Cons. Stato Sez. V, Sent., 07-04-2011, n. 2154 Annullamento d’ufficio o revoca dell’atto amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con delibera n. 196 del 2001 la Giunta municipale di Castellammare di Stabia individuava come qualificata da pubblico interesse la proposta presentata dal Consorzio in epigrafe quale promotore per la realizzazione di un ampliamento del cimitero comunale con le modalità previste dagli artt. 37bis e segg. della legge n. 109 del 1994 (c.d. finanza di progetto).

A seguito dell’espletamento della successiva gara, andata deserta, il Consorzio promotore richiedeva l’accertamento della illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione comunale sulla propria diffida a vedersi aggiudicato il progetto messo a gara, con la concessione per la realizzazione e gestione dell’ampliamento del cimitero.

In ottemperanza alla sentenza resa dal T.A.R. per la Campania n. 10494 del 2006, l’amministrazione locale chiudeva il procedimento con la determina dirigenziale n. 58020 del 15 ottobre 2008, stabilendo di non aggiudicare il progetto per mancanza di fattibilità, determinata dalla esistenza di aree sottoposte dal Piano cimiteriale a destinazione diversa rispetto a quella indicata nel progetto di ampliamento del cimitero.

Avverso tale determinazione il Consorzio insorgeva dinanzi allo stesso T.A.R. per la Campania articolando più motivi di censura, e domandando il riconoscimento del proprio diritto al risarcimento in forma specifica, mediante la concessione dell’affidamento, oppure, in subordine, per equivalente, per i danni subiti e subendi a causa dei provvedimenti impugnati; in via ulteriormente gradata, veniva richiesta la corresponsione dell’indennizzo ai sensi dell’art. 37 septies della legge 109 del 1994.

Avverso la sentenza in epigrafe, reiettiva del ricorso, il Consorzio esperiva il presente appello, riproponendo le proprie doglianze e richieste.

In sintesi, venivano dedotti i seguenti profili di censura: incompetenza del dirigente nell’adottare l’atto, asseritamente di secondo grado, formante oggetto di contestazione; violazione degli artt. 37 bis e segg. della legge n. 109/1994; violazione dei principi caratterizzanti l’esercizio del potere di annullamento in autotutela.

Resisteva al gravame il Comune di Castellammare di Stabia, deducendone l’infondatezza.

L’appellante, dal canto suo, con successiva memoria insisteva per l’accoglimento dell’impugnativa.

All’udienza dell’11 gennaio 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

L’appello è infondato.

1 Il primo e principale mezzo d’impugnativa del Consorzio muove dalla premessa, comune al motivo successivo, che la determina dirigenziale avversata, con cui è stato disposto di non aggiudicare ad esso appellante la concessione per la realizzazione e gestione dell’ampliamento del cimitero comunale in ragione della non fattibilità della proposta, costituirebbe in sostanza un atto di annullamento in autotutela della precedente delibera di Giunta Municipale n. 196/2001.

Da qui il corollario, a base del primo motivo, che un simile atto, in aderenza al principio del contrarius actus, sarebbe dovuto promanare dallo stesso organo giuntale, in quanto la competenza ad approvare le proposte presentate ai sensi dell’art. 37 bis della legge n. 109/1994 rientra nel novero delle attribuzioni che l’art. 48 del Testo Unico sugli Enti Locali assegna a tale organo. Da qui anche l’ulteriore corollario, delineato con il secondo mezzo d’appello, che, al di là di tale doglianza di incompetenza, i provvedimenti impugnati sarebbero comunque illegittimi per violazione dei canoni regolanti l’esercizio del potere di annullamento in autotutela nei termini di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, in dipendenza del fatto che la misura in contestazione avrebbe seguito l’atto di Giunta a ben sette anni di distanza, in (allegata) assenza di ragioni di pubblico interesse e senza la necessaria comparazione con gli interessi del Consorzio.

2 Il nucleo della controversia risiede quindi nella correttezza, o meno, della qualificazione della determina dirigenziale di cui si discute in termini di atto di ritiro rispetto alla precedente delibera di Giunta n. 196/2001.

