T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 06-04-2011, n. 3029 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

Con ricorso notificato alle Amministrazioni in epigrafe indicate in data 24 gennaio 2011 e depositato in data 17 febbraio 2011 espone il ricorrente di essere proprietario dell’unità immobiliare situata in Pomezia loc. Torvaianica Lungomare delle Sirene, immobile che fa parte di un più ampio fabbricato realizzato negli anni cinquanta su alcune aree di proprietà privata in prossimità del demanio marittimo. Il Comune aveva autorizzato la realizzazione di detto fabbricato approvandone il relativo progetto in data 17 maggio 1951 e la stessa amministrazione comunale asseverava la piena conformità dell’edificio al progetto approvato in commissione edilizia.

Rappresenta altresì che in data 16 aprile 2009, senza che per quasi sessant’anni sia stata posta in essere alcuna attività repressiva, la Guardia Costiera di Torvaianica rilevava che "una porzione della particella catastale di pubblico demanio n. 2348 foglio 25 risulta utiilizzata come cortile accorpato alla retrostante proprietà privata mediante delimitazione in muratura e sovrastante ringhiera metallica sul lato fronte mare e sui lati nord e sud. In particolare, dalle misurazioni effettuate e dalle verifiche delle mappe catastali del S.I.S. la porzione di pubblico demanio marittimo utilizzato come cortile pavimentato, ha una superficie totale compresi i muretti di delimitazione di circa mq. 55,00, con una larghezza fronte mare di mt. 13,10 circa e per una profondità di m. 4,20 circa. Inoltre la parte centrale del citato cortile risulta coperta da una tettoia in lamiera coibentata di mq. 21,00 circa (larghezza fronte mare di mt. 5,00 circa x mt. 4,20 circa di profondità) e lungo il muretto di delimitazione fronte mare, vi è un piccolo accesso verso il mare chiuso con cancello in ferro".

Espone ancora che successivamente la Guardia di Finanza rilevava l’assenza dell’autorizzazione doganale richiesta dall’art. 19 del d.lgs. n. 374 del 1990, sicché parte ricorrente ne richiedeva il relativo rilascio che avveniva con atto n. 23448 del 12 aprile 2010.

Il Comune di Pomezia, intanto, in data 12 novembre 2010 richiedeva il pagamento del canone demaniale per la superficie di mq. 55, richiesta contestata dall’esponente, che tuttavia si vedeva ingiungere anche la demolizione delle opere sopra descritte con l’atto impugnato.

Avverso tali provvedimenti parte ricorrente deduce:

1. Violazione e falsa applicazione del principio di affidamento; violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità e adeguatezza dell’azione amministrativa; violazione e falsa applicazione del principio di imparzialità; difetto di motivazione; difetto di istruttoria; erroneità dei presupposti in fatto ed in diritto.

2. Violazione e falsa applicazione degli articoli 7 e 8 della legge n. 241 del 1990; violazione e falsa applicazione delle norme e principi che impongono all’amministrazione di comunicare l’avvio del procedimento; violazione e falsa applicazione degli articoli 9 e 10 della legge n. 241 del 1990; violazione e falsa applicazione del diritto di partecipazione al procedimento; eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria; violazione e falsa applicazione del principio di imparzialità; violazione e falsa applicazione dello Statuto comunale.

3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; difetto di motivazione; difetto di istruttoria; erroneità dei presupposti in fatto e in diritto; travisamento dei fatti.

4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241; difetto di motivazione; difetto di istruttoria; erroneità dei presupposti in fatto e in diritto; travisamento dei fatti; irragionevolezza; illogicità.

5. Difetto di competenza; violazione e falsa applicazione dell’art. 54 C.N.; violazione e falsa applicazione dell’art. 59 d.P.R. n. 6161/1977, violazione falsa applicazione degli articoli 1 e 105 del d.lgs. n. 112 del 1998; violazione e falsa applicazione dell’art. 77 della L.R. Lazio 6 agosto 1999, n. 14; violazione e falsa applicazione della Circolare del Ministero dei Trasporti n. 120 del 24 maggio 2001.

