Cons. Stato Sez. V, Sent., 07-04-2011, n. 2151 Contratti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

tonio e l’Avvocato dello Stato Tidore;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Il Comune di Ofena, con contratto del 25.9.1989, concedeva alla S.n.c. Caviter la coltivazione della cava per inerti in località Collelungo e su area di proprietà comunale (fg. 41, part.106) alle condizioni vi indicate.

Il 17.2.1999, la Caviter chiedeva la proroga della concessione per altri dieci anni ed estesa ad altre particelle e con atto del 3.5.1999 il Sindaco autorizzava tale proroga, precisando in dispositivo che "la presente autorizzazione sarà valida 10 (dieci) anni dalla data della scadenza della concessione e comunque non oltre l’entrata in vigore del piano regionale cave previsto dalla L.R. n.54 del 26.7.1983. Nell’ipotesi che al termine del 10° anno lo sfruttamento della cava non sia terminato secondo quanto disposto dal progetto già autorizzato dalla Regione, la presente convenzione verrà rinnovata automaticamente di ulteriori 10 anni".

La stessa dizione è stata riportata nel punto 3) della consequenziale concessionecontratto stipulata con la Caviter il 23.6.1999.

Tale società era poi incorporata nella S.r.l. Lafarge Calcestruzzi (in seguito indicata Lafarge).

Insorto contenzioso tra le parti ai fini del subingresso nella concessione della società R. e D. D. M. di D. D. M. & C. S.a.s. (poi R. & D. D. M. S.r.l., di seguito indicata come società D. M.), cui la società Lafarge aveva ceduto il ramo di azienda per la coltivazione della cava, in data 31.5.2004 intervenivano:

a) l’atto di transazione tra il Comune, la società Lafarge e la società D. M., con cui il Comune concedeva alla società D. M. il subingresso "alle medesime ed immutate condizioni di cui al contratto in essere, così come integrato dalle disposizioni di cui all’atto stipulato in data 31.5.2004 approvato con deliberazione c.c. n.21 del 31.5.2004 che verrà sottoscritto dal subentrante per formale accettazione"

b) il contratto n.3 tra il Comune e la società Lafarge, con cui, a modifica della convenzione stipulata il 23.6.1999, era rideterminato il canone annuale di concessione dal 1.1.2004 nell’importo di Euro 150.000,00 corrispondente ad una quantità di materiale scavato di mc 123,300 anche se il materiale estratto fosse risultato di quantità inferiore, mentre, in caso di estrazione in eccedenza, l’importo da pagare sarebbe stato calcolato in Euro 1,21721 al mc per il primo anno, da rivalutare in base agli indici Istat per gli anni successivi.

Nel punto n.7 di questo secondo contratto erano "fatti salvi tutti gli altri patti, prescrizioni e condizioni di cui alle autorizzazioni sindacali del 29.3.1989 e del 3.5.1999, nonché alla convenzione del 23.6.1999, purché non modificati o in contrasto con quanto stabilito nel presente atto".

Di conseguenza, il Sindaco di Ofena, con provvedimento dello stesso 31.5.2004, n. 1281 di prot., autorizzava la società D. M. "al subingresso nella coltivazione della cava di inerti in loc. Collungo (…) fino alla naturale scadenza del precedente e vigente atto di autorizzazione citato in precedenza".

Detta autorizzazione puntualizzava poi, nella parte dispositiva, che "il termine del ciclo lavorativo non potrà superare quello in precedenza accordato dall’amministrazione, e cioè fino al 3.5.2009, ritenendo il presente atto un semplice provvedimento autorizzatorio di volturazione e subentro nella titolarità concessoria".

Con nota del 17.2.2009 la società D. M. comunicava alla Regione Abruzzo ed al Comune di Ofena l’intento di avvalersi della prevista proroga decennale della concessione, con decorrenza dalla scadenza di quella in essere, allegando la relativa documentazione.

Il Responsabile del Servizio tecnico del Comune, con nota dell’11.3.2009, deduceva tuttavia l’impossibilità di concedere la proroga ai sensi dell’art. 20 della L.R. n. 54/1983.

