Cons. Stato Sez. V, Sent., 07-04-2011, n. 2176 Trattamento economico

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La nominata in epigrafe adiva il T.A.R. per l’Abruzzo esponendo di avere prestato attività lavorativa per più anni a beneficio del Comune di Vasto, sulla base di una convenzione per l’assistenza domiciliare agli anziani più volte prorogata, svolgendo attività di collaborazione domestica (implicante il governo della casa, spese, commissioni varie, preparazione pasti, lavaggio biancheria, ecc.) presso vari assistiti, per sei ore al giorno e sei giorni settimanali.

L’interessata deduceva la sussistenza in concreto di tutti i connotati tipici del rapporto di pubblico impiego, della cui instaurazione chiedeva quindi l’accertamento. In subordine, invocava il riconoscimento di un rapporto di lavoro di fatto ai sensi dell’art. 2126 del cod. civ.. In ogni caso, venivano richieste le conseguenti differenze retributive, tredicesime mensilità, ferie non godute e altri accessori, con l’indennità premio di servizio ed i contributi previdenziali.

Resisteva all’azione l’Amministrazione intimata.

Contro la sentenza del T.A.R. di rigetto del ricorso, reputato infondato, veniva quindi proposto dall’interessata il presente appello.

L’appellante, ripresa la gran parte delle proprie originarie argomentazioni e deduzioni, concludeva perché, ritenuta la nullità delle delibere di rinnovazione del rapporto susseguitesi nel tempo, venisse dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato di fatto tra le parti, con le conseguenze già indicate.

Anche in questo grado di giudizio si costituiva il Comune di Vasto, che difendeva con memoria la pronuncia appellata dalle critiche rivoltele e concludeva per la reiezione dell’appello.

Alla pubblica udienza dell’8 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

1 La Sezione rileva preliminarmente che la ricorrente non ha riproposto in sede di appello la sua originaria richiesta di vedere accertata l’avvenuta instaurazione di un rapporto di pubblico impiego alle dipendenze del Comune. La decisione negativa assunta sul punto dal primo giudice è diventata quindi definitiva.

2 La domanda principale proposta con l’appello spiegato dinanzi a questo Consiglio riguarda il riconoscimento tra le parti di un rapporto di lavoro di fatto ai sensi dell’art. 2126 del cod. civ., con le conseguenze che sono state sopra esposte.

L’appello è infondato.

3 La giurisprudenza ha da tempo chiarito (per tutte cfr. C.d.S., A.P., n. 5 del 1992) che le norme in materia di assunzione del personale degli enti locali non sono di ostacolo all’applicabilità dell’art. 2126 c.c., e, quindi, al riconoscimento del diritto del lavoratore, pur non assunto a conclusione di una regolare procedura concorsuale, alle differenze retributive, all’indennità di fine rapporto e alle altre prestazioni contributive e previdenziali: ma questo soltanto quando risulti comprovata in concreto la sussistenza degli indici che, secondo la stessa giurisprudenza amministrativa, rivelano lo svolgimento di fatto di un rapporto di impiego, quali la subordinazione gerarchica, l’esclusività e la continuità delle prestazioni, l’osservanza di un orario di lavoro, la retribuzione in misura fissa e continuativa e l’inserimento del lavoratore nella struttura organizzativa dell’ente (Consiglio Stato, sez. V, 10 novembre 2008, n. 5582). In altre parole, al rapporto nullo possono essere connesse le conseguenze di cui all’art. 2126 c.c. unicamente quando lo stesso, benché costituito senza il rispetto delle modalità prescritte, sia per il resto assimilabile al rapporto di lavoro subordinato costituito nelle forme legali, del quale presenti tutti i caratteristici indici rilevatori (Consiglio Stato, sez. VI, 6 giugno 2008, n. 2718; sez. V, 24 ottobre 2006, n. 6352, 30 agosto 2006, n. 5062 e 6 dicembre 1999, n. 2057).

4 Tanto premesso, la Sezione deve rilevare che nel rapporto sviluppatosi tra le parti non sono ravvisabili nella loro necessaria consistenza minima gli indici rivelatori che la giurisprudenza considera caratteristici del rapporto di impiego pubblico.

Deve in primo luogo evidenziarsi la peculiarità che l’attività svolta dall’interessata la vedeva operare non già semplicemente al di fuori degli uffici dell’organizzazione comunale, ma addirittura presso altrui private dimore, quelle di pertinenza dei soggetti bisognosi dell’assistenza dell’Ente: circostanza, questa, che già valeva a porre la vicenda oltre l’orizzonte della possibile esplicazione del potere direttivo e di controllo dell’ipotetico datore di lavoro pubblico, rendendo, così, subito estremamente problematico configurare una sostanziale inserzione della lavoratrice nell’organizzazione amministrativa.

Ciò posto, va subito sottolineato come (diversamente da quanto solo genericamente allegato dall’appellante) nella fattispecie concreta non risulti sussistente il requisito essenziale della esclusività del rapporto, attributo che le convenzioni in atti non contemplano, né mostrano di avere anche solo indirettamente presupposto.

Va altresì richiamato il dato della notevole elasticità dell’impegno lavorativo previsto dalle convenzioni di cui si tratta. Le prestazioni dell’appellante e delle sue colleghe, per le quali era previsto quale unico vincolo prestabilito quello delle 36 ore settimanali, e non anche un orario giornaliero, dovevano essere infatti "distribuite nell’arco della settimana di intesa con l’Assessorato competente, secondo le condizioni e modalità che saranno opportunamente concordate".

In concreto non faceva quindi difetto solo l’estremo dell’esclusività, ma anche il presupposto dell’orario di lavoro.

Le interessate avevano, inoltre, la più completa autonomia dal Comune nello stabilire quali prestazioni di volta in volta assicurare (valutando se e quando dedicarsi, ad es., al lavaggio della biancheria, o invece alle spese, ecc. ecc.); tra un loro accesso domiciliare e l’altro non dovevano mettersi a disposizione dell’Ente; non risultavano ricevere istruzioni unilaterali dal Comune; non erano, infine, soggette ad alcuna forma di potere disciplinare dell’Amministrazione, potere che non era configurato dalle convenzioni, né si è comunque dimostrato essere mai emerso sul piano dei fatti.

Per quanto precede, si deve allora riconoscere come nella specie non si profili nemmeno l’estremo dell’assoggettamento delle interessate al potere gerarchico e disciplinare del preteso datore di lavoro. Il Comune si riservava semplicemente la possibilità di risolvere il rapporto "ove dovessero verificarsi disfunzioni nel servizio": ma una simile previsione potrebbe essere contemplata nell’ambito di qualsiasi rapporto privatistico.

Era infine prevista una remunerazione delle interessate ad ore, e convenuto che questa sarebbe stata dovuta solo per "leore mensili effettivamente rese", in ragione, pertanto, delle sole "effettivepresenze", con esclusione di qualunque "formadi assenza retribuita". E questo è un ulteriore elemento che si oppone agli assunti di parte appellante.

5 In conclusione, le ragioni esposte impongono la reiezione dell’appello.

Si ravvisano, tuttavia, ragioni tali da giustificare la compensazione tra le parti delle spese processuali di questo grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese del secondo grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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