Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-01-2011) 11-04-2011, n. 14448

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.R. e R.G. erano chiamati a rispondere, innanzi al Tribunale di Napoli, del reato di cui all’art. 110 c.p. e all’art. 595 c.p., commi 1, 2 e 3, perchè, in concorso tra loro e con G.G. che poneva in essere la condotta di cui al capo B), in qualità di ospiti intervenuti alla trasmissione televisiva (OMISSIS), mandata in onda dall’emittente (OMISSIS), offendevano la reputazione di Fe.Co., in sua assenza, pronunciando il primo le seguenti frasi: "Al posto di niente lei dovrebbe segnare la cifra: quanto ha prelevato dal (OMISSIS). Quanti miliardi…..una cosa è non cacciare niente….invece lei scriva i miliardi che lui…..al (OMISSIS)…. Se questa è una situazione patrimoniale allora dobbiamo mettere nella voce Fe. le cifre che ha prelevato dal (OMISSIS) impunemente, le cifre che ha sottratto….che ha sottratto ai (OMISSIS)", "che lui ha prelevato tantissimi miliardi dal (OMISSIS) senza un motivo valido"; e il secondo le seguenti frasi: la cosa grave è una sola che Co. ha la volontà di pigliare il (OMISSIS). Fe. tene a volontà se piglia ati sordi, "no, ma quello per anno ha preso barche di miliardi, ma barche di miliardi di giocatori venduti….Per me Fe. fa solamente quello che ha sempre fatto: quello di cercare di recuperare moneta e non andarsene mai….; con le circostanze aggravanti dell’attribuzione di un fatto determinato e di avere recato l’offesa con il mezzo radiotelevisivo.

Con sentenza del 27 aprile 2006, il GUP del Tribunale di Napoli dichiarava entrambi gli imputati colpevoli del reato loro ascritto e, per l’effetto, li condannava alla pena ritenuta di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.

Pronunciando sul gravame proposto dagli imputati, la Corte di Appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, assolveva il F. dal reato ascrittogli perchè il fatto non costituisce reato;

confermava, invece, la pronuncia di condanna nei confronti del R.. La diversità di conclusioni era giustificata con il rilievo che al F. poteva essere riconosciuta l’esimente di cui all’art. 51 c.p., quanto meno in forma putativa, sul riflesso che lo stesso, parte civile in un procedimento penale a carico del F., poi conclusosi con declaratoria di prescrizione, aveva fatto riferimento a documenti di quel processo e, segnatamente, ad una consulenza tecnica che dimostrava la pessima gestione societaria della società calcistica; le irregolarità contabili dei bilanci, l’occultamento delle somme costituenti le quote versate dai tifosi ad un’associazione collegata alla compagine sportiva e trasmigrate su conti diversi, sempre riferibili a soggetti che operavano nella società di calcio, per una movimentazione di circa trentacinque miliardi.

Avverso la sentenza anzidetta il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnativa, parte ricorrente deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett b) in relazione agli artt. 3, 111 Cost., agli artt. 595, 51 e 59 c.p. per inosservanza e/o applicazione del principio di parità tra le parti processuali quanto all’operatività dell’esimente del diritto di critica, seppure in forma putativa; insussistenza dell’elemento psicologico della diffamazione.

Il secondo motivo deduce identico vizio di legittimità in relazione all’art. 595 c.p.p., comma 2, per erronea applicazione della legge penale quanto alla sussistenza dell’aggravante di un fatto determinato, stante la genericità delle critiche rivolte alle operazioni gestionali della società (OMISSIS).

2. – Nella griglia delle proposte censure rilievo certamente pregiudiziale assume la prima doglianza, che critica la sentenza impugnata nella parte in cui, nel riconoscere al coimputato F. l’esimente putativa del diritto di critica, perveniva a conclusioni diffami relativamente all’odierno ricorrente.

All’esame dell’anzidetta censura giova, certamente, premettere un sintetico riferimento alla vicenda sostanziale.

