Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 05-05-2010) 01-07-2010, n. 24803 ASSOCIAZIONI DI TIPO MAFIOSO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 17.12.2008 la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della pronuncia di primo grado resa in esito a rito abbreviato, così statuiva in ordine alle posizioni che ancora interessano in questa sede di legittimità:

– B.N.A. – colpevole del reato di cui al capo A della rubrica e così condannato, in concorso di generiche equivalenti, alla pena di anni 3 di reclusione;

– C.J. – colpevole dei reati di cui ai capi A, O, Q, BB, CC, FF, e così condannato, in concorso di generiche equivalenti e ritenuta la continuazione, alla pena di anni 6, mesi 9 e giorni 10 di reclusione, di cui anni 3 condonati ex L. n. 241 del 2006;

– I.S. – colpevole dei reati di cui ai capi A, D, E, O, Q, e così condannato, ritenuta la continuazione, alla pena di anni 6, mesi 9 e giorni 10 di reclusione, di cui anni 3 condonati ex L. n. 241 del 2006;

– E.A. – colpevole dei reati di cui ai capi A, N, BB, CC, e così condannato, in concorso di generiche equivalenti e ritenuta la continuazione, alla pena di anni 6 e mesi 10 di reclusione, di cui anni 3 condonati ex L. n. 241 del 2006;

– O.I. – colpevole dei reati di cui A, N, EE, e così condannato, in concorso di generiche prevalenti e, per la collaborazione, dell’attenuante ex L. n. 203 del 1991, art. 8, ritenuta la continuazione, alla pena di anni 3, mesi 9 e giorni 10 di reclusione, di cui mesi 8 condonati ex L. n. 241 del 2006;

– T.N. – colpevole dei reati di cui ai capi A, F, G, H, O, Q, T, U, BB, CC, e così condannato, in concorso di generiche prevalenti e ritenuta la continuazione, alla pena di anni 5, mesi 6 e giorni 20 di reclusione, di cui anni 3 condonati ex L. n. 241 del 2006;

– I.N. – colpevole dei reati di cui ai capi A, B, K, N, R, S (esclusa a la contestata ricettazione), V, W, X, Y, BB, CC, GG, e così condannato, in concorso di generiche equivalenti e ritenuta la continuazione, alla pena di anni 8 e mesi 11 di reclusione, di cui anni 2 e mesi 11 condonati ex L. n. 241 del 2006.

I predetti imputati venivano anche condannati alle pene accessorie di legge.

L’ I. veniva condannato altresì al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile U.P., parte lesa del tentato omicidio di cui sub B. 1.1 – Il processo ha riguardato associazioni tra nigeriani emigrati in Italia e fatti specifici riconducibili a quel contesto. Il filone investigativo riversato nel presente contenitore processuale ha riguardato molti imputati, sette dei quali ricorrono ora a questa Corte di legittimità. A) – L’anzidetta sentenza affronta dapprima il reato associativo contestato a tutti gli imputati nella forma e nei termini di cui all’art. 416 bis c.p. (capo A di entrambi i procedimenti riuniti); sintetizzando ampiamente, si tratta di società originate tra gli studenti universitari del Paese d’origine, trasformatesi poi in società segrete e quindi trasferite in vari Paesi europei, tra cui l’Italia, in connessione al fenomeno dell’emigrazione. In particolare si rilevava – sulla base anche di numerose e conformi deposizioni – la sussistenza di due similari associazioni operanti nella zona di competenza, la "(OMISSIS)" (cui partecipava, tra gli odierni ricorrenti, il B.N.A.) e la "(OMISSIS)" (cui partecipavano gli altri ricorrenti).