Parte appellante osserva, a sostegno della propria impostazione, che la valutazione di fattibilità e di rispondenza del progetto ai piani urbanistico e cimiteriale, sulla base del disposto dell’art. 37 ter, comma 1, della legge n. 109/1994, appartiene alla fase del procedimento che mette capo alla dichiarazione di pubblico interesse della proposta, alla quale è propedeutica.

Viene rammentato poi che, in concreto, la relativa valutazione tecnica era stata a suo tempo già compiuta, dalla Giunta, approvando e facendo propria -quale parte integrante della delibera- l’istruttoria tecnica contenuta nella relazione del responsabile del procedimento del 30 ottobre del 2001. Sicché costituirebbero espressione della volontà dell’organo di Giunta non solo le valutazioni concernenti l’interesse pubblico rinvenuto nella proposta, ma anche tutte le valutazioni tecniche presupposte dalle prime.

La determina dirigenziale del 15 ottobre 2008 avrebbe posto inoltre nel nulla, unitamente alla valutazione di fattibilità e di conformità ai piani regolatore e cimiteriale che la Giunta aveva già compiuto, anche -e soprattutto- la fondamentale decisione sul pubblico interesse assunta dallo stesso organo di governo.

Da tutto ciò la conclusione di parte che la determina impugnata, siccome volta all’annullamento della precedente dichiarazione pubblico interesse in una con le presupposte valutazioni di fattibilità e di conformità ai piani, costituirebbe espressione del potere di autotutela, e come tale avrebbe dovuto rispettarne i canoni.

3 Questa impostazione è stata correttamente disattesa dal primo giudice, che ha giustamente posto in luce quanto segue.

Nella specie la competenza della Giunta di Castellammare di Stabia si è esaurita nella valutazione del pubblico interesse espresso dal progetto per cui è causa. Una volta ritenuto il progetto di rilievo per l’Amministrazione, infatti, si è aperta una distinta fase della procedura, in cui la valutazione in ordine alla congruità della proposta di project financing, trattandosi di attività di valutazione tecnica e di gestione in via di principio conseguenziale ad una scelta già effettuata, spettava alla dirigenza, ai sensi dell’art. 107 del T.U. 18 agosto 2000 n. 267. Consumatasi integralmente, invero, l’attività politica di scelta delle opere da finanziare mediante l’apporto dei privati, la procedura operativa, nell’ambito della quale vi è la presentazione di un progetto completo, la sua valutazione, il suo inserimento a base d’asta, insomma tutta l’attività successiva, è attività di gestione, vale a dire attività di valutazione tecnica consequenziale a quella scelta, e, coerentemente e necessariamente, ai sensi del d.lgs. n. 267 del 2000, essa ricade nella esclusiva competenza dei dirigenti (C.d.S., sez. V, 01 settembre 2009, n. 5136).

4 La prospettiva appena delineata merita conferma. Dopo l’individuazione delle opere di pubblico interesse ai sensi dell’art. 37 ter della legge n. 109/1994, deve infatti ritenersi che la relativa materia fuoriesca dalla sfera delle competenze del livello politicoamministrativo, per diventare puramente tecnica e di gestione.

L’applicazione dello schema logico dell’ actus contrarius porta quindi, su queste basi, a risultati a ben vedere opposti a quelli auspicati dall’appellante. L’atto che ha formato oggetto di gravame è soltanto un diniego di aggiudicazione, e, come tale, già alla stregua del suo dispositivo provvedimentale, non integra un atto di ritiro, e non può che rientrare nella sfera di competenza della figura soggettiva cui sarebbe spettato, al contrario, aggiudicare, vale a dire il dirigente.

E questo è già un primo piano argomentativo che denota l’infondatezza della ricostruzione proposta dall’appellante.

5 Si deve poi osservare che la valutazione del progetto preliminare che sia stato proposto ai sensi degli artt. 37bis e segg. della legge n. 109/1994, che compete in sede locale agli organi di governo, rinviene il suo proprium nella individuazione, dietro esame anche comparativo delle proposte pervenute, di quelle meritevoli di essere ritenute di pubblico interesse.

Ciò posto, la valutazione dei numerosi profili tecnici di fattibilità ("costruttivo, urbanistico edambientale") cui l’art. 37 ter esige di avere riguardo serve a dare un senso concreto e una prospettiva di utilità alla valutazione di pubblico interesse, che sarebbe nullius momenti ove venisse enunciata in via del tutto astratta, a proposito di un’opera di cui dovesse magari essere esclusa a priori la fattibilità.

