Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-03-2011) 12-04-2011, n. 14693

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il G.U.P. del Tribunale di Pescara, con sentenza del 18.06.2009, dichiarava E.M.Y. e S.K. colpevoli in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e, per quanto attiene a E.M. anche in ordine al reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4 e, concesse al primo le circostanze attenuanti generiche da ritenersi equivalenti alla recidiva, applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, condannava E.M.Y. alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 18.000 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 7 e alla pena di giorni 20 di arresto ed Euro 200,00 di ammenda per il reato di cui alla L. n. 110 del 1975, art. 4 S.K. alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 20.000 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali e di quelle di custodia in carcere, con la confisca di quanto in sequestro e la distruzione dello stupefacente.

Avverso la sopra indicata sentenza proponevano appello gli imputati e il Procuratore Generale. La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza datata 17.03.2010, oggetto del presente ricorso, in parziale riforma della sentenza emessa nel giudizio di primo grado, esclusa per il primo imputato la contestata recidiva, rideterminava la pena, quanto al medesimo, in anni due, mesi otto di reclusione ed Euro 12.000 di multa e, quanto al S.K., per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 in anni sei, mesi otto di reclusione ed Euro 30.000 di multa; confermava nel resto l’impugnata sentenza.

La Corte di appello,pertanto, in punto di responsabilità, confermava la sentenza emessa nel giudizio di primo grado.

Avverso tale sentenza proponevano distinti ricorsi per cassazione E. M.Y. e S.K., a mezzo dei loro difensori, e concludevano chiedendone l’annullamento.
Motivi della decisione

E.M.Y. ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

1) error in persona – violazione di legge. Secondo il ricorrente la sentenza impugnata sarebbe motivata in modo contraddittorio con riferimento alla sua esatta identità e quindi sussisterebbe una nullità che dovrebbe portare alla regressione del procedimento alla fase in cui tale incertezza sulla identità si era verificata.

2) Violazione di legge- difetto assoluto di prova, in quanto, nella documentazione processualmente utilizzabile, non risulterebbe alcun elemento atto a dimostrare le reali dimensioni e le fattezze del coltello sequestrato.

3) Violazione di legge processuale penale – difetto assoluto di prova – omessa valutazione dei motivi di appello. Osservava sul punto il ricorrente che non sarebbe stata individuata esattamente la quantità della droga per cui egli era stato condannato, in quanto ci sarebbero contraddizioni nel rapporto dell’ARTA sia in merito alla quantità, sia in merito al principio attivo della droga sequestrata. Sul punto, precisava il ricorrente, c’era un preciso motivo di appello su cui il giudice di secondo grado non si era pronunciato.

4) Manifesta illogicità della motivazione-violazione di legge.

Evidenziava il ricorrente di avere sempre collaborato con gli inquirenti, fra l’altro, consegnando loro un foglio del giornale " (OMISSIS)" datato (OMISSIS) in cui si parlava dell’arresto di colui che lo aveva mandato a (OMISSIS) per trasportare fino a (OMISSIS) la sostanza stupefacente di cui è processo. Purtuttavia i colloqui tra i due indagati, che parlavano in arabo, erano stati trascritti dagli agenti operanti, non esperti in tale lingua, senza indicare il nome dell’interprete che aveva provveduto alla traduzione delle conversazioni stesse. Neppure erano state disposte successive operazioni peritali, intese a suffragare la utilizzabilità degli atti,nè erano stati messi a disposizione della difesa i supporti informatici aventi ad oggetto i colloqui telefonici intercettati.

5) Mancata applicazione dell’art. 81 c.p. – violazione di legge , dovendosi ritenere la sussistenza del concorso formale tra i due reati contestatigli.

Anche S.K. ha censurato la sentenza emessa dalla Corte di appello di L’Aquila per i seguenti motivi:

1) carenza di motivazione in ordine alla sua penale responsabilità, in quanto l’atteggiamento da lui tenuto e il contenuto delle intercettazioni telefoniche con l’imputato E.M., che stava arrivando in treno alla stazione di Pescara, non proverebbero la sua responsabilità, potendo essere interpretate in modo diverso rispetto a quanto ritenuto dagli inquirenti.

2) Carenza di motivazione in merito alla determinazione della pena, in seguito all’accoglimento dell’appello del Procuratore Generale, dal momento che gli sarebbero state immotivatamente negate le circostanze attenuanti generiche e non sarebbero stati adeguatamente valutati i profili che avevano determinato l’applicazione nei suoi confronti della recidiva.

I proposti ricorsi sono palesemente infondati in quanto ripropongono questioni di merito a cui la sentenza impugnata ha dato ampia e convincente risposta e mirano ad una diversa ricostruzione del fatto preclusa al giudice di legittimità.

