’altra parte costituisce principio generale valido per tutti i rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, contrattualizzati e non, che i fatti penalmente rilevanti sono suscettibili di autonoma valutazione della loro rilevanza nel procedimento disciplinare (Consiglio di Stato, sezione IV, 24 febbraio 2011, n. 1203), sicché una volta che l’Amministrazione abbia accertato i fatti addebitati, la loro incidenza sul rapporto d’impiego e le eventuali giustificazioni addotte dall’interessato ed abbia valutato autonomamente in sede disciplinare il riflesso negativo dei fatti sulla prosecuzione del rapporto d’impiego, come è avvenuto nel caso in esame, non può vieppiù condividersi la dedotta sproporzione della sanzione o la lesione del principio di gradualità della stessa.

8. Alla luce delle superiori considerazioni i provvedimenti vanno trovati scevri dalle dedotte censure ed il ricorso va di conseguenza respinto in ogni sua parte.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge in ogni sua parte.

Condanna la ricorrente Leone Giuseppa al pagamento di Euro 2.000,00 per spese di giudizio ed onorari a favore del Ministero della Giustizia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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