Parte ricorrente conclude per l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

L’Amministrazione comunale si è costituita in giudizio e contestando tutte le doglianze ha raggiunto conclusioni opposte a quelle dell’esponente.

Con memoria per l’udienza camerale quest’ultima ha prodotto in atti l’istanza di concessione demaniale indirizzata all’Amministrazione comunale in data 23 febbraio 2011.

Il ricorso è stato trattenuto per la decisione in forma semplificata alla Camera di Consiglio del 3 marzo 2011, avvertitene all’uopo le parti costituite.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Con esso l’esponente impugna l’ordinanza con la quale, a seguito della vicenda meglio in narrativa esposta, l’Amministrazione comunale di Pomezia ha ingiunto la demolizione di opere realizzate su demanio pubblico marittimo per circa mq. 55,00 di cortile pavimentato con una larghezza fronte mare di mt. 13,10 ed una profondità di mt. 4,20 circa, in parte coperto da una tettoia in lamiera coibentata di mq. 21,00 e con un piccolo accesso dal mare chiuso con un cancello in ferro, come da verbale del 16 aprile 2009 emesso dalla Capitaneria di Porto di Roma – Guardia Costiera di Torvaianica.

Ed impugna pure l’ingiunzione al pagamento dell’indennità per occupazione demaniale abusiva, meglio in epigrafe indicata.

2. Avverso tali provvedimenti parte ricorrente ha proposto cinque censure che saranno partitamente esposte ed esaminate.

2.1 Conviene esaminare la censura di incompetenza proposta da parte ricorrente per ultima.

Va infatti osservato che benché il Codice del Processo Amministrativo in ordine al vizio di incompetenza non rechi più la dicitura già portata dall’art. 26 della Legge TAR e secondo cui se il tribunale amministrativo regionale "accoglie il ricorso per motivi di incompetenza, annulla l’atto e rimette l’affare all’autorità competente" è da rilevare che la nuova disciplina delle "sentenze di merito" recata dall’art. 34 del Codice prescrive che "In nessun caso il giudice può pronunciare con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati".

Sostanzialmente dunque ancorché non risulta esplicitamente la riserva di amministrazione sancita dall’art. 26 della Legge TAR, il secondo comma dell’art. 34 del Codice, una volta rilevata l’incompetenza che quindi consente di individuare il corretto soggetto amministrativo che deve adottare legittimamente il provvedimento in tal senso viziato, inibisce comunque al giudice amministrativo di pronunciarsi sui restanti motivi di ricorso con conseguente rinvio della questione al soggetto competente.

Ciò premesso il vizio è comunque insussistente.

Con esso parte ricorrente lamenta che l’ordinanza non doveva essere adottata dall’Amministrazione comunale ma dalla competente autorità marittima. La competenza di quest’ultima si incardinerebbe in quanto, pur volendo considerare i processi di decentramento amministrativo a favore delle amministrazioni locali, tuttavia lo Stato ha lasciato in capo all’autorità marittima i poteri di polizia amministrativa nelle specifiche ipotesi in cui il presunto abuso non si correli ad una concessione demaniale precedentemente rilasciata. La legge regionale n. 14 del 1999 e la successiva n. 13 del 2007 correlano i poteri dei Comuni in ordine al demanio marittimo alle funzioni di "rilascio, rinnovo, revoca delle concessioni relative alle aree del demanio marittimo, comprese quelle immediatamente prospicienti per finalità turistiche e ricreative nonché la relativa vigilanza". Al di fuori di tali funzioni i Comuni non hanno competenze in materia di demanio marittimo, men che meno in materia di vigilanza e polizia amministrativa che ai sensi dell’art. 54 C.N. rimangono nella titolarità dell’autorità marittima. E tale interpretazione sarebbe anche confermata dalla circolare ministeriale n. 120 del 24 maggio 2001 laddove si fa riferimento ai poteri di autotutela dell’autorità marittima alla quale competono i provvedimenti repressivi degli eventuali "abusi che incidono sui limiti del demanio marittimo o che abbiano comportato o possano comportare la realizzazione, da parte di non concessionari, di impianti, manufatti ed opere ed in ogni caso in cui sia ravvisabile un pregiudizio all’integrità della proprietà statale".