Tanto premesso si osserva che i ricorsi proposti per mancanza e manifesta illogicità della motivazione selezionano un percorso che si esonera dalla individuazione dei capi o dei punti della decisione cui si riferisce l’impugnazione ed egualmente si esonerano dalla indicazione specifica degli elementi di diritto che sorreggono ogni richiesta. Le censure che investano la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione impongono una analisi del testo censurato al fine di evidenziare la presenza nel testo scritto dei vizi denunziati. Viceversa la censura che denunzia la mancanza di motivazione ha il compito di far emergere una assenza, un vuoto di motivazione, cioè ha il compito di portare ad emersione ciò che manca e che esclude il raggiungimento della funzione giustificativa (della decisione adottata) di ogni motivazione. Una censura che denunzia mancanza di motivazione deve fornire specifica indicazione delle questioni precedentemente poste, specifica comparazione tra questioni proposte e risposte date, approfondita e specifica valutazione della motivazione impugnata per evidenziare come nonostante l’apparente esistenza di una compiuta motivazione si sia viceversa venuta a determinare la totale mancanza della stessa, deve fornire attenta individuazione dei vuoti specifici che hanno determinato quella mancanza complessiva.

Tutto ciò non è rintracciabile nel ricorso di E.M.Y. e S.K. che mancano di qualsiasi considerazione per la motivazione della sentenza della Corte di Appello di L’Aquila, che conferma, in punto di responsabilità, quella del GUP di Pescara e lungi dall’individuare specifici vuoti o difetti di risposta che costituirebbero la complessiva mancanza di motivazione, si dolgono del risultato attinto dalla sentenza impugnata e accumulano circostanze che intenderebbero ridisegnare il fatto loro ascritto in chiave per loro favorevole, al fine di ottenere in tal modo una decisione solamente sostitutiva di quella assunta dal giudice di merito.

Nella sentenza oggetto di ricorso appare infatti chiaro il percorso motivazionale che ha indotto i Giudici della Corte di Appello di L’Aquila a ritenere la responsabilità di entrambi i ricorrenti in ordine ai reati loro ascritti e a rideterminare per entrambi la pena, come indicato nel dispositivo.

La sentenza impugnata ha rilevato infatti correttamente che, in punto di responsabilità, il tenore delle conversazioni intercettate non lascia margini di dubbio in merito al fatto che il S. fosse ben a conoscenza che l’amico E.M. stava arrivando in treno alla stazione di Pescara con la sostanza stupefacente che egli stava aspettando. Nell’occasione egli era stato visto dagli agenti operanti ispezionare la predetta stazione e poi telefonare a E.M. per dirgli che era "tutto a posto", dopo che quest’ultimo gli aveva chiesto di verificare se "la casa fosse pulita o no". Quanto alle doglianze di E.M. correttamente la sentenza impugnata ha rilevato che non vi è alcun motivo per dubitare dell’affidabilità degli accertamenti dell’ARTA per quanto attiene alla quantità e al principio attivo dello stupefacente sequestrato. Parimenti ha rilevato come non vi fosse alcuna necessità di procedere ad accertamento tecnico sul coltello sequestratogli. Anche a proposito della identificazione dell’imputato E.M. la sentenza impugnata è correttamente motivata, in quanto la stessa ha giustamente osservato che, avendo egli dichiarato di essere nato in (OMISSIS), non vi è alcun motivo per ritenere che le sue generalità non corrispondano a quelle del secondo certificato presente in atti, sulla cui base egli risulta incensurato, e che egli, quindi, non si identifichi con l’omonimo, nato a (OMISSIS) di cui al primo certificato. Correttamente poi i giudici della Corte di appello hanno confermato la sentenza emessa nel giudizio di primo grado, laddove non ha ritenuto il concorso formale ex art. 81 c.p. tra i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e L. n. 110 del 1975, art. 4 mancando, all’evidenza, i presupposti giustificativi dello stesso.

Infine palesemente infondato è il quarto motivo di ricorso di E. M.Y., essendosi il processo a suo carico svolto nelle forme del giudizio abbreviato, "allo stato degli atti", e non risultando alcuna eccezione della difesa in merito alla correttezza delle trascrizioni effettuate dagli agenti operanti delle conversazioni telefoniche intercettate tra i due imputati.

Quanto al trattamento sanzionatorio applicato al S., correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto che egli, gravato da precedenti penali anche specifici, in considerazione della gravità del fatto contestatogli, non fosse meritevole delle circostanze attenuanti generiche, mentre ha ritenuto fondato l’appello del Procuratore Generale presso la Corte d’appello di L’Aquila e ha determinato l’aumento della pena in considerazione della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale, che per i motivi sopra indicati gli doveva essere riconosciuta, nella misura da quest’ultimo indicata. Pertanto nè rispetto ai capi nè rispetto ai punti della sentenza impugnata, nè rispetto all’intera tessitura motivazionale che nella sua sintesi è coerente e completa, è stata in alcun modo configurata la protestata assenza o manifesta illogicità della motivazione.

I ricorsi proposti non vanno in conclusione oltre la mera enunciazione del vizio denunciato e dunque essi sono inammissibili con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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