Trattavasi di organizzazioni strutturate, con vincolo segreto, collegate alla casa madre in (OMISSIS), connotate dall’aggressività e dalla prevaricazione, pronte ad intervenire in forme violente in favore degli associati o contro chi non intendesse subire le imposizioni; il potere di intimidazione si estendeva anche ai familiari dei soggetti passivi residenti in (OMISSIS); l’associazione disponeva di armi, sia bianche che da fuoco; si doveva riscontrare così anche diffusa e radicata omertà. Era pacifica -continuava la sentenza torinese – la finalità di commettere un indeterminato numero di delitti specie violenti per affermare siffatta supremazia, mentre si evidenziavano anche ulteriori finalità, specie quella di accentrare il lucro economico dalle attività svolte dai connazionali, quali la prostituzione e la droga, o la percezione di somme quali dovute contribuzioni. Tanto rilevato (sulla base di dichiarazioni di componenti della comunità nigeriana, di qualche ammissione di imputati, di esiti delle intercettazioni, di servizi di polizia, ecc.) riteneva dunque anche il giudice di secondo grado – così respingendo le relative doglianze degli imputati appellanti- che le associazioni in parola ("(OMISSIS)" e "(OMISSIS)") costituissero associazioni per delinquere di stampo mafioso, possedendo esse tutte le caratteristiche che l’art. 416 bis c.p. richiede per tale particolare forma criminosa da ritenere non riconducibile solo alle storiche e già note consorterie operanti nel territorio italiano (che in tal senso costituiscono solo un archetipo normativo). Passava poi la sentenza ad esaminare le posizioni dei singoli imputati in relazione alla contestata partecipazione associativa, indicando per ognuno le fonti di prova che giustificavano il convincimento di consapevole intraneità al gruppo criminale (tra cui, per quel che qui interessa, la confessione dell’ E. di avere avuto l’iniziazione nel 2004).

B) – L’impugnata sentenza esamina poi i singoli reati specifici contestati agli imputati, oggetto dell’appello. Qui saranno ovviamente ricordati, in assoluta sintesi, solo i fatti che interessano gli odierni ricorrenti.

– Capo B (v. ff. 43 e segg.) : (per il connesso capo C è stata dichiarata la maturata prescrizione) tentato omicidio di U.P. e O.A. commesso il (OMISSIS) davanti alla discoteca (OMISSIS); il folto gruppo di aggressori, tra cui è riconosciuto l’ I., intendeva punire l’ U. (ora parte civile) che si era rifiutato di assoggettarsi; l’ O. era intervenuto a difesa dell’ U.; entrambi venivano colpiti con armi da punta e taglio e con bottiglie rotte, cagionando gravi lesioni potenzialmente mortali;

– Capi D ed E (v. ff. 49 e segg.) : ferimento di tale Og. e connesso porto ingiustificato di coltello, fatti del (OMISSIS), fuori del negozio (OMISSIS) della vittima. L’imputato I. (che era con altri due) è riconosciuto dalla vittima e raggiunto da altre prove confluenti, tra cui intercettazioni: l’ Og., già oggetto di minacce, è punito con l’aggressione cruenta per punizione decisa da membri dell’organizzazione per precedenti contrasti;

– Capi F, G e H (v. ff. 51 e segg.) : rapina e ferimento ai danni di tali Ob. ed E., e connesso porto ingiustificato di coltello, fatti del (OMISSIS), nei pressi della discoteca (OMISSIS).

L’imputato T.N. è raggiunto dalle dichiarazioni delle parti lese che l’hanno riconosciuto e dall’esito di intercettazioni;

– Capo K (v. ff. 54 e segg.): detenzione illegale di una pistola, accertato il (OMISSIS) ed è connessa ai fatti di cui ai precedenti capi. L’imputato I. è raggiunti dal tenore di una non equivoca conversazione telefonica nella quale assumeva di detenere una pistola;

– Capo N (v. ff. 55 e segg.): tentata rapina ad un corriere porta valori, il (OMISSIS).

Gli imputati O., I. e E. sono raggiunti dalle intercettazioni telefoniche e da servizi di polizia. L’ O. non aveva contestato la sua responsabilità per questo fatto;

– Capi O e Q (v. ff. 57 e segg.) : tentato omicidio di O.J.P. e connesso reato di porto ingiustificato di armi bianche (assoluzione per il reato sub P). Si tratta dell’aggressione compiuta da un gruppo di nigeriani il (OMISSIS), ancora alla discoteca (OMISSIS), per la quale gli imputati C., T. ed I. sono raggiunti dai riconoscimenti della parte lesa, dagli esiti delle intercettazioni, da alcune deposizioni, e dalle riduttive ammissioni dei predetti imputati sia pur negazione di responsabilità;

– Capo R (v. f, 63 e segg.): utilizzo fraudolento di carte di credito addebitato all’ I. (assoluzione per la ricettazione di cui al capo S) in concorso; prove consistenti in numerose telefonate nelle quali si ammette l’uso illecito delle carte non proprie;