La ricostruzione normativa non può essere condivisa.

In primo luogo quand’anche si volesse ritenere la sussistenza di poteri statali relativamente alla vigilanza delle aree demaniali marittime come è quella parzialmente occupata dall’esponente con i manufatti sopra indicati, essa è smentita dal tenore letterale del provvedimento che in premessa reca il chiaro riferimento al verbale della Capitaneria di Porto di Roma, di tal che l’Amministrazione comunale apparirebbe semmai aver operato proprio in esecuzione di poteri statali di vigilanza esercitati dalla competente Capitaneria di Porto.

Ma il corretto riparto di competenze tra organi statali, regionali e comunali è ampiamente ricostruito dalla sentenza della seconda sezione del T.A.R. Lazio in data 30 agosto 2010 al n. 31953 dalle cui posizioni il Collegio non ritiene di dissentire.

Prendendo le mosse dai decreti legislativi sul decentramento delle funzioni già appartenenti allo Stato e transitate alle Regioni e cioè il d.lgs. n. 112 del 1998, la sezione seconda ricostruisce che "In particolare, tra le funzioni conferite alle regioni si menzionano al comma 2, lett. l), dell’articolo 105 del D.Lgs. citato, quelle relative al rilascio di concessioni di beni del demanio della navigazione interna, del demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità diverse da quelle di approvvigionamento di fonti di energia; tale conferimento non opera (afferma la parte conclusiva della lett. l), comma 2 dell’articolo 105) nei porti e nelle aree di interesse nazionale individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 21.12.1995.".

Secondo l’art. 104 del menzionato decreto legislativo allo Stato sono mantenute "la disciplina e la sicurezza della navigazione marittima (art. 104, lett. v), nonché l’utilizzazione del pubblico demanio marittimo e di zone del mare territoriale per finalità di approvvigionamento di fonti di energia (art. 104, lett. pp)."

Osserva la seconda sezione che: "Dal combinato disposto dell’articolo 104 – lettere v e pp- e dell’articolo 105, commi 1 e 2, lettera l, del D.Lgs. 112 del 1998 emerge, dunque, un quadro di riferimento nel quale il demanio marittimo è considerato essenzialmente sotto il profilo funzionale, piuttosto che della sola appartenenza. Restano, infatti, allo stato funzioni relative ad usi specifici, di portata nazionale, quali la sicurezza della navigazione marittima e l’approvvigionamento energetico: tutto il resto – proprio sulla base della lettura della lettera pp) dell’articolo 104 e del comma 1 dell’articolo 105 (… sono conferite alle regioni e agli enti locali tutte le funzioni non espressamente indicate negli articoli del presente capo.)- deve intendersi trasferito alle regioni e, tendenzialmente, in via di ulteriore decentramento, ai comuni.

Sul punto va richiamata la normativa di cui al D.Lgs. n. 96 del 30.03.1999, che all’articolo 42 (funzioni dei comuni) dispone: "Sono esercitate dai Comuni le funzioni amministrative previste dall’articolo 105, comma 2, lettere f) e l) del D.Lgs. 112/1998".

Il d.lg. 30 marzo 1999 n. 96 ha, pertanto, previsto l’intervento sostitutivo del Governo per la ripartizione delle funzioni amministrative tra regioni ed enti locali fino alla entrata in vigore delle relative leggi regionali." (TAR Lazio, n. 31953/2010 cit.).

