Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-02-2011) 11-04-2011, n. 14452

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Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Torino con sentenza del 1 luglio 2009, ha confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 27 novembre 2006 con la quale L.A., M.A. e V. G. erano stati condannati per il delitto di furto aggravato in concorso.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione:

a) V.G., personalmente lamentando la carenza di motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante del danno lieve;

b) L.A., a mezzo del proprio difensore, lamentando la mancata considerazione dell’iniziativa del solo proprio assistito per il risarcimento del danno alla parte lesa, che avrebbe dovuto portare ad un diverso trattamento sanzionatorio nei suoi confronti;

c) M.A., a mezzo del proprio difensore, lamentando, in rito, la mancata conoscenza del giudizio in appello per erronea notifica e chiedendo, in ipotesi, di essere rimesso in termini per la proposizione del gravame mentre, nel merito, si contestava l’eccessività della pena irrogata.
Motivi della decisione

1. I ricorsi non meritano accoglimento.

2. V.G. aveva già proposto, quale unico motivo dell’impugnazione, la mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 di talchè il presente ricorso si appalesa ai limiti dell’inammissibilità, sia per la sua genericità sia perchè, in ogni caso, la Corte territoriale ha congruamente motivato sulla esistenza o meno del danno di speciale tenuità, in considerazione non soltanto del valore in sè del bene sottratto ma, altresì, dei danni cagionati per la commissione dell’ascritto reato (v. Cass. Sez. 2^ 13 maggio 2010 n. 21014).

3. L.A., del pari, aveva evidenziato al Giudice dell’impugnazione la propria attivazione per il risarcimento del danno ma tale attività, al di là del fatto che non risulta dimostrata quanto all’esborso del risarcimento da parte del solo odierno ricorrente, è rimasta assorbita dall’avvenuta concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6. 4. M.A., infine, contesta inutilmente la mancata conoscenza del giudizio d’appello quando, dall’esame degli atti, si evince come la Corte territoriale abbia dato correttamente conto della ritualità della citazione a giudizio nei suoi confronti, posta l’irreperibilità presso il domicilio dichiarato e, pertanto, l’avvenuta successiva notificazione, ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4, presso il difensore.

La pena, infine, applicata nei suoi confronti appare sicuramente ispirata ai criteri di cui all’art. 133 c.p. Va, a tal proposito, richiamato il principio consolidato per il quale la motivazione in ordine alla determinazione della pena base, ed alla diminuzione o agli aumenti operati per le eventuali circostanze aggravanti o attenuanti, è necessaria solo quando la pena inflitta sia di gran lunga superiore alla misura media edittale.

Fuori di questo caso anche l’uso di espressioni come "pena congrua", "pena equa", "congrua riduzione", "congruo aumento" o il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato sono sufficienti a far ritenere che il giudice abbia tenuto presente, sia pure globalmente, i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per il corretto esercizio del potere discrezionale conferitogli dalla norma in ordine al "quantum" della pena (v. Cass. Sez. 2^ 26 giugno 2009 n. 36245).

5. In definitiva, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati ciascuno al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta i ricorsi e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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