– Capi T ed U (v. ff. 66 e segg.) incendi di un negozio e di un’autovettura, entrambi di nigeriani, la notte sul (OMISSIS), commessi a scopo punitivo, ascritti all’imputato T. sulla base di numerose eloquenti telefonate e della stessa ammissione del predetto, sia pure limitata all’incendio del negozio;

– Capi V, W, X, Y (v. ff. 68 e segg.) rapina ai danni di Os.Os., lesioni ai danni dello stesso e detenzione e porto illegale di un’arma comune da sparo, nonchè danneggiamento dell’auto del predetto, data alle fiamme, in (OMISSIS); l’imputato I. è raggiunto dal riconoscimento ad opera della vittima corroborato da esiti di intercettazioni e da dati di generica;

– Capi BB e CC (v. ff. 70 e segg.) tentato omicidio di J.J. e connesso reato di porto ingiustificato di armi bianche, in Torino il (OMISSIS); trattasi dell’esecuzione da parte degli (OMISSIS) della presa decisione di colpire uno degli (OMISSIS) posta in essere da un numeroso gruppo tra cui gli imputati I., T., E. e C.; la responsabilità di costoro è basata sul riconoscimento ad opera della vittima, sulle intercettazioni telefoniche e sulle dichiarazioni ammissorie in fatto da parte di I. e di T. (quest’ultimo sulla riunione deliberativa).

Anche il C. non aveva contestato la responsabilità in fatto;

– Capo EE (v. ff. 77 e segg.) detenzione di cocaina addebitata a Os.Ir., sulla base di intercettazioni (l’imputato d’accordo con un maresciallo dei Carabinieri organizzò un trasporto di 66 gr. di cocaina);

– Capo FF (v. f. 79) : resistenza e lesioni a P.U. commessa da C. al momento del suo arresto, in (OMISSIS);

– Capo GG (v. ff. 79 e segg.): varie false dichiarazioni sulla propria identità commesse da I..

2. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per Cassazione i seguenti imputati che motivavano i rispettivi gravami deducendo:

2.1 – B.N.A.: carenza di motivazione in ordine al reato associativo di tipo mafioso, mancandone i requisiti (in particolare la prevaricazione a fini specifici) essendo invece irrilevante la segretezza; difetto della disponibilità di armi.

2.2 – C.J.: a) non era configurabile il reato associativo di tipo mafioso, trattandosi di un fenomeno associativo (di matrice latinoamericana) ai soli fini della difesa di una minoranza;

b) carenza di motivazione in ordine ai fatti specifici di cui ai capi O), Q), BB) e CC); egli aveva partecipato genericamente ad un’aggressione senza volontà di concorrere nel tentato omicidio.

2.3 – I.S.: a) quanto al reato sub A, difetto di motivazione per avere la Corte territoriale ripetuto pedissequamente le argomentazioni della prima sentenza senza prendere in considerazione le varie deduzioni difensive sul punto; in particolare egli aveva ben spiegato di essere solo genericamente a conoscenza della realtà del gruppo segreto, ma dall’esterno e di non averne mai fatto parte; in tal senso le prove raccolte confortano tale suo assunto; i fatti specifici ascritti confermano una sua partecipazione occasionale e non da intraneo; b) quanto al capo D, inidonea e superficiale analisi della vicenda, specie in funzione della dedotta legittima difesa; c) quanto al capo O, le dichiarazioni del gestore della discoteca e le conversazioni intercettate avrebbero dovuto convincere dell’estraneità di esso ricorrente all’accoltellamento dell’ Om., le cui dichiarazioni a suo carico devono essere frutto di un equivoco perchè non trovano riscontro in altri deposti dei presenti; d) insufficienza di motivazione in ordine al diniego delle chieste generiche, nonostante l’atteggiamento collaborativo ed una posizione complessiva meno pesante di coimputati con maggior carico di condanne o con posizione di certo più rilevante all’interno dell’organizzazione; e) doversi dichiarare la maturata estinzione per prescrizione del reato di cui al capo E. 2.4 – E.A.: a) difetto di motivazione in ordine al reato associativo, sul quale non sono state esaminate le deduzioni difensive circa le difformità tra le associazioni mafiose allignate in Italia ed il gruppo nigeriano ispirato a diverse logiche; b) difetto di motivazione in ordine al reato sub BB. 2.5 – Os.Ir.: a) errata qualificazione dell’associazione in questione quale associazione di stampo mafioso, diversa essendo per nascita, natura ed evoluzione; si tratta piuttosto di associazione segreta assimilabile, in (OMISSIS), a quelle di tipo massonico; la Commissione parlamentare antimafia, che aveva indagato il fenomeno della mafia nigeriana in Italia nel 1996, non ne fa più cenno nella relazione del 2006; le finalità di carattere economico non sono sufficienti a qualificare il reato; fatti di intimidazione sono legati ad episodi singoli e non all’associazione in quanto tale; non era emerso un contesto omertoso; le rivalità interne erano dovute principalmente alle diversità etniche di origine; ciò non consentiva di ritenere integrata la consapevole partecipazione all’associazione in generale; b) mancata assoluzione per il reato in materia di droga di cui sub EE, essendo stato richiesto da un carabiniere e comunque ritenendo soggettivamente di agire lecitamente.