Ma sembra sufficientemente chiaro che quelle verifiche di fattibilità hanno proprio la funzione servente di far pervenire, a guisa di accertamenti incidentali, alla predetta valutazione di pubblico interesse in funzione della quale sono richieste e compiute, senza che vi sia motivo di ritenere che con quelle stesse verifiche la relativa valutazione tecnica si sia già irreversibilmente esaurita, e perciò sia preclusa la possibilità di una più matura e approfondita disamina della fattispecie in seguito, quando emergerà meglio la sua fisionomia. La posizione del promotore, che si assume, oltre che il rischio economico, anche quello amministrativo, deve ritenersi, del resto, fisiologicamente esposta al dovere permanente dell’Amministrazione di verifica della reale fattibilità del progetto da esso presentato, la quale dipende da parametri oggettivi conoscibili ex ante facendo uso della diligenza professionale.

Qualora poi, in seguito, gli approfondimenti del caso conducano a ravvisare un impedimento prima rimasto occulto, e si imponga un conseguente arresto, anche definitivo, del procedimento di gestione, questo non integrerebbe un atto di ritiro della iniziale valutazione di interesse pubblico espressa dall’Organo di governo con riferimento al progetto, in quanto il nuovo atto si collocherebbe su un piano del tutto distinto rispetto al precedente, e, senza recare alcuna valutazione in punto di interesse pubblico, si limiterebbe a prendere atto dell’esistenza dell’impedimento tecnico emerso.

Come pure sembra chiaro che la verifica di conformità di un progetto alle discipline di piano vigenti appartiene ad una materia che, lungi dal potersi dire riservata all’organo di governo (significativamente qui limitatosi, a suo tempo, a "prendere atto e approvare" la relazione istruttoria), spetta semmai per sua natura proprio alla dirigenza, depositaria della necessaria expertise tecnica.

E non occorre certo soffermarsi qui a ricordare che all’interno del sistema di cui al d.lgs. n. 267 del 2000 esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo locale e relativa dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli scopi da perseguire), e alla seconda quelli di gestione. Più in particolare, alla Giunta competono tutti gli atti rientranti nelle funzioni "di indirizzo e controllo politicoamministrativo" che non siano assegnati agli altri organi di governo (artt. 48107 T.U. cit.), e per converso ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell’adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni e concessioni (e quindi anche i loro simmetrici atti negativi), e sugli stessi dirigenti incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa della medesima gestione (art. 107 cit., commi 3 e 6).

Ora, non sembra affatto rientrare in un’attività di indirizzo propriamente intesa la rilevazione di elementi di conflitto tra un progetto e un Piano cimiteriale comunale. Anche se si ha riguardo al contenuto della valutazione tecnica che sta alla base del provvedimento impugnato in primo grado, si rivela perciò infondata la qualificazione della relativa determina quale atto di ritiro, come pure il corollario dell’incompetenza della dirigenza.

6 Il fatto che nella specie le valutazioni ex art. 37 ter legge cit. fossero state compiute da parte della Giunta non spogliava, pertanto, la dirigenza locale, della responsabilità di vegliare, a valle, sul rispetto dei piani vigenti, assicurando che il progetto fosse ad essi effettivamente conforme, né tantomeno la esonerava dal dovere di trarne, in caso di acclarata incompatibilità, le ineludibili conseguenze che si imponevano al livello delle sue competenze di gestione.

Né ciò integrava una ritrattazione della precedente valutazione, espressa dalla Giunta, si ricorda, solo incidentalmente, in occasione del vaglio del progetto dal punto di vista della inerenza del pubblico interesse: non si è avuto al riguardo un "ripensamento", e tantomeno un diverso apprezzamento dell’interesse pubblico (questo sì riservato all’Organo di governo), bensì, su un differente piano di azione amministrativa, solo un approfondimento della relativa problematica tecnica, che ha palesato l’esistenza di un impedimento alla realizzazione del progetto.

La determina dirigenziale in contestazione, giova poi sottolinearlo, nel negare l’aggiudicazione della concessione, è stata dettata dalla necessità -né più né meno che- di garantire il rispetto di un Piano, quello cimiteriale, emanato dagli stessi Organi di governo dell’Ente locale, che si connotava per il dirigente come un insuperabile vincolo. Onde la determina stessa si poneva sotto ogni profilo come un atto dovuto.