Il Consiglio comunale di Ofena, con deliberazione 4.5.2009 n. 2, dando atto che la precedente ed analoga delibera n. 1 del 2.4.2009 era priva di effetti, autorizzava la Giunta, il Sindaco ed il Responsabile del servizio all’attivazione della procedura per l’emanazione del bando di gara finalizzato ad una nuova concessione dell’attività estrattiva nell’area di cava, da concludersi entro tre mesi, salvo proroga, ed autorizzava altresì il Sindaco a concedere una proroga trimestrale del rapporto in essere con l’attuale gestore e, comunque, non oltre il 31.12.2009.

Il 13.5.2009 il Comune chiedeva alla Regione l’autorizzazione alla proroga trimestrale della concessione in atto ed il Sindaco ha ciò disposto con atto del 20.5.2009, mentre la Giunta comunale, con deliberazione 3.6.2009 n. 20 approvava il bando di gara per il nuovo l’affidamento: questi atti sono stati impugnati dalla società D. M. con un secondo atto di motivi aggiunti, spedito per la notificazione l’8.6.2009 e depositato il 16 successivo, ancora deducendosene l’illegittimità in conseguenza della già dedotta illegittimità della deliberazione consiliare n.2/2009 e degli atti presupposti, come sopra già impugnati.

Il bando di gara era quindi pubblicato sulla G.U.R.I. del 22.6.2009 n.72.

2 Con la sentenza appellata i Primi Giudici hanno accolto il ricorso, integrato da motivi aggiunti, con il quale la società ha impugnato il diniego di proroga e gli atti relativi alla gara bandita per l’affidamento della concessione.

Con il ricorso in appello il Comune di Ofena contesta gli argomenti posti a fondamento del decisum di prime cure.

Resiste la società originariamente ricorrente.

Le parti hanno affidato al deposito di memorie l’illustrazione delle rispettive tesi difensive.

All’udienza dell’11 gennaio 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.

3. Dall’esame degli atti di causa si ricava che i motivi in forza dei quali il Comune da ritenuto di non concedere la proroga (o il rinnovo) fino al 2010 consistono:

a) nel fatto che dal 1989 al 2009 sono già trascorsi venti anni e l’art. 20, I comma, della L.R. n.54/1983 vieta di poter superare questo termine;

b) nel divieto di rinnovo tacito del contratto in corso;

c) nel fatto che la ditta concessionaria ha estratto materiali in misura inferiore a quanto previsto nel progetto di cava.

Si deve convenire con il Primo Giudice che non costituisce ragione idonea a giustificare il diniego la sussistenza di eventuali inadempimenti o violazioni progettuali evidenziate nella relazione peritale depositata dalla difesa comunale in prime cure, trattandosi di dati rilevanti sotto il diverso profilo della risoluzione per inadempimento della concessione in atto.

Del pari, non costituisce ragione idonea a sorreggere la determinazione negativa il motivo di cui al superiore punto c), ossia l’eccepita, inferiore quantità di materiale estratto, rispetto a quanto possibile in base al progetto di coltivazione di cava approvato. Infatti, dal contratto stipulato con la società Caviter, in cui è subentrata la società D. M., non risulta alcun obbligo di escavazione di un determinato quantitativo "minimo" di materiale. Inoltre, il Comune si è garantito da questa eventualità pattuendo un canone annuale "minimo" comunque dovuto, anche se il quantitativo del materiale estratto fosse risultato inferiore a mc 123,300, quantità, a sua volta, considerata ai fini della determinazione del canone stesso.

3.1.La Sezione non ritiene invece meritevoli di condivisione le argomentazioni con le quali il Primo Giudice ha ritenuto inidonei a giustificare il diniego in esame il limite ventennale fissato dalla normativa regionale (punto a) ed il principio generale del divieto di rinnovo tacito dei contratti pubblici (punto b).

Quanto al primo profilo si deve muovere dall’esame del dato positivo.

L’art.. 20 della citata L.R. Abruzzo 26 luglio 1983 n.54, così dispone:

– "La concessione o l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di coltivazione dei giacimenti non può essere rilasciata per un periodo superiore a venti anni", (I comma);

– "Per evitare interruzioni di attività produttive, i provvedimenti possono essere prorogati su domanda degli interessati, da inviare all’Amministrazione competente prima della scadenza, previa l’osservanza delle norme previste per il loro rilascio ed a condizione che il richiedente abbia puntualmente adempiuto a tutte le prescrizioni ed obblighi fissati nel precedente provvedimento", (II comma).

