T.A.R. Campania Napoli Sez. I, Sent., 07-04-2011, n. 1985 organi regionali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

specificato nel verbale di udienza;
Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 23 luglio e depositato il 29 luglio 2010, la ricorrente P. A. ha impugnato gli atti in epigrafe, con cui il Presidente della Giunta regionale della Campania ha nominato i componenti della Giunta regionale.

Acquisiti in giudizio, a seguito di ordinanza presidenziale istruttoria n. 104 del 9 settembre 2010, gli indirizzi di residenza o domicilio degli assessori nominati con i decreti impugnati, la ricorrente ha integrato il contraddittorio nei confronti di quelli originariamente non intimati.

Si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame la Regione Campania e gli assessori R.G., D.M.G. e N.S..

Le parti hanno prodotto scritti difensivi a sostegno delle rispettive ragioni.

All’esito dell’esame della domanda cautelare proposta col ricorso introduttivo, con ordinanza n. 2349 del 1° dicembre 2010 è stata fissata, ai sensi dell’art. 55 c.p.a., l’udienza pubblica per la trattazione di merito.

In vista della discussione del ricorso, la Regione Campania ha depositato una memoria di replica.

Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. – La ricorrente, agendo in giudizio nella qualità di cittadina elettrice residente nel territorio del comune di Caserta e di soggetto munito dei requisiti per la nomina ad assessore regionale a garanzia della rappresentanza femminile, si duole del fatto che dei dodici assessori regionali, nominati dal presidente della regione Campania con gli atti impugnati, solo uno è donna.

In punto di diritto, lamenta la violazione del principio della parità di genere, sancito dagli artt. 1 e 5 dello Statuto regionale, e del corollario della equilibrata presenza di donne e uomini nella formazione degli organi ed uffici regionali, di cui agli artt. 22 (sul Consiglio delle Autonomie locali), 35 (sulla composizione dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale), 46 (sulla nomina e composizione della Giunta) e 47 (sulle nomine di competenza della Giunta) del medesimo Statuto, sostenendo che il canone della "equilibrata" presenza, che fungerebbe da limite alla pur ampia discrezionalità presidenziale nelle designazioni assessorili, non potrebbe dirsi soddisfatto con la nomina di un unico componente di sesso femminile e che, alla mancanza di precise indicazioni statutarie di tipo parametrico o quantitativo, sarebbe possibile sopperire facendo ricorso a criteri orientativi della azione presidenziale quali l’equilibrio compositivo del consiglio regionale, consegnato dal risultato elettorale, od indicazioni normative, pur relative a materia diversa, in tesi idonee ad offrire utili indicazioni sul piano analogico.

In via cautelativa, denuncia l’illegittimità dello Statuto, se interpretato nel senso di legittimare la adozione di un atto di nomina della Giunta che garantisca la presenza di una sola donna.

Negando, infine, che potrebbero mai ricorrere condizioni di assoluta impossibilità di attuazione del principio di equilibrata presenza uomo/donna, argomenta, comunque, che eventuali circostanze del genere andrebbero illustrate nel provvedimento di nomina dei componenti della Giunta, che, invece, nel caso di specie non recherebbe alcuna motivazione, né in relazione alla proporzione fra assessori di sesso maschile e assessori di sesso femminile, né in relazione a profili di coerenza curricolare, professionale o di esperienza rispetto al contenuto delle specifici deleghe assessorili assegnate.

2. – La Regione Campania eccepisce preliminarmente la carenza di legittimazione a ricorrere.

Osserva l’amministrazione, da un lato, l’eccezionalità delle ipotesi di legittimazione processuale popolare, rimarcando che tra esse non è contemplata l’azione a tutela del principio di pari opportunità di genere sancito dall’art. 51 Cost.; dall’altro, che la ricorrente, che non sarebbe mai stata considerata dal presidente della Regione tra i possibili componenti della Giunta, non potrebbe essere ritenuta portatrice di alcun interesse qualificato soltanto perché ha unilateralmente affermato di possedere i requisiti di idoneità alla nomina.

