Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 11-03-2011) 12-04-2011, n. 14747 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Venezia, in sede di riesame, il 23.12.2010 pronunziava ordinanza con la quale rigettava la richiesta di riesame presentata nell’interesse di G.G., indagato in ordine al reato di furto pluriaggravato, avverso l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei suoi confronti dal Giudice per le indagini preliminari di Treviso in data 14.12.2010.

L’istanza di riesame era stata formulata avverso l’ordinanza del GIP di Treviso in ordine ad una ipotesi di furto pluriaggravato emessa ai sensi dell’art. 27 c.p.p., poichè per l’imputazione in oggetto la misura della custodia in carcere era stata inizialmente emessa dal GIP di Venezia con ordinanza del 25.10.2010, confermata poi dal Tribunale del Riesame della stessa città con ordinanza del 3.11.2010.

Avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame di Venezia del 23.12.2010 proponeva ricorso per cassazione G.G., a mezzo del suo difensore, e concludeva chiedendone l’annullamento con i conseguenti provvedimenti di legge.
Motivi della decisione

Il ricorrente censura il provvedimento impugnato per i seguenti motivi:

1) Nullità dell’ordinanza gravata per violazione degli artt. 292 e 125 c.p.p., comma 3. Vizio risultante dal testo del provvedimento gravato riconducibile all’art. 606 c.p.p., lett. e). Secondo la difesa del ricorrente mancherebbe nel provvedimento impugnato una valutazione critica degli elementi indiziari e della gravità degli stessi, valutazione che non può limitarsi ad un mero rinvio alle risultanze delle argomentazioni già svolte con due ordinanze, quella del GIP del Tribunale di Venezia del 25.10.2010 e quella del Tribunale del Riesame della stessa città del 3.11.2010. Trattasi infatti di motivazione per relationem. Ma, affinchè il rinvio alle ordinanze di cui sopra possa ritenersi legittimo, occorre un’attenta valutazione dell’atto cui si rinvia e della sua idoneità a rappresentare motivazione del provvedimento di destinazione e, quindi, la dimostrazione che il giudice abbia preso cognizione del contenuto sostanziale dello stesso e lo abbia ritenuto coerente con la sua decisione, enunciando l’iter logico e giuridico. Il provvedimento impugnato quindi, in violazione dell’art. 125, comma 3 e art. 292 c.p.p., comma 1, non avrebbe preso in considerazione il fatto che all’odierno ricorrente era stata notificata esclusivamente l’ordinanza datata 25.10.2010 e non anche quella emessa dal Tribunale del Riesame in data 3.11.2010, in quanto ordinanza emessa nei confronti di altri indagati.

2) Carenza di gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto di cui agli artt. 110, 56, 624, 625 c.p., nn. 2 e 5;

Violazione di legge. Carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Vizio risultante dal testo dell’ordinanza gravata e riconducibile all’art. 606 c.p.p., lett. e). Secondo il ricorrente dall’ordinanza del GIP del Tribunale di Treviso non emergerebbe alcun elemento indiziario che il fatto contestato sia stato realmente posto in essere, non essendo stato compiuto nessun atto esecutivo, ma soltanto atti preparatori (non vi è stata alcuna effrazione, nessuno è entrato all’interno del perimetro della ditta e non vi è alcun elemento indiziario da cui possa trarsi la conclusione che a fare scattare gli allarmi siano stati proprio l’odierno ricorrente e i suoi complici).

3) Violazione di legge. Mancanza e illogicità della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. Secondo il G. infatti il Collegio faceva riferimento all’inserimento "dei prevenuti" in un circuito criminoso, alla gravità e alle specifiche modalità di realizzazione dei fatti contestati che imporrebbero una prognosi negativa in ordine alla possibile reiterazione di analoghe condotte criminose, senza tenere conto che l’odierno ricorrente ha un unico precedente specifico che risale al 1978.

I proposti motivi di ricorso non sono fondati. Per quanto attiene al primo motivo, osserva la Corte che non è conforme al vero che i giudici del Tribunale del riesame non abbiano argomentato alcunchè in merito alla sussistenza del requisito della gravità indiziaria,riportandosi alle argomentazioni già svolte nell’ordinanza del GIP di Venezia del 25.10.2010 e nell’ordinanza del Tribunale del riesame della stessa città del 3.11.2010.

L’ordinanza impugnata infatti afferma che le deduzioni difensive sulla insussistenza del requisito della gravità indiziaria non possono essere recepite e si riporta alle argomentazioni poste alla base delle due sopra indicate ordinanze, rispettivamente del GIP e del Tribunale del riesame di Venezia, riportando il contenuto di tali provvedimenti con particolare riferimento, per quanto attiene alla gravità degli indizi a carico del G., agli elementi desumibili dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali, dalle localizzazioni con sistema gps dei veicoli in uso agli indagati, dai servizi di appostamento ed osservazione della P.G. e dai sequestri di merce rubata concretamente effettuati, adottando pertanto una motivazione "per relationem".

Si osserva a tal proposito che , secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr, tra le altre, Cass. Sez. 4, Sent. n. 16886 del 20.1.2004, Rv. 227942), al giudice dell’impugnazione è consentito motivare "per relationem" purchè egli si attenga al rispetto di criteri specifici in ossequio ai quali: 1) ogni riferimento risulti ad un atto legittimo del procedimento la cui motivazione sia congrua per rapporto alla propria "giustificazione" verso il provvedimento finale; 2) il decidente sia pienamente a conoscenza delle ragioni del provvedimento di riferimento e risulti che le ritenga coerenti alla propria decisione e le condivida; 3) risulti che l’atto di riferimento sia conosciuto dall’interessato o almeno a lui ostensibile.

Tanto premesso si osserva che neppure può essere condiviso l’assunto della difesa del ricorrente secondo cui, se era a lui conosciuta l’ordinanza del GIP di Venezia, la stessa cosa non poteva dirsi per l’ordinanza del Tribunale del riesame, che riguardava altri indagati, in quanto egli poteva facilmente, in virtù di quanto previsto dall’art. 116 c.p.p., ottenere il rilascio di copia dell’atto in questione.

Correttamente pertanto, nella fattispecie de qua, i Giudici del Tribunale del riesame di Venezia si sono riportati "per relationem" all’ordinanza del GIP di Venezia e a quella del Tribunale del riesame della stessa città.

Anche il secondo e il terzo motivo di ricorso non sono fondati. Il provvedimento impugnato rileva infatti, confutando la specifica e riproposta argomentazione difensiva, che, con riferimento al tentato furto in oggetto, l’integrazione di un tentativo punibile è stata ampiamente dimostrata sulla base degli atti di indagine e sulla base delle intercettazioni telefoniche di cui ai brogliacci contrassegnati con i numeri 306 e 307. Per quanto attiene poi alle esigenze cautelari, con particolare riferimento alla probabilità di reiterazione nel reato,il provvedimento impugnato correttamente evidenzia oltre alla personalità dell’indagato, altresì la gravità dei fatti, le specifiche modalità di realizzazione degli stessi e il suo inserimento in un circuito criminoso organizzato.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmesso al direttore dell’Istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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