7 Ancor meno può essere messo in discussione il merito di tale determinazione.

L’appellante non confuta in alcun modo la valutazione dei tecnici del Comune circa il conflitto del suo progetto con il Piano cimiteriale, non fornendo neppure un principio di prova dell’insussistenza di tale conflitto, e perciò della erroneità della determinazione impugnata. In proposito, il Consorzio non fa che ricordare -e trincerarsi dietro il fatto- che la originaria valutazione espressa in sede municipale era stata di segno opposto, con ciò trascurando, però, sia il fatto che in origine, allorché appunto il progetto preliminare fu la prima volta valutato, a livello di Giunta, era stato avvertito che si era trattato solo di un "primo esame del progetto preliminare" (come si esprimeva la relazione istruttoria del 30 ottobre 2001), sia che i risultati di tale vaglio erano stati poi superati dagli uffici, per l’appunto, sulla scorta di una precisa e puntuale analisi tecnica.

Invero, in sede di conferenza dei servizi, in data 9 maggio 2002, era stata accertata la conformità dell’attività di sepoltura a terra condotta presso il Cimitero comunale al Piano regolatore cimiteriale in vigore, e per converso era inequivocabilmente emerso il conflitto con quest’ultimo del progetto del Consorzio, che nella stessa area destinata alle inumazioni, ed ancora in atto utilizzata a tale scopo (settori "E’ ed "F"), prevedeva invece la realizzazione di opere di ampliamento (loculi, nicchie ed ossarietti in elevazione).

A fronte di tutto ciò, l’appellante si limita ad asserire in modo del tutto generico, senza offrire alcun supporto dimostrativo, che a contrastare con il Piano (ed il progetto) sarebbe stata l’attività di inumazione "impropriamente" condotta dal Comune. Onde una simile deduzione non può che essere disattesa.

8 Dinanzi alle oggettive risultanze emerse, la realizzabilità del progetto avrebbe a suo tempo richiesto non solo una ipotetica riforma del piano, con una diversa destinazione per il futuro dell’area interessata dal conflitto di previsioni, ma anche, ed in primis, la esumazione anticipata delle salme nel frattempo ivi collocate, onde rendere l’area disponibile ai fini del progetto. Una volta, però, che una simile possibilità era stata esclusa dalla Regione, appositamente interpellata dagli uffici municipali sulla riducibilità del termine di esumazione delle salme, e stante la carenza di nuove proposte da parte del Consorzio, le opzioni a disposizione del Comune non potevano che reputarsi esaurite. "L’impossibilità di variare il Piano cimiteriale, con il quale la proposta del Promotore era ed è in contrasto, costituisce elemento ostativo alla realizzazione dell’intervento del promotore e, pertanto, impone la conclusione del procedimento con un provvedimento espresso di non aggiudicazione": tale l’inevitabile conclusione del provvedimento impugnato, che non si vede come possa essere reputata illegittima.

9 Le considerazioni che precedono hanno portato ad escludere la configurabilità della determinazione impugnata in termini di atto di ritiro.

In particolare, non si trattava certo di una revoca in senso proprio, modello di atto di secondo grado che presuppone un ripensamento da parte dell’Amministrazione derivante da un mutato apprezzamento discrezionale della situazione di fatto e dell’assetto di interessi ad essa connesso.

Ma anche a volere ipoteticamente considerare l’atto gravato quale una sorta di annullamento d’ufficio, varrebbe pur sempre, allora, la replica del Tribunale secondo la quale, in sede di adozione di un atto di ritiro da parte della P.A., la comparazione tra interesse pubblico e quello privato è necessaria nel caso in cui l’esercizio dell’autotutela discenda da errori di valutazione imputabili all’Amministrazione pubblica, ma non certo quando sia invece dovuto a comportamenti del soggetto privato che abbiano indotto l’Autorità in errore (cfr. C.d.S., sez. V, 8 febbraio 2010 n. 592; IV, 12 marzo 2007 n. 1189).

10 Neppure giova all’appellante insistere sulla lunghezza del lasso di tempo trascorso fra l’iniziale approvazione del progetto (risalente al 2001) e la chiusura della procedura.