2.6 – T.N.: a) quanto al capo A, l’estensione della punibilità ex art. 416 bis c.p. alle associazioni anche straniere, introdotta con L. n. 125 del 2008, imponeva di ritenere l’efficacia innovativa della riforma, aspetto erroneamente negato dalla sentenza impugnata; b) quanto ai reati sub F, G, H: inaffidabilità delle deposizioni, non coerenti, dei testi Ob. ed E., con motivazione incongrua sul punto; c) quanto ai capi BB e CC : carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla riunione deliberativa alla quale esso imputato aveva ammesso di essere stato presente senza però essere rimasto coinvolto nella votazione finale; d) carenza di motivazione in ordine al diniego della diminuente specifica ex L. n. 203 del 1991, art. 8, nonostante l’apporto conoscitivi fornito.

2.7 – I.N.: a) inutilizzabilità delle dichiarazioni del giornalista U.C. e del pastore pentecostale Og.Jo. che non riferiscono la fonte delle proprie notizie; b) insussistenza di un’associazione a delinquere di stampo mafioso, per difetto dei requisiti dell’omertà e dei fini illeciti da conseguire; mancata risposta alle deduzioni difensive in proposito; c) insussistenza dell’aggravante della dotazione di armi, insufficienza della motivazione sul punto; d) insussistenza di elementi d’accusa in ordine al duplice tentato omicidio di cui al capo B; insufficiente motivazione sul punto; e) omessa motivazione in ordine alla derubricazione di tale reato in lesioni, avendo egli partecipato solo alla prima fase (pugno) ed essendosi subito dopo allontanato.

Motivi della decisione

3. I ricorsi, tutti infondati, devono essere rigettati con ogni dovuta conseguenza di legge.

3.1 – Per ragioni di opportunità vanno esaminati i vari motivi di ricorso, attinenti i profili oggettivi e soggettivi del reato associativo, siccome comuni agli imputati.

Deve dapprima essere affrontato il tema della configurabilità oggettiva della contestata -e dai giudici di merito ritenuta- associazione per delinquere di stampo mafioso, tema proposto da tutti i ricorrenti (ad eccezione dello I.). Tutte le deduzioni in tal senso avanzate sono infondate.

In primo luogo deve essere confermata, in quanto largamente confortata dalle acquisizioni probatorie, l’affermazione della Corte territoriale (che sul punto convalidava quella resa in prime cure) in merito alla riscontrata sussistenza degli elementi qualificanti il reato in parola. Ed invero non è contestabile il giudizio in fatto che i due gruppi oggetto di indagine -"(OMISSIS)" ed "(OMISSIS)"- si caratterizzassero, per la loro struttura e nelle modalità operative, in maniera corrispondente ai requisiti previsti dall’art. 416 bis c.p., (sul punto si rimanda a quanto illustrato a ff. 21 e segg. della sentenza impugnata, sopra sintetizzato al 1.1.A):

– forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo; -condizione di assoggettamento ed omertà che ne consegue; – gestione e controllo delle attività economiche; – il tutto commettendo delitti finalizzati agli intenti comuni, in particolare diretti a conservare e rafforzare l’imposto predominio socio-territoriale (ambientale) e, con ciò, la vitalità dell’associazione stessa.

