Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 31-01-2011) 11-04-2011, n. 14392 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di assoluzione emessa dal G.u.p. del Tribunale di Varese in data 13 luglio 2005, ha ritenuto Z.J.F. responsabile del reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, condannandolo alla pena di mesi 10 e giorni 20 di reclusione ed Euro 2.800,00 di multa, con sospensione della pena e non menzione della condanna sul certificato penale.

I giudici di secondo grado hanno escluso che la marijuana rinvenuta indosso all’imputato fosse destinata ad uso personale, così come ritenuto dal primo giudice, rilevando che una serie di elementi univoci, tra cui il quantitativo della droga, pari a grammi 46,51 da cui potevano estrarsi circa 190 dosi medie giornaliere e 948 dosi dotate di efficacia drogante, il frazionamento in diversi involucri della sostanza, nonchè le precarie condizioni economi che dell’imputato (il quale solo da pochi giorni aveva avuto un lavoro da giardiniere con uno stipendio piuttosto basso), dimostravano la destinazione allo spaccio della marijuana detenuta. La Corte territoriale ha, inoltre, escluso l’ipotesi di una riserva di stupefacenti per soddisfare le esigenze di consumo personale nel corso di un più lungo periodo, rilevando che i prodotti cannabici sono destinati nel tempo a perdere il principio attivo, affermando che anche il tipo di confezionamento – più involucri aventi peso omogeneo – dimostrava la destinazione ad un uso immediato finalizzato alla cessione.

Nessun rilievo è stato dato alla circostanza che presso l’abitazione dell’imputato non siano stati trovati strumenti per il confezionamento delle dosi da vendere, mentre si è ritenuto rilevante il mancato ritrovamento di strumenti utilizzabili per "fumare", circostanza che, secondo i giudici, smentirebbe l’ipotesi dell’uso personale.

Infine, è stata negata la sussistenza dell’ipotesi lieve di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. 2. – Nell’interesse dell’imputato ricorre per cassazione il suo difensore.

Con il primo motivo deduce la violazione degli artt. 157, 161 e 171 c.p.p. per la mancata notifica dell’estratto della sentenza contumaciale d’appello allo Z., nel luogo in cui aveva eletto domicilio.

Con il secondo motivo denuncia la manifesta illogicità della motivazione e la conseguente erronea applicazione della legge penale per avere la Corte d’appello apoditticamente escluso l’uso personale della droga addossando all’imputato l’onere probatorio di dimostrare tale circostanza, onere che, invece, incombeva all’accusa; inoltre, rileva la contraddittorietà delle argomentazioni con cui i giudici di secondo grado sono pervenuti a ritenere che la detenzione fosse finalizzata allo spaccio. In particolare, il ricorrente rileva che non è stato preso in attenta considerazione il fatto che l’imputato, quando è stato fermato, aveva appena ricevuto la droga dal coimputato M., il quale ha sempre ammesso di averla venduta allo Z., sicchè tutto il discorso sul confezionamento degli involucri perderebbe di rilievo, in quanto sì sarebbe trattato delle bustine appena acquistate e confezionate dal venditore; sotto altro profilo, poi, si rileva un vero e proprio travisamento della prova in relazione alle conclusioni in chiave accusatoria che vengono tratte dal mancato rinvenimento presso l’abitazione dell’imputato di strumenti da taglio o di bilancini per il confezionamento delle dosi, che invece avrebbero dovuto indurre a valutazioni favorevoli; viene censurata anche la parte della motivazione in cui si sostiene che lo Z. non avesse le possibilità economiche per acquistare il quantitativo di droga in questione, non avendo i giudici considerato che questi viveva con i genitori; infine, si sottolinea come la tendenza dei prodotti cannabici a deteriorarsi, affermazione peraltro che i giudici non hanno supportato con alcun riscontro, non è assoluta, ma dipende dalle modalità di conservazione della sostanza.

Con l’ultimo motivo censura la sentenza per la mancata applicazione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Motivi della decisione

3. – Il primo motivo è inammissibile, in quanto privo di concreto interesse per il ricorrente, il quale lamenta un vizio nella procedura della notifica della sentenza contumaciale, che avrebbe come effetto quello di non far decorrere il termine per la proposizione del ricorso, ricorso che però è stato comunque presentato.