Nel merito, obietta che l’art. 51, co. 1, Cost. si limiterebbe ad individuare, quale obiettivo da perseguire con strumenti e tempi rimessi alla discrezionalità dei processi di decisione politica, l’esigenza di garantire la presenza delle donne all’interno degli organi, piuttosto che prescrivere direttamente il rispetto di un numero minimo di componenti di sesso femminile all’interno degli stessi, e che le enunciazioni di principio dello Statuto regionale in tema di pari opportunità, invocate dalla ricorrente, non avrebbero efficacia giuridica vincolante, quanto piuttosto una funzione culturale e politica che non consentirebbe di affermarne la precettività, non ostandovi il fatto che esse possano essere inserite in una disposizione di carattere organizzativo quale, in particolare, quella dell’art. 46 sulla nomina della Giunta, poiché l’art. 46, co. 3, dello statuto regionale – parlando della "equilibrata presenza" di donne ed uomini nella Giunta in termini di "principio" – manifesterebbe l’intento di fissare null’altro che un obiettivo, di per sé sottratto a forme di controllo giudiziario.

Proprio il fatto che lo statuto campano si sarebbe limitato a porre un obiettivo di carattere generale starebbe a segnare la differenza rispetto ai casi in cui la giurisprudenza ha annullato provvedimenti di nomina di giunte (comunali) per la presenza, in quei casi, di precetti immediati e diretti che richiedevano nella composizione delle giunte la presenza di una quota minima di entrambi i sessi.

Per tali ragioni, secondo l’amministrazione, il principio di rappresentanza femminile in seno agli organi di governo della Regione Campania è rispettato anche laddove venga nominata assessore una sola donna, sostenendo, inoltre, che secondo la giurisprudenza costituzionale il principio della parità di condizioni tra i sessi assumerebbe valore prescrittivo rispetto ai soli organi elettivi.

Infine, inammissibile ed infondata sarebbe la censura di difetto di motivazione, per la natura fiduciaria dell’atto di nomina degli assessori regionali, e priva di fondamento, per le ragioni difensive contrapposte alle precedenti doglianze, la prospettata questione di illegittimità costituzionale dello Statuto regionale.

3. – L’assessore R. ha sostenuto l’inammissibilità dell’estensione del contraddittorio nei suoi confronti oltre il termine di decadenza ed in difetto di un ordine del giudice, poiché l’ordinanza di questa Sezione n. 104 del 2010 si sarebbe limitata a disporre l’acquisizione degli indirizzi degli assessori regionali, senza autorizzare la ricorrente ad estendere il contraddittorio anche nei confronti di tali soggetti.

Ha, altresì, eccepito la irricevibilità del ricorso per tardività, siccome notificatogli solo in data 29 settembre 2010 a fronte dell’avvenuta pubblicazione nel BURC del 24 maggio 2010 del decreto di nomina degli assessori, la carenza di legittimazione attiva della ricorrente e la infondatezza della impugnazione nel merito.

4. – Anche l’assessore De Mita ha eccepito il difetto di legittimazione attiva della ricorrente, alla quale non sarebbe riconoscibile né la titolarità di una situazione giuridica qualificata e differenziata, bensì la titolarità di un mero interesse di fatto, né la esponenzialità di interessi diffusi, quale quello alla presenza di una rappresentanza femminile in giunta, facenti indistintamente capo alla comunità.

Obietta, inoltre, che il decreto impugnato avrebbe natura di atto politico, in quanto tale sottratto alla cognizione della giurisdizione adìta.

Si tratterebbe, infatti, di un atto dell’organo preposto all’indirizzo e alla direzione al massimo livello della Regione che, riguardando la costituzione ed il funzionamento dei pubblici poteri nella loro organica struttura, esprimerebbe in tal modo le funzioni di direzione e indirizzo politico attraverso il coinvolgimento dei supremi interessi dell’ente territoriale, restando svincolato dal raggiungimento di obiettivi prefissati e determinato con la massima discrezionalità possibile.

Quand’anche così non fosse, soggiunge il controinteressato, si tratterebbe quanto meno di un atto di alta amministrazione, come tale sindacabile solo per manifesta irragionevolezza.

Nel merito, sostiene che le norme costituzionali e statutarie che si ergono a presidio delle pari opportunità tra uomo e donna individuerebbero soltanto i criteri da utilizzare per la scelta politica, ponendo, per così dire, un obbligo di mezzi e non di risultato, e che, nel caso in esame, attraverso gli atti impugnati il presidente della Giunta campana avrebbe utilizzato tutti i criteri di scelta posti dalla legge, giungendo ad una sintesi degli interessi politici tanto conforme al paradigma normativo, quanto politicamente opportuna.