Innanzitutto è il caso di osservare che la verifica di fattibilità del progetto non può reputarsi sottoposta a particolari limiti temporali.

Non va poi dimenticato che la dilazione registratasi ha trovato giustificazione, fra l’altro, come ha bene osservato il Tribunale, anche in vicende esterne alla procedura amministrativa (sequestro in sede penale), oltre che nel tentativo operato dal Comune di liberare anzitempo i settori "E’ ed "F" dalla loro destinazione.

Va però posto soprattutto in risalto che il Comune, fin dalla determina dirigenziale n. 68 del 6 maggio 2002, aveva chiesto al promotore di rendere una puntuale dichiarazione circa la "realizzabilità del progetto anche in relazione al terreno, al tracciamento, al sottosuolo e alla disponibilità delle aree", specificando la necessità di "avviare il procedimento di tutte le varianti al piano cimiteriale, se necessarie". Dalla disamina dell’interlocuzione fra l’Amministrazione ed il privato emerge quindi come quest’ultimo fosse ben a conoscenza, quanto meno a far tempo dal 2002, dell’esistenza di un ostacolo preciso alla realizzazione del suo progetto (la destinazione dei campi "E "e "F" a tumulazione), tanto da averne richiesto all’Amministrazione la rimozione.

Dunque parte appellante da molto tempo conosceva, ed ancor prima avrebbe comunque dovuto conoscere, la destinazione delle aree in cui ricadeva il proprio progetto, e portava su di sé la responsabilità della difformità del medesimo rispetto al Piano. Pertanto il fluire del tempo non la legittimava a riporre -e tantomeno a consolidare- alcun affidamento meritevole di tutela in ordine alla realizzazione del progetto.

Inoltre, essa parte avrebbe ben potuto presentare, tempestivamente, un progetto alternativo, o una variante, che potesse eventualmente consentire di superare l’ostacolo alla realizzabilità del progetto: ma ciò non è stato fatto.

E se è vero che la stessa Amministrazione può richiedere al promotore la presentazione di modifiche o varianti al progetto, nei limiti in cui non ne venga modificato il nucleo essenziale, deve anche convenirsi come tale apporto collaborativo non costituisca un dovere assoluto, specialmente nei casi in cui le modifiche progettuali da operare siano tutt’altro che marginali; senza dire che la presentazione di modifiche o varianti, mentre può essere ammessa nel corso della prima fase della procedura (in cui si verifica la rispondenza del progetto al pubblico interesse), è molto più problematica quando l’Amministrazione, sulla base di quello specifico progetto, abbia già svolto la gara per l’individuazione del concessionario.

Va infine ribadito che il Comune, dopo avere riscontrato il conflitto tra progetto del Consorzio ed il Piano, ha fattivamente cercato una soluzione alternativa, tentando di ottenere dalla Regione una deroga all’obbligo di turnazione settennale delle sepolture, al fine di riutilizzare le aree in esame, e soltanto dopo il fallimento di tale tentativo è addivenuto alla determinazione impugnata.

11 Le ragioni fin qui esposte portano pertanto a ritenere infondati i motivi dedotti con il presente appello.

12 Una volta respinte le argomentazioni svolte dall’appellante in punto di legittimità degli atti gravati in prime cure, non vi è infine luogo ad occuparsi della sorte della domanda risarcitoria (in subordine, indennitaria) che il primo giudice aveva parimenti respinto, con statuizione che non ha incontrato in questa sede d’appello specifiche ed autonome critiche.

D’altro canto, è chiaro che la persistente validità del provvedimento di mancata aggiudicazione della procedura di project financing incida inesorabilmente sulla fondatezza della richiesta risarcitoria, in quanto la presenza di un provvedimento amministrativo rivelatosi legittimo impedisce la qualificazione come ingiusti dei pregiudizi ad esso ricollegabili. In definitiva, il bene della vita cui l’attrice aspira, la concessione, non poteva esserle conferito, e il relativo impedimento risaliva al modo di essere del progetto che la stessa parte aveva sottoposto al Comune, stante il suo essere confliggente con il Piano cimiteriale.

12 L’appello in epigrafe, in conclusione, deve essere respinto.

Si ravvisano, tuttavia, ragioni tali da giustificare la compensazione delle spese processuali tra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Compensa le spese del giudizio di appello.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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