4. – E’ invece fondato il secondo motivo.

La Corte d’appello, ribaltando il giudizio assolutorio del giudice di primo grado, ha desunto la finalità di spaccio della sostanza detenuta dall’imputato dai seguenti elementi: a) quantità dello stupefacente; b) mancato rinvenimento presso la sua abitazione di strumenti utilizzabili per "fumare la sostanza"; c) condizioni economiche dell’imputato.

In relazione al punto b) i giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’esito negativo della perquisizione eseguita presso l’appartamento dell’imputato smentirebbe l’ipotesi della destinazione ad uso personale della droga, in quanto non sarebbe stato rinvenuto "alcuno strumento chiaramente utilizzabile per fumare la sostanza stupefacente". Si tratta di un’argomentazione illogica e incongruente, in quanto trae conseguenze in ordine alla responsabilità penale da una circostanza del tutto neutra, comunque inidonea a provare la destinazione allo spaccio dello stupefacente:

non si comprende quali strumenti avrebbero potuto dimostrare il consumo personale e, inoltre, non si tiene conto che la stessa circostanza del mancato rinvenimento di strumenti avrebbe potuto giustificare, allo stesso modo, l’esclusione della finalità di spaccio.

Parimenti illogico è il richiamo alle condizioni economiche dell’imputato, soprattutto là dove si fa riferimento alla sua retribuzione giornaliera come giardiniere, indicata in soli cinque euro: pur considerando che si tratti di un refuso, dovendo intendersi i cinque euro riferiti ad un’ora e non ad un giorno, resta il fatto che i giudici non hanno preso in alcuna considerazione l’ipotesi che l’imputato convivesse con i propri genitori, situazione che invece era emersa nel corso del processo e che avrebbe potuto giustificare l’acquisto dello stupefacente, anche solo per finalità personali.

Resta, infine, il solo elemento quantitativo dello stupefacente detenuto come argomento astrattamente idoneo a sostenere la finalità di spaccio.

Invero, il mero dato quantitativo del superamento dei limiti tabellari previsti dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, lett. a), come modificato dalla L. n. 49 del 2006, non vale ad invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, ovvero ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure relativa, in ordine alla destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale, dovendo il giudice globalmente valutare, sulla base degli ulteriori parametri indicati nella predetta disposizione normativa, se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità esclusivamente personale della detenzione (tra le tante v., Sez. 6, 29 gennaio 2008, n. 17899, P.M. in proc. Corrucci; Sez. 6, 12 febbraio 2009, n. 12146, P.M. in proc. Delugu).

Di conseguenza, questo dato non appare sufficiente, da solo, a giustificare l’affermazione di responsabilità dello Z., ed infatti i giudici d’appello hanno preso in considerazione anche le modalità di confezionamento dello stupefacente, ritenendo, da un lato, che il frazionamento della sostanza in confezioni omogenee dimostrasse che la droga fosse "pronta per la cessione", dall’altro, che il facile deterioramento dei prodotti cannabici dovesse far presumere che il quantitativo detenuto fosse destinato alla cessione a terzi.

Un tale ragionamento avrebbe potuto giustificare l’affermazione di responsabilità dell’imputato, senonchè la sentenza trascura un elemento importante della vicenda, risultante dagli atti del processo, e cioè che lo Z. è stato arrestato subito dopo avere acquistato lo stupefacente dal M., cioè da colui che, stando alle sue stesse dichiarazioni, avrebbe frazionato e confezionato le dosi da vendere: questo significa che le modalità di confezionamento non possono essere imputate allo Z., con la conseguenza che viene meno un argomento su cui poggiava l’affermazione della detenzione finalizzata allo spaccio da parte dell’imputato.

In conclusione, le rilevate carenze della motivazione relative all’esclusione dell’uso personale delle sostanze stupefacenti detenute determinano l’annullamento della sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano perchè formuli un nuovo giudizio che tenga conto dei rilievi indicati.

5. – L’ultimo motivo in ordine alla mancata applicazione dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 resta assorbito dal disposto annullamento.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Milano.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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