5- L’assessore N. ha, parimenti, resistito in giudizio eccependo la carenza di interesse e legittimazione della ricorrente, della quale contesta genericamente l’asserito possesso dei requisiti per la nomina ad assessore regionale, e la insindacabilità dell’atto impugnato, a fronte anche del valore meramente programmatico delle disposizioni invocate.

6. – Nella memoria conclusiva depositata il 19 gennaio 2011 anche la Regione ha, infine, sostenuto il carattere essenzialmente politico dell’atto di nomina degli assessori o, comunque, la prevalenza della sua componente politica (rispetto, evidentemente, a quella amministrativa) attesi la funzione che la giunta regionale è chiamata ad esercitare nel nuovo assetto istituzionale conseguente alla riforma del Titolo V della Costituzione ed il vincolo fiduciario che lega i componenti della giunta al suo presidente.

7. – Le eccezioni in rito sollevate dai resistenti non meritano condivisione, alla luce delle seguenti considerazioni.

8. – Quanto alla contestazione della legittimazione attiva della ricorrente, occorre osservare come questa stessa Sezione, in casi del tutto analoghi, abbia già affermato il principio per cui, qualora parte ricorrente si legittimi quale possibile aspirante all’incarico, la sua posizione acquista la qualificazione ed il grado di differenziazione necessari a configurare la sussistenza delle condizioni di legittimazione ed interesse all’impugnazione (T.A.R. Campania – Napoli, sez. I, 7 giugno 2010, n. 12668; Id., 10 marzo 2011, n. 1427, decisa nella camera di consiglio del 26 gennaio 2011), secondo quanto avvenuto anche nel caso in esame alla luce del fatto che i componenti della giunta regionale possono essere nominati, anche al di fuori del consiglio, fra i cittadini in possesso dei requisiti di eleggibilità e di compatibilità alla carica di consigliere regionale (art. 50, co. 3, statuto regionale).

Si tratta di un indirizzo in termini, più volte ribadito, al quale, in assenza di elementi o argomenti nuovi, il Collegio ritiene dunque di prestare adesione.

9. – Per ciò che riguarda le eccezioni dell’assessore R., la circostanza che l’ordinanza n. 104 del 2010, nel disporre l’acquisizione degli indirizzi degli assessori, non abbia recato anche l’ordine o l’autorizzazione alla ricorrente all’estensione del contraddittorio nei loro confronti non rende inammissibile la sua estensione spontanea a questi ultimi.

Il ricorso introduttivo del giudizio è stato originariamente notificato il 23 luglio 2010.

Secondo la legge processuale all’epoca vigente, per l’ammissibilità del ricorso era sufficiente che esso fosse notificato, oltre che all’organo emittente l’atto impugnato, ad almeno uno dei soggetti controinteressati: l’omessa notifica ad uno o più di questi ultimi non determinava la inammissibilità del ricorso, ma soltanto l’onere per il giudice di ordinare, e per il ricorrente di procedere, alla integrazione del contradditorio nei confronti degli altri (art. 21 legge 1034/71; art. 15 r.d. 17 agosto 1907, n. 642).

Anche la nuova legge processuale prevede che il ricorso con cui è proposta azione di annullamento deve essere notificato, nel termine di decadenza, "ad almeno uno dei controinteressati" (art. 41, co. 2, c.p.a.) e che, se ve ne sono altri, il giudice (salvi i casi di manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso) ordina al ricorrente l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio (art. 49), la cui inosservanza determina improcedibilità (art. 35).

Poiché l’ordine di integrazione può essere impartito sino alla decisione della causa, ciò significa che è sufficiente che la integrazione del contraddittorio intervenga prima della decisione (purché, come detto, almeno uno dei controinteressati sia stato validamente intimato entro il termine di decadenza) senza che possa assumere rilievo il fatto che sia effettuata, anziché iussu iudicis, spontaneamente dalla parte.

Se così non fosse, d’altronde, si perverrebbe alla paradossale conclusione di dover ritenere, nell’ordine, inutilmente effettuate le notificazioni spontanee ai soggetti in origine non intimati; non integro, di conseguenza, il contraddittorio; necessario, in questa sede, ordinarne la (re)integrazione, nei confronti di quegli stessi soggetti ai quali, in corso di causa, il ricorso è stato spontaneamente notificato dalla ricorrente.

L’ammissibilità dell’estensione del contraddittorio nei confronti dell’assessore R., soggetto controinteressato al ricorso, effettuata prevenendo l’ordine giudiziale (con contestuale assegnazione di termine) che sarebbe stato, altrimenti, necessario emettere, comporta, altresì, l’infondatezza della eccezione di tardività della notifica del gravame.