Nel corso di una trasmissione televisiva a carattere sportivo, mandata in onda da un’emittente napoletana, i due ospiti della serata, F.R. e R.G., si sono lasciati andare – sia pure con toni, accenti ed eloqui diversi – ad espressioni diffamatorie nei confronti del presidente della società calcistica (OMISSIS), apertamente accusato di irregolarità gestionali e di distrazioni di danaro della stessa compagine sportiva.

Alla pronuncia di condanna in primo grado per entrambi gli imputati aveva fatto seguito, in appello, un giudizio differenziato: al F. era stata riconosciuta l’esimente del diritto di critica, con conseguente pronuncia di proscioglimento; al R. era stata, invece, confermata la statuizione di condanna. Il discrimen tra le due posizioni era ravvisato nel fatto che il F., costituitosi parte civile in un procedimento penale nei confronti del Fe.

(definito con pronuncia di prescrizione), aveva fatto riferimento ad atti di quel procedimento, segnatamente ad una consulenza contabile che aveva rivelato gravi irregolarità nella gestione della società calcistica, donde il ragionevole affidamento sulla verità di quanto denunciato, che è valso al F. il riconoscimento dell’esimente in forma putativa. Le accuse, sostanzialmente identiche, proferite dal R. erano state, viceversa, ritenute del tutto gratuite e, dunque, inescusabili.

3. – Questa, dunque, è la vicenda di fatto nei suoi tratti essenziali, a fronte della quale non è, ora, revocabile in dubbio la piena fondatezza della doglianza di parte ricorrente. Ed invero, il sottile distinguo operato dal giudice di appello è affidato ad elementi valutativi meramente congetturali, che rivelano tutta la loro arbitrarietà nella misura in cui non considerano che le accuse, sostanzialmente identiche sul versante dei contenuti e dell’attitudine offensiva, erano state pronunciate nello stesso contesto spaziotemporale, ossia nel corso della stessa trasmissione televisiva: dunque, in occasione di uno dei tanti chiassosi salotti di opinionisti o pseudo-tali, a bella posta imbastiti dalle emittenti locali, per cui il livello di audience conseguibile è direttamente proporzionale al coefficiente di esasperazione verbale, di sensazionalistico clamore od anche di rumorosa rissosità che gli ospiti di turno siano in grado di assicurare; il tutto, nell’agevole riconoscibilità, da parte dei telespettatori, del carattere di assai precaria affidabilità di quei pirotecnici dibattiti.

In siffatto, disinvolto, contesto comunicativo il più avveduto F. ha potuto giovarsi della personale esperienza maturata come parte privata di un procedimento penale a carico del Fe., potendo suffragare le sue accuse con riferimento ad atti di quel processo, nonostante che l’attendibilità delle relative risultanze non fosse consacrata da alcuna pronuncia di condanna. Il R., con un frasario colorito ed assai meno ricercato – nei termini riprodotti in rubrica – ha espresso, in buona sostanza, identiche accuse, che sono, poi, quelle stesse che nell’immaginario di ogni tifoso, non appena le prestazioni della squadra del cuore deludano le generali aspettative, alimentano facili e gratuite congetture su immancabili scelleratezze del presidente di turno, che, anzichè il bene della squadra e della tifoseria, pensi solo a perseguire il proprio personale interesse, magari lucrando sulla gestione societaria o vendendo irregolarmente i calciatori o non acquistandone di nuovi.

Non è stato, soprattutto, considerato che l’identità del contesto ambientale in cui le accuse del F. e del R. erano proferite, l’una quasi a supporto dell’altra, avrebbe dovuto consentire che l’efficacia scriminante della critica, riconosciuta per uno, si riverberasse, comunque, anche sulla posizione del secondo.

Irragionevolmente pertanto – e con motivazione palesemente illogica – è stata negata all’odierno ricorrente l’esimente di cui all’art. 51 c.p., anche per lui in forma putativa, e tale vistosa incongruenza inficia il tessuto motivazionale della sentenza impugnata, comportandone la nullità, che va, dunque, dichiarata nei termini indicati in dispositivo.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere il R. non punibile ex art. 51 c.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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