Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 26-01-2011) 11-04-2011, n. 14445Falsità in scrittura privata

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Messina confermava la sentenza del 5 marzo 2007, con la quale il Tribunale di Barcellona aveva assolto D.P.A. dal reato di cui all’art. 485 c.p. (per avere alterato la quietanza dell'(OMISSIS) apposta in calce alla scrittura privata di compravendita del 22.3.2001 sottoscritta dal C.G. e da D.P.A., aggiungendo la cifra 4 all’importo di L. 35.000.000 e la dicitura "a fronte della presente scrittura (diconsi quattrocentotrantacinquemilioni), così da far risultare il rilascio di una quietanza di pagamento da parte del C. per la somma di L. 400.000.000 in realtà al medesimo mai corrisposta: scrittura che depositava in copia nel procedimento civile n. 20225/01 instaurato dal C. avanti al Tribunale di Barcellona P.G. – sezione distaccata di Lipari.

Avverso la sentenza anzidetta il difensore della parte civile C. G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnativa, parte ricorrente deduce violazione dell’art. 606 lett. b) ed e) in relazione all’art. 533 c.p.p., comma 1 ed all’art. 485 c.p.; travisamento del fatto per omissione ed illogicità di motivazione. Si duole che non siano stati ravvisati nella fattispecie i presupposti del reato di cui all’art. 485 c.p. Il secondo motivo deduce identico vizio di legittimità per travisamento del fatto ed illogicità di motivazione.

Il terzo denuncia una discrasia tra i risultati probatori posti a base della sentenza impugnata e quelli emergenti dalle risultanze di causa.

Il quarto motivo deduce identico vizio di legittimità con riferimento agli artt. 521, 522, 598 e 604 c.p., per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

Lamenta, inoltre, il difetto di motivazione sul punto, con particolare riferimento alla richiesta di configurazione nel fatto degli estremi del reato di truffa aggravata.

2. – In limine, vanno delibate le eccezioni sollevate nella memoria difensiva depositata nell’interesse dell’imputato D.P.. In primo luogo, va disattesa quella relativa all’omesso avviso dell’avviso dell’udienza innanzi a questa Corte, sul riflesso che nessun avviso all’imputato è dovuto in presenza di ricorso della parte civile, a parte che ogni profilo di ipotetica irritualità sarebbe sanato dalla conoscenza della data di udienza, rivelata dalla stessa presentazione di memoria difensiva proprio per l’odierna udienza.

Quanto all’eccepito difetto di procura speciale in capo al difensore di parte civile ricorrente, l’eccezione è infondata, posto che in atti vi è procura datata 23.11.2006 che conferiva al difensore ogni più ampio potere, con specifico riferimento a quello di proporre impugnazione.

3. – Passando, ora, al merito delle questioni sollevate dalla parte civile, è certamente fondata quella relativa alla vistosa incongruenza e manifesta illogicità della struttura argomentativa della sentenza impugnata. Per meglio apprezzare il rilievo del vizio motivazionale giova, certamente, una sintetica puntualizzazione della vicenda, nei suoi contenuti di fatto e nel suo sviluppo processuale.

Orbene, dall’esame congiunto delle sentenze di primo e secondo grado, entrambe assolutorie, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, risulta che, di notte, attorno alle 22,30 – 11, davanti ad un bar di (OMISSIS), nel corso di un incontro tra C.G. e D.P. A., in presenza di P.G., madre dello stesso C., D.P. compilò una quietanza di pagamento, con riferimento ad una certa somma di danaro (in contanti o tantundem) che lui stesso aveva precedentemente versato alla controparte, per un titolo di pagamento in atti non specificato.

Fatto sta, che successivamente – avendone riscontrato l’allegazione in un giudizio civile pendente con lo stesso D.P. – il C. si avvide che la quietanza recava l’aggiunta di un 4 a quello che, a suo dire, era l’importo originale di L. 35.000.000, con relativa aggiunta in lettere dell’importo cosi rettificato.

Da qui l’imputazione a carico del D.P. ai sensi dell’art. 485 c.p. Nel corso del giudizio di primo grado è stata disposta apposita perizia grafica, che nel confermare che l’intero testo della quietanza era di pugno del D.P., non ha potuto ovviamente nulla riferire in ordine al tempo dell’apposizione dell’importo e la dicitura in lettere, ossia se fossero state aggiunte o meno contestualmente o successivamente alla sottoscrizione dell’atto. La sentenza impugnata riferisce di un’osservazione del perito, in sede di esame dibattimentale, che ha ritenuto non verosimile l’alterazione dell’importo sopra specificato, soprattutto quello riportato in lettere.

Alla stregua di tale risultanza e delle testimonianze del C. e della P. i giudici di merito hanno ritenuto che non vi fosse certezza alcuna che il D.P. avesse alterato la quietanza, tenuto peraltro conto che le dichiarazioni della persona offesa e della di lui madre non potevano ritenersi attendibili, siccome provenienti da parte interessata.

Tale sbrigativa conclusione era inaccettabile, per due distinte ragioni. In primo luogo, perchè si fonda su evidente travisamento delle risultanze dell’accertamento peritale, la cui ovvia incertezza sui tempi dell’eventuale aggiunta, non poteva comunque infirmare il dato certo, pacificamente riscontrato, che la quietanza fosse interamente di pugno del D.P. e quindi che eventuali postume aggiunte – se effettivamente vi fossero state – erano certamente a lui imputabili.

In secondo luogo, è stata ignorata un’imponente prova logica, a sostegno dell’ipotesi accusatoria dell’aggiunta successiva e della sua esclusiva riferibilità allo stesso D.P.. Ed infatti, per quanto si è detto, nella dinamica del rapporto negoziale tra le parti, era stato il C. ad effettuare un pagamento, del quale, evidentemente, la quietanza avrebbe dovuto dare atto. Pur nella singolarità del fatto che l’atto di quietanza sia poi trattenuto dallo stesso debitore ( D.P.), senza che, quantomeno, una copia fosse rilasciata alla controparte, rileva comunque che il D.P. aveva ovvio interesse a far figurare un pagamento in misura di gran lunga superiore a quello effettuato, tant’è che la quietanza venne da lui versata in un giudizio civile pendente con la controparte.

3. – L’illogicità dell’argomentazione è certamente manifesta e tale da invalidare l’intero costrutto motivazionale della sentenza impugnata, comportandone, sia pure ai soli effetti civili, l’annullamento.

Occorre, pertanto, provvedere come da dispositivo con rinvio al competente giudice civile per nuovo giudizio.
P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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