La concreta ricorrenza, per quanto riguarda le associazioni in esame, di elementi in fatto tali da sostenere le ridette qualifiche, non è discutibile in questa sede, trattandosi di motivazione logica e coerente alle risultanze tutte di causa, peraltro largamente riscontrabili nel complesso dei fatti oggetto di indagine.

Non c’è dubbio poi – venendo ora all’ulteriore profilo dedotto – che il reato di cui all’art. 416 bis c.p. possa essere commesso anche da partecipi ad associazioni criminali, anche a matrice non locale, diverse da quella storicamente inverata in una regione d’Italia (che ne costituisce solo il prototipo). Premesso che non è in discussione l’impero della legge penale nell’ambito del territorio dello Stato, è errata la prospettazione difensiva secondo cui l’art. 416 bis c.p. potrebbe essere applicato solo alle associazioni mafiose quali conosciute in un determinato, e limitato, ambito storico-geografico.

In tal senso basterà riflettere come il reato, fin dalla sua introduzione nell’ordinamento penalistico, con la L. 13 settembre 1982, n. 646, sia stato concepito – e soprattutto normativamente caratterizzato – in funzione di "un’associazione di tipo mafioso" (v. comma 1 art. in parola), a sottolineare che la mafia storica siciliana era solo il tipo (o l’archetipo) di un reato chiaramente e decisamente applicabile ad ogni associazione delinquenziale che ne riproducesse le caratteristiche strutturali essenziali. Il dato è ribadito in modo quanto mai chiaro dal fondamentale comma 3 che, proprio nel delineare le indefettibili caratteristiche strutturali che l’associazione deve possedere, qualifica ancora l’associazione punibile ex art. 416 bis c.p. come di tipo mafioso. Ed infine, fin dall’introduzione della norma (che ha avuto successivi rimaneggiamenti, per lo più indotti da spinte contingenti), l’art. 416 bis c.p., u.c., prevede che il reato valga anche nei confronti della camorra e delle altre associazioni comunque localmente denominate, a fugare dubbi analoghi a quelli qui riproposti dalle difese. Si tratta di tecnica legislativa discutibile (ed infatti ampiamente criticata in dottrina), ma di non equivoco significato sostanziale complessivo. Quanto qui si sostiene è stato già acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che ha, invero, legittimato l’applicazione del reato in esame ad associazioni di tipo mafioso diverse da quelle storiche italiane, anche a matrice straniera (cfr. Cass. Pen. Sez. 6, n. 35914 in data 30.05.2001, Rv. 221245, Hsiang Khe e altri). L’esame di tale indirizzo giurisprudenziale, che precede la novella di cui alla L. 24 luglio 2008, n. 125 (che ha introdotto l’inciso "anche straniere" all’art. 416 bis c.p., u.c.), porta a concludere che tale ultimo intervento legislativo ha semplicemente inteso adeguare la normativa al dato giurisprudenziale già acquisito, al fine di chiarirla, non certo introdurre un elemento di novità di carattere ampliativo. In conclusione, sul punto, deve essere pertanto respinta quella tesi difensiva che, sul rilievo trattarsi nella fattispecie di fatti precedenti alla citata L. n. 125 del 2008, richiede assoluzione per presunta non punibilità dei fatti stessi al momento della loro realizzazione storica (l’imputazione sub A è formulata con contestazione aperta, da ritenere chiusa con la sentenza di primo grado emessa il 09.10.2007). Infine, a conclusiva conferma degli assunti qui elaborati, deve essere ricordato come nella specifica vicenda -e dunque con la forza del caso specifico- già questa Corte (peraltro significativamente in epoca precedente alla ridetta L. n. 125 del 2008) ebbe a respingere il ricorso dell’imputato Os.Ir., odierno ricorrente, contro la pronuncia del Tribunale del riesame di Torino in tema di custodia cautelare: egli contestava proprio, tra l’altro, la configurabilità del reato ex art. 416 bis c.p. rispetto ad un’associazione (quella denominata "(OMISSIS)") di matrice straniera e diversa da quelle italiane storicamente mafiose, ricevendo rigetto e dunque risposta di convalida alla prospettazione accusatoria (cfr. Cass. Pen. Sez. 5, n. 28894 in data 27.02.2007, ric. Os.Ir.).