Dall’esame della disposizione si ricava:a)le regola generale secondo cui la durata della concessione non può valicare il limite ventennale; b) l’eccezionale possibilità della proroga solo per effetto di determinazione espressa a seguito di domanda di parte.

Dalla combinazione di tali prescrizioni si ricava il divieto di proroga tacita delle concessioni a seguito del decorso dell’arco temprarle di venti anni. Detto divieto si salda con il principio comunitario secondo cui il diniego e la proroga sono considerati alla stregua di contratti ex novo, necessitanti dell’espletamento di procedure di evidenza pubblica un assenza delle ipotesi eccezionali che autorizzano il ricorso alla procedura negoziata.

Si deve quindi convenire che la regola esposta dalla legge regionale si armonizza con il principio generale, da ultimo sancito dall’art. 57, comma 7, del codice dei contratti pubblici che vieta il rinnovo tacito delle stipulazioni contrattuali.

Il rinnovo tacito altro non è che una forma di trattativa privata che esula dalle ipotesi ammesse dal diritto comunitario (Cons. di Stato, sez. VI, n. 6458 del 31 ottobre 2006). L’eliminazione della possibilità di provvedere al rinnovo dei contratti di appalto scaduti, disposta con l’art. 6 della legge n. 537/1993 e poi con l’art. 23 legge 62/2005 al fine di adeguare l’ordinamento interno ai precetti comunitari, ha quindi valenza generale e portata preclusiva di opzioni ermeneutiche ed applicative di altre disposizioni dell’ordinamento che si risolvono, di fatto, nell’elusione del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici. Solo rispettando il canone interpretativo appena indicato, infatti, si assicura l’effettiva conformazione dell’ordinamento interno a quello comunitario che considera il rinnovo e la proroga come un contratto originario necessitante della sottoposizione ai canoni di evidenza pubblica, mentre, accedendo a letture sistematiche che limitino la portata precettiva del divieto di rinnovazione dei contratti pubblici scaduti e che introducano indebite eccezioni, si finisce per vanificare la palese intenzione del legislatore di adeguare la disciplina nazionale in materia a quella europea.

In definitiva la legislazione vigente, partendo dal presupposto che la procrastinazione meccanica del termine originario di durata di un contratto sottrarrebbe in modo intollerabilmente lungo un bene economicamente contendibile alle dinamiche fisiologiche del mercato, non consente di procedere al rinnovo o alla proroga automatica dei contratti in corso, ma solo alla loro proroga espressa per il tempo strettamente necessario alla stipula dei nuovi contratti a seguito di espletamento di gare ad evidenza pubblica.

3.2. La Sezione deve poi rimarcare, a confutazione del diverso avviso espresso dal Primo Giudice, che il divieto in esame, pure se fissato dal legislatore in modo espresso, esso con riguardo agli appalti di sevizi, opere e fornire, esprime un principio generale attuativo di un vincolo comunitario discendente dal Trattato e, come tale, operante per la generalità dei contratti pubblici ed estensibile anche alle concessioni di beni pubblici (così Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, n. 3145; n. 3642/2008; Cons. Stato, V, n. 2825/2007; VI, n. 168/2005).

L’obbligo di dare corpo a procedure di evidenza pubblica deriva, infatti, in via diretta dai principi del Trattato dell’Unione Europea, direttamente applicabili a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne, in guisa da tenere in non cale disposizioni interne di segno opposto.

Vale in questa sede osservare che, alla stregua della comunicazione della Commissione europea del 12.4.2000, pubblicata in Gazzetta ufficiale n. C 121 del 29/04/200, richiamata e sviluppata da un circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per le politiche Comunitarie n. 945 dell’1.3.2002, i principi di evidenza pubblica, da attuare in modo proporzionato e congruo all’importanza della fattispecie in rilievo vanno applicati, in quanto dettati in via diretta e selfexecuting dal Trattato, anche alle fattispecie non interessate (nella specie concessione di servizi) da specifiche disposizioni comunitarie volte a dare la stura ad una procedura competitiva puntualmente regolata.

