T.A.R. Abruzzo L’Aquila Sez. I, Sent., 07-04-2011, n. 187 contratto di appalto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso in epigrafe individuato, A.P. ha impugnato la delibera del C.C. di Morino (AQ) con la quale è stata disposta la revoca dell’aggiudicazione già disposta in favore del ricorrente dell’asta pubblica celebrata per la vendita di un immobile di proprietà del Comune, già adibito a scuola (in via Breccioso, n.56, identificato nel NCEU di Morino, al f. 4, mappale 247, cat. A/2 – classe U -. Vani 8,5).

All’esito della gara in questione, il ricorrente era invero risultato aggiudicatario e tale dichiarato con determina del responsabile dell’UTC n.44 del 16.3.2010 e, nei termini previsti dal bando, avrebbe dovuto sottoscrivere il compromesso di vendita versando un ulteriore deposito (in aggiunta a quello già versato in sede di domanda di partecipazione all’asta pubblica).

Il Comune, al contrario, non procedeva alla stipula del compromesso e, con la delibera impugnata, revocava la delibera n.6 del 23.1.2010 disponente la vendita, contestualmente disponendo "quanto di competenza al fine di dichiarare l’interesse pubblico dell’edificio ex scuola elementare di Breccioso disponendone la contestuale iscrizione al patrimonio indisponibile".

Il ricorso deduce: 1) Violazione di legge ed in particolare dell’art. 97 della Costituzione; 2) Violazione di legge ed in particolare dell’art. 7 della L. n.241/90; 3) Violazione di legge ed in particolare degli artt. 88 e 97 del R.D. n.827/1924; 4) Violazione di legge ed in particolare dell’art. 58 del D.L. 25 giugno 2008, n.112; 5) Eccesso di potere per difetto ed incongruità della motivazione – travisamento dei fatti – contraddittorietà. Incompletezza e difetto d’istruttoria – ingiustizia manifesta e sviamento: la disposta revoca è stata assunta senza previa comunicazione di avvio del provvedimento al ricorrente, già dichiarato aggiudicatario, tanto più necessaria trattandosi di atto disposto in autotutela; l’atto è stato assunto in evidente difetto di istruttoria e di motivazione, tenuto conto degli espressi pareri sfavorevoli del responsabile dell’ufficio tecnico, del responsabile dell’Area economicofinanziaria, del Segretario Comunale e del gruppo di minoranza; l’atto è stato assunto in sviamento di potere rispetto al fine tipico normativamente predeterminato, connotandosi per i suoi fini politici in ragione dell’intervenuto (nelle more) mutamento della maggioranza politica; in punto di fatto occorre considerare che l’immobile in questione è stato posto in vendita a seguito della sua perdurante inutilizzazione e peraltro di plurime procedure di vendita andate deserte (il che spiega anche la riduzione del prezzo a base d’asta), situazione di fatto che ha determinato anche il decadimento strutturale dell’edifico, per cui è del tutto pretestuosa la motivazione adottata in delibera circa la intenzione di utilizzare la struttura a fini pubblici, neppure individuati in violazione di legge.

Concludeva per l’accoglimento del ricorso e dell’istanza cautelare di sospensione dell’esecuzione dell’atto impianto.

Si costituiva il Comune di Morino che chiedeva rigettarsi il ricorso e l’istanza cautelare.

Con Ordinanza n.244 del 2010 il TAR adito accoglieva la proposta istanza cautelare.

Le difese depositavano memorie e documentazione.

All’esito della pubblica udienza del 23 marzo 2011 il Collegio riservava la decisione in camera di consiglio.
Motivi della decisione

Il Comune di Morino, con delibera di C.C. n.6 del 23.1.2010, dispose l’alienazione del fabbricato ex scuola Breccioso mediante asta pubblica, fissando quale prezzo a base d’asta la somma di Euro 53.000,00; tale prezzo veniva determinato in ribasso rispetto a precedenti tentativi d’asta andati deserti; il bando consentiva inoltre all’aggiudicatario pagamenti rateizzati quanto al 70% del prezzo offerto.