10. – Occorre ancora scrutinare la questione della natura politica o meno dei provvedimenti impugnati, la cui fondatezza, ai sensi dell’art. 7, comma 1, ultimo periodo, c.p.a., li sottrarrebbe alla giurisdizione amministrativa, con conseguente inammissibilità del ricorso.

L’eccezione è infondata.

La funzione di indirizzo politico generale della regione Campania spetta al consiglio regionale (artt. 26, 50 co. 1, statuto regionale), cui compete anche il potere di votare la sfiducia nei confronti del presidente della giunta regionale, alla quale consegue l’obbligo di dimissione del presidente e della giunta e lo scioglimento del consiglio stesso (artt. 49, 52, statuto regionale).

Al presidente della giunta regionale, che nella regione Campania è eletto a suffragio universale e diretto (art. 46 statuto regionale), spetta la direzione della giunta ed il mantenimento della unità di indirizzo politicoamministrativo (art. 47, co. 1, statuto regionale), mentre la giunta regionale costituisce l’organo esecutivo della regione ed esercita le sue funzioni nel rispetto delle direttive del suo presidente e dell’indirizzo politico determinato dal consiglio regionale (art. 50, co. 1, statuto regionale).

La circostanza che il potere di nomina dei componenti della giunta sia attribuito direttamente dalla Costituzione al presidente eletto (art. 122, ult. co., Cost.; conf. art. 47 statuto regionale) non rende l’atto di nomina un atto politico tout court e tanto meno lo sottrae alla garanzia costituzionale della tutela giurisdizionale.

Già con riferimento ai consigli regionali, pur titolari in generale della funzione di indirizzo politico, la Corte costituzionale ha chiarito, anche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, che per il principio secondo il quale la tutela giurisdizionale è garantita a tutti ( art. 24 Cost.) ed è affidata agli organi previsti dagli artt. 101 e seguenti della Costituzione, il cui nucleo essenziale costituisce un "principio supremo" dell’ordinamento costituzionale (C.Cost. n. 18 del 1982), non è possibile rinvenire nel sistema costituzionale delle autonomie il fondamento di una deroga alla giurisdizione (C.Cost. n. 29 del 2003, sulla giustiziabilità dei casi di ineleggibilità e di incompatibilità dei membri del Consiglio regionale sardo, la quale delimita la autodichìa delle Camere ex art. 66 Cost., risalente ad antica tradizione, alla specifica situazione regolata, ritenendola "non…. invocabile per costruire una anacronistica esenzione dei Consigli regionali dalla giurisdizione").

All’insegnamento della Corte costituzionale presta adesione la Corte regolatrice della giurisdizione, la quale osserva che il principio della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione ( art. 113 Cost.) ha portata generale e coinvolge, in linea di principio, tutte le amministrazioni, anche di rango elevato e di rilievo costituzionale, concludendo che "non sono quindi, per i loro caratteri intrinseci, soggetti a controllo giurisdizionale solo un numero estremamente ridotto di atti in cui si realizzano scelte di specifico rilievo costituzionale e politico; atti che non sarebbe corretto qualificare come amministrativi e in ordine ai quali l’intervento del Giudice determinerebbe un’interferenza del potere giudiziario nell’ambito di altri poteri (si pensi ad atti del Presidente della Repubblica quali la concessione di una grazia, o lo scioglimento delle camere, o – se si vuole- a taluni atti del Consiglio Regionale quale il voto si sfiducia al Presidente della Regione ex art. 43 dello Statuto Regionale del Lazio)" (Cass. SS.UU., 18 maggio 2006, n. 11623, che ha riconosciuto la giurisdizione amministrativa sul provvedimento di nomina dei componenti dell’A.R.P.A. lombarda).

Nel caso in esame, non potrebbe dirsi che la nomina degli assessori regionali costituisca un atto oggettivamente non amministrativo che realizza scelte di specifico rilievo costituzionale e politico e come tale non sindacabile innanzi al giudice a pena di interferire nell’esercizio di altro potere, straripando dai limiti di quello giurisdizionale.

Il provvedimento di nomina degli assessori non contiene scelte programmatiche, non individua i fini da perseguire nell’azione di governo e non ne determina il contenuto e non costituisce, dunque, atto (di indirizzo) politico e neppure direttiva di vertice dell’attività amministrativa.