Sotto il profilo della legislazione regionale la sezione ancora rileva: "Da quanto in precedenza esposto emerge come la competenza in materia di rilascio delle concessione demaniali marittime sia stata trasferita alle Regioni e quindi agli enti locali.

La Regione Lazio ha disciplinato la materia con la L.R. LAZIO 6/8/1999 n. 14, rubricata " organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo"."

Segue una accurata disamina delle disposizioni della detta legge regionale, con particolare riferimento agli articoli 77 recante la rubrica " Funzioni e compiti dei comuni", all’art. 129 riguardante, invece, le " Funzioni e compiti della Regione", e, all’art. 131 recante nuovamente " Funzioni e compiti dei comuni", che costituisce la chiosa della ricostruzione normativa e stante il cui primo comma "Fermo restando quanto stabilito nell’articolo 5, commi 2 e 3, s’intendono attribuiti ai comuni, in conformità a quanto previsto nel comma 1 dello stesso articolo, le funzioni ed i compiti amministrativi non espressamente riservati alla Regione e non conferiti agli altri enti locali."

Sicchè la sezione seconda trae la conclusione che "…alla stregua della corretta interpretazione delle norme di cui sopra deve ritenersi che, nella Regione Lazio, le funzioni ed i compiti amministrativi non espressamente riservati alla Regione e non conferiti agli altri enti locali, sono attribuiti ai Comuni. E, poiché il rilascio delle concessioni demaniali marittime diverse da quelle indicate nel richiamato art. 129 non sono state specificatamente riservate alla regione, le stesse devono ritenersi essere state demandate ai comuni.

In ogni caso non può validamente sostenersi che la competenza nella materia sia rimasta in capo allo Stato, come invece dedotto in ricorso."; e che: "Pertanto le funzioni amministrative relative al demanio marittimo (trasferite, insieme ad altri settori, in capo alle regioni ed agli enti locali, per effetto dell’art. 105 commi 1 e 2 d.lg. n. 112 del 1998 e successivamente attribuite ai comuni, ai sensi dell’art. 42 d.lg. n. 96 del 1999) sono legittimamente esercitate dai comuni della regione Lazio a far tempo dalla data di pubblicazione del d.P.C.M. 22 dicembre 2000 (Gazz. Uff. n. 43, s.o., del 21 febbraio 2001), relativo al trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative per l’esercizio di dette funzioni." (TAR Lazio, n. 31953/2010).

Non appare condivisibile, infine, l’interpretazione offerta in ricorso della legge regionale 6 agosto 2007, n. 13, articolo 5, comma 2 laddove viene ulteriormente precisato che i Comuni " svolgono, altresì, funzioni e compiti amministrativi delegati concernenti il rilascio, il rinnovo, la revoca delle concessioni relative alle aree del demanio marittimo, comprese quelle immediatamente prospicienti, per finalità turistiche e ricreative nonché la relativa vigilanza." e con la quale parte ricorrente tende a ricondurre la attività di vigilanza da detta norma prevista soltanto nel caso in cui vi sia in atto un rapporto concessorio. La norma va riportata al corretto riparto di competenze in materia edilizia da un lato ed in materia di gestione del demanio marittimo dall’altro.

In particolare la tesi esposta appare essere il frutto della confusione tra concessione demaniale e titolo abilitativo edilizio il cui rilascio è disciplinato dal d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, laddove la vigilanza in materia edilizia è specificamente attribuita dal d.lgs. 18 agosto2000, n. 267 alla dirigenza comunale (art. 107, comma 1 lett. g)).