Alla gara partecipava l’odierno ricorrente che se l’aggiudicava offrendo il prezzo di Euro 55.170,00 e depositando gli importi previsti all’atto della presentazione dell’offerta ed il residuo fino a concorrenza del previsto 30% dell’importo offerto, per un totale di euro 16.551,00 che venivano, a seguito dell’aggiudicazione, incassati dall’Amministrazione.

Con la delibera impugnata il C.C. di Morino disponeva la revoca della prevista delibera n.6/2010 riservando di intraprendere i precorsi amministrativi deputati a conferire pubblica utilità al fabbricato già alienato.

La delibera in questione, incidendo sull’atto preliminare all’aggiudicazione disposta in favore del ricorrente, per concatenazione procedimentale, incide anche sulla stessa aggiudicazione, vanificandola, e da qui l’interesse e la legittimazione del ricorrente al presente ricorso.

La questione sottoposta all’esame del Collegio riguarda la legittimità della impugnata revoca in presenza di posizione legittimante il ricorrente all’odierna impugnativa, giacché qualificata dalla differenziazione, rispetto alla massa dei consociati, invalsa per effetto della disposta aggiudicazione.

Mette conto osservare preliminarmente che, com’è noto, l’esercizio del potere di autotutela trova il proprio fondamento nel principio costituzionale di buon andamento, che impegna la P.A. ad adottare gli atti amministrativi funzionali ai fini da conseguire ed autorizza, quindi, anche il riesame degli atti già adottati, ove ciò si giustifichi per ragioni sopravvenute o per un diverso apprezzamento della situazione preesistente.

In particolare, la revoca costituisce atto di autotutela cui l’Amministrazione si determina in ragione di sopravvenute circostanze di fatto idonee a rivalutare la situazione in comparazione con la posizione dei soggetti privati eventualmente lesi dal mutato orientamento dell’Amministrazione.

Orientamento che, nel caso della revoca, non si fonda su questioni inerenti la legittimità dell’atto sul quale l’autotutela incide (che diversamente si tratterebbe, più propriamente, di autoannullamento) ma su motivi di opportunità come tali, per natura propria, altamente discrezionali.

Invero, secondo un costante e pacifico ordinamento degli organi di giustizia amministrativa (cfr. ex pluris, Cons. di Stato, sez.V, 11 maggio 2007, n.2346), l’annullamento d’ufficio o, a maggior ragione, la revoca di un atto amministrativo costituiscono facoltà ampiamente discrezionale nell’esercizio delle quali l’Amministrazione procedente deve tenere in considerazione non solo l’interesse pubblico alla rimozione dell’atto illegittimo o inopportuno, ma anche, in ragione della natura di secondo grado dell’atto di autotutela, la situazione del privato che abbia beneficiato dell’atto sul quale si va, in autotutela, ad incidere, nonché, in senso più ampio, anche delle situazioni dei terzi che abbiano fatto incolpevole affidamento sulla validità ed efficacia dell’atto medesimo.

Peertanto, proprio in ragione della sopra evidenziata natura discrezionale di tale potere, la Pubblica Amministrazione, finanche nel caso di atto illegittimo, e tanto più nel caso di atto inopportuno, ha l’obbligo di prendere in considerazione la possibilità di conservare la situazione giuridica originata dall’atto ove non ostino cogenti ragioni di interesse pubblico e se l’interesse privato possa essere, in concreto, ragionevolmente sacrificato al (giudicato) prevalente interesse pubblico alla rimozione degli effetti dell’atto; interesse privato tanto più "pesante" ove più risulti consolidata la posizione dell’eventuale destinatario dell’atto, come, nel caso del soggetto individuato quale aggiudicatario di una procedura di gara vanificata dall’esercizio del potere di revoca (cfr. Cons. di Stato, sez.IV, 29 giugno 2007, n.3298).

Ne discende che l’Amministrazione, ove intenda revocare una gara già effettuata, deve necessariamente tener conto di eventuali affidamenti creati nei concorrenti, e, in specie, dell’aggiudicatario, in quanto un comportamento che non tenga conto di tali affidamenti comporta violazione del canone della correttezza ed obbliga la stazione appaltante a risarcire i danni conseguenti (cfr. Cons. di Stato, sez.V, n.11 dicembre 2007, n.6405).