Vanno altresì respinti tutti i motivi dei ricorsi che contestano profili motivazionali che attingono aspetti, anche strutturali, delle due associazioni in parola, in particolare quelli che intendono negare l’omertà e la prevaricazione, ovvero la segretezza e l’accaparramento economico. Trattasi di questioni già avanzate nelle sedi di merito e già respinte con argomentazioni logiche e coerenti che devono essere qui convalidate. In proposito risulta illuminante rifarsi alle specifiche dichiarazioni dello I. che ha apportato conoscenze davvero qualificanti in relazione ai riti di iniziazione, alle violenze di verifica, al giuramento, al vincolo di segretezza, alle gerarchie, ai ruoli assegnati. Anche le deduzioni difensive in merito all’aggravante della dotazione di armi devono cedere a fronte degli specifici accertamenti trasfusi nelle decisioni dei giudici del merito (v. a f. 34 della sentenza impugnata), come emerge dai vari fatti violenti, dalle dichiarazioni di alcuni imputati e dalle effettuate intercettazioni. Altrettanto è a dire in ordine al profilo degli accaparramenti economici (si va dalle taglie imposte ai negozi, alle imposizioni in ambito di stupefacenti e prostituzione, fino a vere proprie contribuzioni). E’ di tutta evidenza, quindi, l’ingiustificata riduttività di quelle affermazioni difensive che intendono ricondurre le indagate associazioni criminali nigeriane di tipo mafioso, operanti in Italia, a semplici gruppi di difesa delle minoranze ovvero a conventincole di tipo massonico. La difesa dell’ O. si riporta agli esiti delle Commissioni parlamentari che hanno indagato i fenomeni mafiosi rilevando come la relazione del 2006, a differenza di quella del 1996, non parli più del fenomeno della mafia nigeriana in Italia. Il dato, in sè, non è significativo, posto che il periodo di riferimento nella presente, concreta vicenda sia il periodo 2003-2007, mentre il riscontro di carattere sostanziale che si ha nella relazione precedente è – di contro- di non secondaria rilevanza.

Nessuno degli odierni ricorrenti (eccetto lo I.), che tanto insistono sulla mancanza di caratteristiche mafiose delle associazioni in parola, contesta il proprio inserimento, e dunque la partecipazione attiva, del resto ampiamente dimostrata in sede di merito.

Le doglianze dello I. (che è stato prodigo di notizie sulle associazioni in questione, e che invece contesta il proprio soggettivo inserimento) non hanno pregio e comunque, attenendo ad accertamenti in fatto, non hanno spazio in questa sede di legittimità. Va ricordato, invero, come lo I. sia raggiunto in tal senso dalle dichiarazioni di vari soggetti (sei) e da intercettazioni, sia partecipe di alcuni reati-fine di particolare rilevanza (in quanto espressione proprio della mafiosità del gruppo; vendetta contro avversari), sia stato riconosciuto dall’ Id., sia portatore di conoscenze interne (v. la sentenza impugnata alle pgg. 36-37). Il suo gravame non considera, all’evidenza, i vari livelli di inserimento. Esso va dunque respinto.

In definitiva, devono essere respinti tutti i motivi di ricorso, su profili oggettivi e soggettivi, in ordine al reato associativo.

3.2 – Sono prive di pregio tutte le ulteriori deduzioni dei ricorrenti in merito a tutti gli altri reati riconosciuti ai vari imputati (dovendosi ricordare come il B. sia stato condannato solo per il reato associativo, sopra già esaminato).

3.2.1 – Il C. denuncia la condanna per i reati specifici sub O), Q), BB), CC) -non quello sub FF)- censurando la motivazione dei giudici di merito in modo assolutamente generico quanto apodittico (prospettando in modo vago ed autoreferenziale una sua minore e poco consapevole partecipazione). Si tratta di due tentati omicidi sui quali – di contro – è ampio e concludente il coacervo probatorio (come sopra sintetizzato) secondo le logiche e coerenti motivazioni dei giudici di merito: riconoscimenti ed intercettazioni in particolare ed alcune dichiarazioni ammissorie. La logica dell’aggressione di gruppo, inserita nelle dinamiche associative (cui anche il C. partecipava), e le modalità esecutive escludono in radice la ora prospettata minore consapevolezza dell’intento maggiore (attentare alla vita delle parti lese). Tali deduzioni, peraltro inammissibilmente in fatto, sono dunque in sè improponibili.