Con la comunicazione della Commissione si è rimarcato che "benché il Trattato non contenga alcuna esplicita menzione degli appalti pubblici, né delle concessioni, molte delle sue disposizioni sono rilevanti in materia. Si tratta delle norme del Trattato che presidiano e garantiscono il buon funzionamento del mercato unico, ossia: – le norme che vietano qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità (articolo 12, paragrafo 1, ex articolo 6, paragrafo 1); – le norme relative alla libera circolazione delle merci (articoli 28 – ex 30 – e seguenti), alla libertà di stabilimento (articoli 43 – ex 52 – e seguenti), alla libera prestazione di servizi (articoli 49 – ex 59 – e seguenti) nonché le eccezioni a tali norme previste agli articoli 30, 45 e 46 (ex articoli 36, 55 e 56);- le disposizioni dell’articolo 86 (ex 90) del Trattato".

La circolare ha a sua volta puntualizzato che "a prescindere dall’applicabilità di specifici regimi, tutte le concessioni ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni degli articoli da 28 a 30 (ex articoli da 30 a 36), da 43 a 55 (ex articoli da 52 a 66) del Trattato o dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte. Si tratta in particolare dei principi di non discriminazione, di parità di trattamento, di trasparenza, di mutuo riconoscimento e proporzionalità così come risultano dalla costante tradizione giurisprudenziale della Corte europea che si è posta all’avanguardia nella loro elaborazione". Segnatamente "il principio di trasparenza, strettamente legato a quello di non discriminazione poiché garantisce condizioni di concorrenza non falsate ed esige che le amministrazioni concedenti rendano pubblica, con appropriati mezzi di pubblicità, la loro intenzione di ricorrere ad una concessione. Secondo le indicazioni della Commissione europea (cfr. il punto 3.1.2 della Comunicazione interpretativa) tali forme di pubblicità dovranno contenere le informazioni necessarie affinché potenziali concessionari siano in grado di valutare il loro interesse a partecipare alla procedura quali l’indicazione dei criteri di selezione ed attribuzione, l’oggetto della concessione e delle prestazioni attese dal concessionario. Spetterà poi in particolare ai giudici nazionali valutare se tali obblighi siano stati osservati attraverso l’adozione di appropriate regole o prassi amministrative." A sua volta, "il principio di parità di trattamento implica che le amministrazioni concedenti pur essendo libere di scegliere la procedura di aggiudicazione più appropriata alle caratteristiche del settore interessato e di stabilire i requisiti che i candidati devono soddisfare durante le varie fasi della procedura, debbano poi garantire che la scelta del candidato avvenga in base a criteri obiettivi e che la procedura si svolga rispettando le regole e i requisiti inizialmente stabiliti (cfr. Corte di Giustizia, sentenza 25 aprile 1996, causa C87/94 Bus Wallons, punto 54). La Commissione individua quali esempi di pratiche contrarie alla parità di trattamento quelle che permettono l’accettazione di offerte non conformi al capitolato d’oneri o modificate successivamente alla loro apertura ovvero la presa in considerazione di soluzioni alternative qualora la possibilità non sia stata prevista dal progetto iniziale.

La sottoposizione delle concessioni di servizi al principio di non discriminazione, in particolare in base alla nazionalità, è stato confermato anche dalla giurisprudenza comunitaria, che ha precisato come l’obbligo di trasparenza a cui sono tenute le amministrazioni consiste nel garantire, in favore di ogni potenziale offerente, un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura degli appalti dei servizi alla concorrenza nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione (Corte di giustizia, sentenza 7 dicembre 2000, causa C324/98, cit., considerato n. 62)".

La circostanza che le direttive comunitarie in materia di appalti siano attuative delle norme del Trattato in materia di tutela della concorrenza e del mercato porta, in sostanza, a ritenere che queste norme siano puramente applicative, con riferimento a determinati appalti, di principi generali che, essendo sanciti in modo universale dal Trattato, sono ovviamente valevoli anche per contratti e fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate.