La suggestione derivante dalla natura fiduciaria del rapporto che lega i nominati al nominante, il quale certamente gode della più ampia discrezionalità nella scelta delle persone dei suoi assessori, non consente, contrariamente a quanto opinato da parte resistente, di ritenere che l’atto di nomina sia svincolato dal raggiungimento di obiettivi prefissati e libero nei fini: poiché, invece, esso attiene all’organizzazione, ancorché al più alto livello, dell’ente regionale e, in particolare, è finalizzato alla costituzione di uno dei suoi organi, dove l’ampiezza delle valutazioni di opportunità che guidano la individuazione dei suoi membri non deve essere confusa con l’esercizio della funzione politica in senso proprio.

Si tratta, pertanto, di un atto soggettivamente e oggettivamente amministrativo, l’emanazione del quale è sottoposta all’osservanza delle disposizioni che attribuiscono, disciplinano e conformano il relativo potere, il cui corretto esercizio è, sotto questi profili, pienamente sindacabile in sede giurisdizionale.

Va ribadito che l’ampiezza della discrezionalità nella nomina e i motivi legati ad equilibri interni di coalizione – solo in questo senso definibili "politici" – non possono, di per sé, sottrarre l’atto al giudizio di legittimità sul rispetto delle norme che ne dettano la disciplina procedurale e sostanziale, cioè alla tutela garantita, sul piano generale, dall’art. 24 Cost., né la natura strettamente fiduciaria del rapporto può ritenersi idonea a superare ogni altra considerazione, anche se inerente la validità stessa della sua instaurazione.

11. – Tanto osservato, l’atto di nomina della giunta regionale della Campania è, appunto, soggetto al rispetto di parametri di legittimità procedimentale e sostanziale che delimitano l’esercizio del potere presidenziale e che, per quanto in questa sede è stato denunciato, non sono stati osservati in relazione al vincolo concernente la composizione, per sesso, della compagine assessorile.

Già in altre occasioni questa Sezione ha riconosciuto nell’art. 51 Cost. (che, stabilendo la parità di accesso di tutti i cittadini, indipendentemente dal sesso, agli uffici pubblici e alle cariche elettive, prevede che " la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini") un "parametro di legittimità sostanziale di attività amministrative discrezionali, rispetto alle quali si pone come limite conformativo" (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, sentt. n. 12668 del 2010 e n. 1427 del 2011 citt.).

L’assunto non è pacifico in giurisprudenza (cfr., in senso divergente tra loro, T.A.R. Lombardia – Milano, sez. I, 4 febbraio 2011, n. 354; T.A.R. Puglia – Lecce, 24 febbraio 2010, n. 622), ma non occorre tornare sulla questione, giacché, per ciò che riguarda il caso in esame, è lo stesso statuto della Regione Campania a contenere una specifica quanto dirimente disposizione in materia.

A differenza di altri statuti regionali (quale, ad esempio, quello lombardo, che echeggiando la norma costituzionale prevede che "la Regione promuove il riequilibrio tra entrambi i generi negli organi di governo della Regione"), l’art. 46, comma 3, dello statuto campano stabilisce che "il Presidente della Giunta regionale…. nomina, nel pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne ed uomini, i componenti la Giunta…".

La norma è organica ad un intero quadro di disposizioni volto a riconoscere, garantire, valorizzare e promuovere l’uguaglianza tra i sessi.

La fonte statutaria non solo prevede che la Regione Campania riconosce e garantisce i diritti di uguaglianza previsti dalla Costituzione italiana concorrendo a rimuovere gli ostacoli di ordine anche sessuale che li limitano (art. 4), ma dedica un apposito articolo al "valore della differenza di genere" (art. 5) con cui la Regione è chiamata ad adottare "programmi, azioni ed ogni altra iniziativa tesi ad assicurare il pieno rispetto dei principi di parità, di pari opportunità e di non discriminazione ed il riequilibrio della rappresentanza tra donne ed uomini nelle cariche elettive nonché a promuovere condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali e la presenza equilibrata dei due generi in tutti gli uffici e le cariche pubbliche".

Attua tale previsione, ad esempio, la legge regionale 27 marzo 2009, n. 4, che all’art. 4, co. 3, consente agli elettori campani di esprimere nell’elezione del consiglio regionale due preferenze anziché una, purché per candidati di sesso diverso, pena l’annullamento della seconda preferenza.