3.2.2 – Lo I. propone ricorso per i reati di cui ai capi D) ed O) prospettando, anch’egli, questioni largamente in fatto (v. sopra sub 2.3). Per tali delitti questo imputato è raggiunto da indiscutibile compendio probatorio, correttamente e coerentemente oggetto di logica motivazione da parte della Corte territoriale, che ben regge a tali del tutto infondate censure. Gli spunti difensivi qui riproposti sono stati tutti, invero, già oggetto di approfondita disamina da parte dei giudici del merito, ivi compresa la ribadita prospettazione di un’inesistente legittima difesa (su tale punto v. le convincenti argomentazioni a ff. 50-51 della sentenza impugnata).

Quanto al capo O), appaiono insuperabili i plurimi riconoscimenti, tra cui quello diretto, in aula, ad opera della parte lesa (v. f. 63 della sentenza impugnata). Anche il motivo di ricorso in ordine alle negate generiche è del tutto infondato, attesa la motivazione sul punto (v. f. 90 della sentenza d’appello) che privilegia, nella valutazione discrezionale del giudice del merito, numero e gravità dei reati commessi, negativa personalità, capacità a delinquere, attitudine alla violenza, nonchè precedenti giudiziari (per false generalità, in materia di stupefacenti e contro la persona).

Trattasi di motivazione corretta e coerente, come tale incensurabile in questa sede. In ordine al capo E) -porto ingiustificato di un coltello- non può pronunciarsi estinzione per prescrizione, comunque maturata dopo la sentenza d’appello per l’intervenuta sospensione (v. f. 51), posto che tale reato non è oggetto di ricorso nel merito, e dunque si è già formato giudicato sul punto (v. Cass. Pen. SS.UU. n. 32 in data 22.11.2000, Rv. 217266, De Luca; Cass. Pen. SS.UU. n. 33542 in data 27.06.2001, Rv. 219531, Cavatela).

3.2.3 – L’ E. produce ricorso, oltre che per il già esaminato reato associativo in generale, solo per il delitto di tentato omicidio di cui sub BB). Nulla dunque deduce in ordine al reato di cui al capo N) per cui pure ha riportato condanna. Il ricorso, quanto al suddetto reato sub BB) è del tutto generico ed aspecifico, limitandosi a teoriche ed indistinte censure di insufficienza motivazionale assolutamente svincolate dalla concreta fattispecie. Di contro deve rilevarsi come la motivazione dell’impugnata sentenza sia, sul punto e sulla posizione, quanto mai approfondita e diffusa (v. ff. 70 e segg.), essendo questo ricorrente raggiunto da un complesso probatorio del tutto convincente (riconoscimento, intercettazioni, dichiarazioni di altri partecipi, ecc). Il ricorso è dunque del tutto infondato anche sul predetto reato specifico.

3.2.4 – L’ O., che converge il ricorso quasi esclusivamente sul reato associativo, si duole poi anche della condanna in ordine al reato in materia di droga di cui al capo EE). Nessuna deduzione viene proposta, invece, quanto al reato di cui sub N) per cui pure egli ha riportato condanna. Il ricorso, in merito al suddetto reato relativo alla movimentazione di sei ovuli di cocaina, è privo di pregio.

Pacifico ed ammesso essendo il fatto, deve rilevarsi come la convinzione soggettiva di questo imputato di agire lecitamente (perchè sollecitato dai Carabinieri) è, all’evidenza, irrilevante così come la prospettazione di avere poca dimestichezza con le leggi italiane in materia. Le finalità di frode (far attribuire al fratello detenuto il merito dell’operazione) escludono le qui riproposte prospettive di buona fede, come correttamente ed esaustivamente motivato dalla Corte territoriale (v. ff. 78-79). Il costrutto accusatoria va quindi convalidato. Il ricorso è infondato sul punto.

3.2.5 – Il T. produce motivi di ricorso in ordine ai reati specifici di cui ai capi F), G), H), BB), CC), nonchè in merito al diniego della diminuente ex L. n. 203 del 1991, art. 8.