A tal riguardo è bene chiarire che solitamente la concessione demaniale è il presupposto del rilascio del titolo abilitativo edilizio per la realizzazione di manufatti su suolo demaniale e non viceversa, tranne nei casi, previsti dalle norme, di provvedimenti abilitativi in sanatoria, stante la chiara lettera del Testo Unico dell’Edilizia il cui art. 8 stabilisce che "La realizzazione da parte di privati di interventi edilizi su aree demaniali è disciplinata dalle norme del presente testo unico.", stante, altresì, il successivo art. 35 che disciplina espressamente il caso degli interventi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di Enti Pubblici senza permesso a costruire, come è quello in esame, e stante l’art. 55 C.N. che sottopone a titolo abilitativo l’esecuzione di nuove opere sul demanio marittimo.

2.2.Ciò chiarito in ordine al soggetto competente ad adottare provvedimenti repressivi relativi a costruzioni realizzate sine titulo sul demanio marittimo, anche le altre censure non possono essere condivise.

In particolare con la prima parte ricorrente lamenta che l’Amministrazione dopo più di sessant’anni, senza adottare alcun provvedimento intermedio, è intervenuta con l’ingiunzione a demolire del tutto inopinatamente e violando il principio dell’affidamento, in assenza di un attuale, specifico e concreto interesse pubblico. Sotto tale profilo il provvedimento appare scarsamente motivato, soprattutto se si pone mente alla origine remota del manufatto e nelle considerazione che il fabbricato, nel suo complesso esiste ben dal 1951, senza che alcuna delle precedenti Amministrazioni comunali abbia mai avuto a ridire. Deve pure essere evidenziato che l’Amministrazione delle Dogane ha rilasciato la sua autorizzazione nella considerazione che la presunta occupazione demaniale "non costituisce ostacolo ai fini della vigilanza doganale".

Unitamente a tale censura può essere esaminata anche la terza con la quale l’esponente deduce ancora che il provvedimento è illegittimo per mancanza di motivazione e difetto di istruttoria nel senso che non specifica e chiarisce l’effettiva riferibilità della particella demaniale occupata dalla proprietà interessata, né dimostra perché il balcone del primo piano e del cortile debbano reputarsi abusivamente posizionati sul demanio.

Come ritenuto in altre occasioni dalla sezione la risalenza delle opere può avere rilievo, nell’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso e per il protrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato, come avviene nel caso in esame, (TAR Lazio sezione I quater, 11 settembre 2009, n. 8590 e giurisprudenza ivi citata), ma essa non comporta che l’Amministrazione possa continuare a rimanere inerte di fronte ad un abuso edilizio, come pare ritenersi in ricorso, quanto piuttosto comporta l’obbligo di motivare congruamente, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, sull’interesse pubblico (diverso da quello al semplice ripristino della legalità) che giustifichi il sacrificio del contrapposto interesse privato.

Nel caso in esame, come sopra accennato, il provvedimento non appare sprovvisto di motivazione, dal momento che in primis viene proprio citato il verbale del 16 aprile 2009 con il quale la Capitaneria di Porto di Roma ha fatto constatare la violazione degli art. 54, 55 e 1161 C.N., dopo di che al Comune non restava altra condotta che quella di adottare il provvedimento censurato, che, sotto questo profilo, appare dunque espressione di attività del tutto vincolata.

Nel prosieguo la motivazione dell’ordinanza del tutto correttamente indica le ragioni giuridiche per la sua adozione, al punto che parte ricorrente è stata messa in condizione di ripercorrere l’iter logico giuridico che ha presieduto alla sua adozione.

In ordine poi alla terza censura, che per l’aspetto da ultimo rilevato si riaggancia alla prima, il dedotto difetto di motivazione, come dovuto ad una imprecisa identificazione dell’area, appare pure smentito dalla descrizione delle superfici abusivamente occupate recata dal provvedimento, sicchè esso non può proprio essere considerato di contenuto generico e va inoltre esclusa la circostanza che l’Amministrazione non abbia operato un bilanciamento tra l’interesse pubblico alla rimozione dell’opera e quello del privato al suo mantenimento, trattandosi oltre tutto di superfici dalle misure non esorbitanti (mq. 55,00 di cortile pavimentato).