Con riferimento a tali principi costantemente affermati dalla giurisprudenza, e da cui il collegio non intende discostarsi, risulta sicuramente illegittimo l’atto di revoca disposto: 1) senza comunicazione di avvio del procedimento al destinatario dell’atto/aggiudicatario della gara revocata; 2) senza considerazione alcuna della posizione, fornita di peculiare affidamento, del soggetto aggiudicatario della gara; 3) senza alcuna ponderazione dei diversi interessi involti nella vicenda che, tenuto conto del profili sub 2), non necessariamente imponevano la revoca (e non già l’annullamento) della gara, che resta comunque esito altamente discrezionale; 4) senza alcuna considerazione degli eventuali effetti negativi della stessa revoca che, a termini di legge, imporrebbe, ove pure legittima, comunque la previsione di un indennizzo in favore del soggetto sul quale la revoca va ad incidere.

Fermo quanto precede, che è sufficiente a radicare l’illegittimità dell’atto ed il suo annullamento giurisdizionale in accoglimento dei motivi di ricorso, ove poi si vadano ad approfondire le ragioni che hanno indotto l’Amministrazione a disporre la revoca, il Collegio non può non evidenziare che tali ragioni, espresse nell’atto (e nella allegata proposta di deliberazione cui la delibera di C.C. si riporta de relato), si limitano a rivalutare le condizioni economiche della disposta vendita, sulla base di considerazioni non affatto sopravvenute ma addirittura già fatte oggetto di discussione nella stessa delibera revocanda.

In particolare, il prezzo a base d’asta risultava fissato in considerazione di valutazioni di organi tecnici terzi (UTE) e ridotto per effetto di precedenti tentativi d’asta deserti; peraltro le condizioni di degrado dell’immobile, proprio in ragione del verificato disinteresse dei privati all’acquisto, come consacrato nei citati tentativi d’asta deserti, avevano indotto l’Amministrazione a proporre condizioni di pagamento particolarmente favorevoli (rateizzazione del 70% del prezzo offerto in 120 mesi), e ciò nonostante i rilievi critici espressi dal segretario comunale in sede di espressione del parere sulla delibera n. 6/2010.

In proposito, evidentemente, alcun nuovo elemento è stato fornito atto ad invertire la determinazione dell’Amministrazione e tale dunque da giustificare la revoca.

La diversa valutazione, proprio perché, ovviamente, sempre astrattamente possibile da parte dell’Amministrazione, avrebbe dovuto vieppiù confrontarsi con le posizioni consolidate dell’aggiudicatario, non potendosi ritenere il destinatario dell’atto soggetto senza limitazione alcuna al diverso opinamento ad libitum dell’Amministrazione.

Quanto ai profili di interesse pubblico evidenziati con le memorie difensive, comunque non sufficienti a radicare i presupposti per la revoca in assenza della dovuta considerazione dei contrapposti interessi privati, in disparte la circostanza della preesistenza dei detti profili che non possono certo definirsi sopravvenuti, il Collegio deve rilevare che nessuno degli elementi addotti dalla difesa in questa sede (interesse pubblico all’utilizzazione della struttura come sede di asilo comunale, in ogni caso non attualizzato ma solo astrattamente prospettato, e neppure esso sopravvenuto), sia nella memoria di costituzione che nelle successive memorie difensive ed allegati documentali, è stato utilizzato per fornire supporto motivazionale (per quanto detto comunque insufficiente) alla delibera di revoca e, come da consolidato indirizzo giurisprudenziale, non è pertanto utilizzabile per integrare la motivazione dell’atto impugnato.

Tanto più che, trattandosi come detto di atto latamente discrezionale, la eventuale sussistenza di ulteriori profili di interesse pubblico non previamente considerati (ma in ipotesi considerabili) dovrebbe essere sussunta come tale dall’Amministrazione deliberante (e non già dal suo rappresentate processuale) e vagliata nella sede procedimentale propria unitamente, ai diversi ulteriori elementi involti, opportunamente e debitamente bilanciati nei sensi di cui sopra.

Il ricorso va per l’effetto accolto con l’annullamento dell’atto impugnato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano nell’importo in dispositivo fissato a carico dell’Amministrazione resistente.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo regionale per l’Abruzzo -L’AQUILA, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato.

Condanna il Comune di Morino ala pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 3.000 (tremila), in favore del ricorrente, oltre alla rifusione del contributo unificato come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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