Tutte tali doglianze sono infondate.- Quanto ai reati connessi all’aggressione a tali Ob. ed E. (capi F, G ed H), il ricorrente ripropone argomenti e tesi già motivatamente disattesi dai giudici del merito. Le deduzioni in ordine alle presunte discrasie delle parti lese, comunque del tutto marginali, sono state già esaminate nei precedenti gradi di giudizio e respinte con motivazioni corrette e coerenti. Peraltro si tratta di aspetti che non incidono sulla partecipazione dell’anzidetto imputato, raggiunto dai riconoscimenti ed ammissorio in ordine alla sua presenza (anche se deduce mera passività al fatto, versione peraltro contrastante con la sua richiesta, avanzata in sede d’appello, di aver agito per legittima difesa). Quanto al tentato omicidio di cui ai capi BB) e CC), i labili motivi di ricorso intendono riprodurre la tesi -già respinta dai giudici del merito con motivazione ineccepibile- di una sua partecipazione alla riunione deliberativa depurata della votazione finale. A parte la totale autoreferenzialtà dell’assunto, deve ricordarsi come la riunione in questione (tenuta a (OMISSIS)) costituì la risposta degli (OMISSIS) a precedente aggressione portata dagli (OMISSIS), deliberò una mobilitazione generale e si consolidò in un giuramento. Nessuno dei presenti fu contrario, la risposta doveva essere adeguata (v. dichiarazioni 26.01.2007 dello stesso T.). E’ dunque del tutto evidente la strumentalità delle odierne deduzioni. Quanto, infine, alla doglianza in ordine al diniego dell’attenuante speciale di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8, proposta con riguardo al solo reato associativo, il ricorso è destituito di fondamento. I giudici del merito (v. ff. 92-93 della sentenza impugnata) hanno rilevato un suo apprezzabile apporto informativo in ordine all’organizzazione criminosa in questione, tanto da giustificare la concessione delle attenuanti generiche prevalenti, ma non tale da configurare un decisivo contributo per la ricostruzione dei fatti e per l’individuazione dei loro autori; è stato ritenuto rilevante in senso negativo, poi, l’atteggiamento complessivo non pienamente collaborativo in ordine alla propria posizione nei vari reati. Anche sul punto l’impugnata decisione risulta ineccepibile.

Il ricorso del T. va dunque rigettato.

3.2.6 – L’ I. svolge una questione di carattere processuale e doglianze specifiche in ordine al solo reato di cui al capo B).

Quanto alla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni del giornalista U. e del pastore pentecostale Og., per non avere costoro rivelato le fonti delle proprie conoscenze, occorre rilevare come i loro contributi siano stati utili alla comprensione del quadro generale socio-ambientale, per scienza diretta qualificata, ma non siano stati utilizzati -in senso tecnico processuale- per la decisione di condanna, fondata (come sopra si è ricordato) su un complesso probatorio assai ampio e completo che ben potrebbe essere privato di tali deposizioni senza nulla perdere in conclusività.

In ordine poi al reato di duplice tentato omicidio di cui al capo B), le doglianze qui riproposte – già correttamente respinte dai giudici dell’appello – non hanno pregio. L’imputato ha ammesso di avere dato un pugno in faccia alla vittima, ma non solo non si è dissociato dalla pedissequa aggressione armata, ma successivamente l’ha rivendicata in varie conversazioni intercettate a conferma che il gruppo degli (OMISSIS) che egli capitanava costituiva un commando organizzato e predisposto all’attacco (per punire l’ U. che si era rifiutato di far parte del gruppo). L’impugnata sentenza, dunque, ben motiva sul punto, con riferimento alle deposizioni accusatorie (le due parti lese e la teste B.), alla parziale ammissione dell’imputato, all’unitarietà funzionale del gruppo, al contenuto delle telefonate intercettate, alle tipiche modalità esecutive, ed infine alla logica dell’assalto punitivo, proprio in relazione a quella volontà di prevaricazione caratteristica dell’associazione criminale, già sopra illustrata. In tal senso è del tutto inaccettabile la rinnovata deduzione in ordine alla mancata derubricazione, in suo favore, del duplice tentato omicidio in lesioni personali, sull’irrealistico presupposto di una sua partecipazione limitata alla prima fase (di contro la sentenza impugnata individua il pugno da lui dato come "l’ordine per l’inizio dell’aggressione": v. f. 46). In tal senso ogni motivo di gravame anche di questo imputato deve essere rigettato.

4. Alla completa reiezione delle impugnazioni consegue ex lege, in forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna di tutti i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna tutti i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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