Donde l’immediata operatività dei principi, sopra esposti con riferimento alla concessione di servizi, anche agli appalti sottosoglia (vedi la circolare del Dipartimento per le Politiche comunitarie del 30.6.2002 ove si richiama l’ordinanza 3 dicembre 2001, in C59/00, e sentenza 7 dicembre 2000, causa C324, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, rese dalla Corte di Giustizia), ed ai contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l’interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti e, infine, alle stesse concessioni di beni pubblici di rilevanza economica. La Corte di giustizia ha in particolare statuito che "sebbene le direttive comunitarie che coordinano le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici si applichino soltanto ai contratti il cui valore supera un determinato limite previsto espressamente in ciascuna delle dette direttive, il solo fatto che il legislatore comunitario abbia considerato che le procedure particolari e rigorose previste in tali direttive non sono adeguate allorché si tratta di appalti pubblici di scarso valore, non significa che questi ultimi siano esclusi dall’ambito di applicazione del diritto comunitario" (v., in tal senso, ordinanza 3 dicembre 2001, in C59/00, punto 19). Già in precedenza il giudice comunitario aveva sottolineato la necessità del rispetto del principio di trasparenza anche per gli appalti non rientranti espressamente nella sfera di applicazione di una direttiva, ricordando che "nonostante il fatto che siffatti contratti, allo stadio attuale del diritto comunitario, siano esclusi dalla sfera di applicazione della direttiva 93/38, gli enti aggiudicatori che li stipulano sono ciò nondimeno tenuti a rispettare i principi fondamentali del Trattato in generale, e il principio di non discriminazione in base alla nazionalità in particolare" (sentenza 7 dicembre, 2000, in C324/98, Teleaustria c. Post & Telekom Austria, punto 60). Prendendo le mosse da siffatte considerazioni la Corte di Giustizia ha rimarcato che anche per un appalto pubblico di lavori non eccedente il valore limite previsto dalla direttiva 93/37, "l’articolo 30 del Trattato osta a che un’amministrazione aggiudicatrice inserisca nel capitolato d’oneri relativo al detto appalto una clausola che prescrive per l’esecuzione di tale appalto l’impiego di un prodotto di una determinata marca senza aggiungere la menzione o "equivalente" (Corte Giust. Ord. 3 dicembre 2001 cit., ove si mette in rilievo come la riserva del mercato ai soli offerenti che intendano utilizzare materiali prodotti in un certo Stato, nella specie l’Irlanda, può ostacolare le correnti d’importazione nel commercio intracomunitario, in contrasto con l’articolo 30 del Trattato; v., in tal senso, sentenza Corte Giust. 24 gennaio 1995, causa c- 359/93, Commissione/93).

Nelle citate decisioni in materia di concessione di beni pubblici (vedi, soprattutto, sez. VI, n. 168/2005) il Consiglio ha richiamato la posizione della Commissione UE, secondo la quale, anche nei casi in cui non trova applicazione la direttiva sugli appalti di servizi (in particolare, nel caso delle concessioni di pubblici servizi) la scelta del contraente incontra i limiti indicati dalle norme del Trattato in materia di libera prestazione di servizi e dai principi generali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trattamento, la trasparenza. Si impone così una scelta ispirata a criteri obiettivi e trasparenti, tali da assicurare in ogni caso la concorrenza tra i soggetti interessati (v. i progetti di comunicazione interpretativa della Commissione del 24.2.1999 e del 12.4.2000; v. anche, per l’affermazione dei medesimi principi e per la rilevanza generale degli obblighi di trasparenza nella scelta dei contraenti, specie quando si tratta di servizi pubblici, Corte di Giustizia CE, 7 dicembre 2000, C324/98).

La giurisprudenza amministrativa, pur citando principi espressi dalla Corte di Giustizia con riferimento alle concessioni di servizi pubblici, che è figura diversa dall’appalto di servizi, ha riconosciuto agli stessi "una portata generale che può adattarsi ad ogni fattispecie che sia estranea all’immediato ambito applicativo delle direttive sugli appalti. Del resto, è utile ricordare che la tradizione dell’ordinamento interno è sempre stata quella di favorire la libera scelta del concessionario, introducendo ampie deroghe al regime dell’evidenza pubblica, e di considerare con maggior rigore, all’opposto, proprio la scelta del contraente appaltatore (dec. n. 934/2002 cit.)".