Oltre a ciò devesi ancora rilevare che per giurisprudenza pure costante della sezione le censure formali proposte da un soggetto avverso un’ordinanza di demolizione quali sono il difetto di motivazione e l’eccesso di potere per difetto di istruttoria non possono più condurre all’annullamento del provvedimento, alla stregua dell’art. 21 octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, laddove il ricorrente non dimostri che il suo contenuto avrebbe potuto essere diverso (TAR Lazio, sezione I quater, 11 gennaio 2011, n. 123 e la giurisprudenza ivi citata, tra cui: TAR Puglia, Bari, sezione III, 10 giugno 2010, n. 2406), mentre per le superiori considerazioni tale prova non appare, nel caso, raggiunta, essendo l’ordinanza gravata rivolta alla protezione di un bene demaniale, la cui natura parte ricorrente non riesce a scalfire posto che, pur essendo la costruzione principale costruita nel 1951 e su suolo privato, l’estensione del cortile pavimentato occupa suolo pubblico.

La circostanza che parte ricorrente abbia anche ottenuto nel 2010 la concessione dall’Agenzia delle Dogane poiché l’occupazione del suolo demaniale "non costituisce ostacolo ai fini della vigilanza doganale", non rileva ai fini della motivazione del provvedimento esaminato, poiché l’atto abilitativo in questione è stato adottato da organo preposto alla tutela di altri aspetti del bene demaniale, e cioè quello della salvaguardia della linea doganale ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, in applicazione del quale l’autorizzazione postuma è stata rilasciata all’esponente e non per la tutela del bene demaniale in quanto tale.

In conclusione, oltre tutto, la censura appare anche inammissibile, dal momento che, in data 28 febbraio 2011, con memoria per la Camera di Consiglio, parte ricorrente ha prodotto copia dell’istanza di rilascio della concessione demaniale, con ciò mostrando di essere bene a conoscenza della violazione, contestatagli col provvedimento in esame, in ordine agli articoli 54, 55 e 1161 C.N., stanti i quali l’esecuzione di opere entro una zona di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei terreni elevati sul mare è sottoposta all’autorizzazione dell’Autorità demaniale marittima.

2.3. Con la seconda doglianza l’esponente lamenta poi che l’Amministrazione comunale non ha comunicato l’avvio del procedimento impedendo di rappresentare le proprie ragioni, omettendo anche di rappresentare i motivi di urgenza in base ai quali la comunicazione non è stata effettuata.

Analogamente a quanto sopra rilevato in ordine ai vizi formali, lo stesso art. 21 octies, secondo comma, ultimo capoverso impedisce l’annullamento del provvedimento vincolato "qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato" (TAR Lazio, sezione I quater, 10 dicembre 2010, n. 36046 e la giurisprudenza ivi citata tra cui, sull’argomento: TAR Umbria, Perugia, 28 ottobre 2010, n. 499) e l’Amministrazione, costituendosi in giudizio ha per l’appunto contestato ognuna delle doglianze proposte da parte ricorrente avverso il provvedimento in analisi.

2.4 Infine con il quarto motivo l’esponente rappresenta pure che il provvedimento impugnato è illegittimo in quanto l’amministrazione non ha minimamente considerato gli effetti pregiudizievoli che la demolizione comporterebbe all’unità immobiliare.

Alla coltivazione di tale motivo parte ricorrente pare avere perso interesse, presentando la domanda di rilascio della concessione demaniale marittima, per come sopra accennato.

3. Per le superiori considerazioni i provvedimenti vanno trovati scevri dalle dedotte censure con conseguente reiezione del ricorso.

4. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente Marco Reali al pagamento di Euro 1.500,00 (Euro 750,00 cadauno) per spese di giudizio ed onorari a favore del Comune di Pomezia ed al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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