Si è in particolare chiarito che "la normativa europea in tema di appalti pubblici, in particolare di servizi, non trova applicazione (e pertanto l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito anche senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle norme comunitarie) solo quando manchi un vero e proprio rapporto giuridico tra l’ente pubblico e il soggetto gestore, come nel caso, secondo la terminologia della Corte di Giustizia, di delegazione interorganica o di servizio affidato, in via eccezionale, "in house" (cfr. Corte di Giustizia, sentenza del 18 novembre 1999, causa C107/98, Teckal).

In altri termini, quando un contratto sia stipulato tra un ente locale ed una persona giuridica distinta, l’applicazione delle direttive comunitarie può essere esclusa nel caso in cui l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e questa persona (giuridica) realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano. Segnatamente, ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s’intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie innanzi citate".

Le coordinate esposte – che rimangono valide a seguito del Trattato di Lisbona- sono applicabili anche alle concessioni di beni pubblici, fungendo da parametro di interpretazione anche della normativa regionale che viene qui in considerazione.

L’indifferenza comunitaria al nomen della fattispecie, e quindi alla sua riqualificazione interna in termini pubblicistici o privatistici, fa sì che la sottoposizione ai principi di evidenza trovi il suo presupposto sufficiente nella circostanza che con la concessione di area pubblica si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva ispirata ai ricordati principi di trasparenza e non discriminazione.

Né si può ritenere che la tradizionale idea della concessione senza gara possa trovare giustificazione nella regola comunitaria secondo cui sono escluse dall’applicazione delle disposizioni del presente capo, le attività che nello Stato nazionale partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri. Secondo l’opzione preferibile tale regola va, infatti, interpretata in senso restrittivo, dovendo venire all’uopo rilievo un trasferimento di potere pubblicistico autoritativo non ravvisabile con riferimento all’istituto della concessione che, ai fini comunitari, si distingue dall’appalto essenzialmente con riguardo alle modalità di remunerazione dell’opera del concessionario.

3.3. Dalle considerazioni esposte si ricava – per effetto dell’ applicazione coordinata della normativa regionale e dei principi comunitari che considerano la proroga o il rinnovo di un contratto quale contratto nuovo soggiacente a regole competitive – che è vietata la proroga tacita delle concessioni ventennali e che la proroga può essere concessa, esclusivamente con provvedimento espresso, al fine di evitare l’interruzione delle attività in atto, per il solo tempo necessario a consentire l’espletamento della procedura di evidenza pubblica

Risulta quindi legittimo il divieto di proroga disposto dal Comune proprio in considerazione del superamento del tetto dei venti anni a seguito del cumulo del periodo iniziale con la prima proroga decennale e del divieto della reclamata proroga tacita.

Quanto alla proroga tacita prevista dal contratto di concessione del 1999 deve osservarsi, per un verso, che la ricordata autorizzazione sindacale al subingresso del 2004 richiama la scadenza del 3.5.2009 senza menzionare al riguardo la proroga tacita e, per altro assorbente profilo, che la clausola convenzionale recante la proroga tacita, in quanto contrastante con il ricordato precetto normativo di derivazione comunitaria, sia da considerarsi nulla di pieno diritto con conseguente sostituzione con la norma regionale che consente la proroga solo in via espressa con una prescrizione da interpretare come riferita al tempo strettamente necessario alla definizione della procedurali evidenza pubblica finalizzata alla scelta del concessionario. Del pari l’analogo richiamo alla proroga decennale contenuto nell’atto di autorizzazione sindacale del 1999 risulta sul punto superato dalla rammentata autorizzazione del 2004 e, in ogni caso, è stato inciso dal diniego di proroga che, nell’esercizio sostanziale del potere di autotutela, ha eliminato una prescrizione in chiaro contrasto con la normativa regionale e con i superiori principi comunitari.

4. Le considerazioni che precedono dimostrano la legittimità del diniego di proroga impugnato in prime cure e della conseguente procedura di evidenza pubica indetta dall’amministrazione.

L’appello deve pertanto essere accolto.

Ne consegue, in riforma della sentenza gravata, la reiezione del ricorso di prime cure.

La complessità e l’importanza della questione di diritto affrontata giustificano la compensazione delle spese dei due gradi.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, in riforma della sentenza gravata, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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