Ma se la Corte costituzionale (sent. n. 4 del 2010) ha ritenuto la norma legittima, poiché essa non coarta la libera scelta degli elettori ma ne allarga, invece, lo spettro delle possibili scelte elettorali attribuendo loro uno strumento utilizzabile a discrezione, non appare dubbio che la fonte statutaria possa (auto)vincolare la Regione a dare, per prima, immediata e coerente concretizzazione a quei principi di parità, disciplinando, come allo statuto compete, la formazione e la nomina della giunta regionale.

Mentre, dunque, la legge elettorale campana che introduce la "preferenza di genere" costituisce una misura promozionale di riequilibrio delle presenze dei due sessi in ambito politico con riferimento alla composizione del consiglio regionale (intervento questo limitato dall’incoercibilità della libertà di voto ex art. 48 Cost. e dal rispetto del principio di parità opportunità di successo elettorale per tutti i candidati: C.Cost. n. 4 del 2010 cit.), l’art. 46, co. 3, dello statuto si sostanzia in una azione positiva di riequilibrio in ambito politico delle presenze dei due sessi con riferimento, invece, alla composizione della giunta regionale, dove un analogo problema di rispetto dei diritti fondamentali di elettorato non si pone.

Si tratta, quest’ultima, di una misura specifica volta a dare effettività ad un principio di eguaglianza altrimenti solo astrattamente sancito, iniziando dal vertice stesso dell’organizzazione regionale, per poi discendere verso il basso (cfr. art. 47, co. 1 lett. f, statuto regionale, sulle nomine di competenza del presidente della Giunta e di quelle di competenza della Giunta stessa; va altresì segnalato, sotto altro versante, che l’art. 35 dello statuto impone che nell’Ufficio di presidenza del Consiglio sia assicurato il rispetto del principio di equilibrata presenza di donne e uomini e che, in base all’art. 22, la legge regionale che disciplina la componente elettiva del Consiglio delle autonomie locali è chiamata a garantire il rispetto del medesimo principio).

La previsione dell’art. 46, comma 3, dello statuto regionale campano, dunque, non costituisce mera norma programmatica, bensì pone un precetto immediato e diretto sulla composizione della giunta.

Con l’inciso "nel pieno rispetto del principio di una equilibrata presenza di donne ed uomini", la norma impone alla nomina compiuta dal presidente un vincolo di risultato, consistente, innanzitutto, nella "presenza" in giunta di componenti di entrambi i sessi e, quindi, nella natura "equilibrata" di questa presenza.

Ancorché la disposizione adoperi il termine "principio", questo non può essere decontestualizzato in modo da sostenere, con la difesa dell’amministrazione regionale, che la norma manifesterebbe null’altro che l’intento di fissare un obiettivo di massima.

Se è vero, infatti, che l’art. 46 parla di "principio" di equilibrata presenza, è altresì vero che di tale principio esso ordina il "pieno" rispetto, vale a dire la completa, integrale e puntuale realizzazione di quella idea o valore (di "valore della differenza di genere" discorre, come si è visto, l’art. 5 dello statuto regionale).

L’esatta osservanza del precetto della "equilibrata presenza" richiede non soltanto che della giunta siano nominati componenti tanto uomini che donne ("presenza"), ma anche che il loro rapporto numerico sia tale che la partecipazione degli uni e degli altri possa ritenersi tra loro "equilibrata", alla stregua di un giudizio di ragionevolezza ed adeguatezza derivante dal fatto che "equilibrata presenza" non significa "presenza paritaria", riferendosi, piuttosto, alla necessità di evitare eccessi in un senso o nell’altro.

Non basterebbe, dunque, una qualunque presenza femminile, vanificandosi altrimenti l’attributo che nella norma la qualifica.

Naturalmente, non può, a priori, escludersi che l’osservanza del vincolo conformativo imposto dallo statuto regionale alla scelta fiduciaria dei componenti della giunta possa andare frustrata per ragioni oggettive, ancorché non di impossibilità materiale ed assoluta, che sfuggono al controllo del titolare del potere di nomina e che si inquadrano, dunque, più che nell’ambito del corretto esercizio, in senso stretto, della funzione conformata, piuttosto in quello dei suoi presupposti fattuali: quali la riscontrata indisponibilità di sufficienti esponenti di sesso femminile, ma potenzialmente anche maschile, per la realizzazione di una composizione della giunta equilibrata nel genere, o la ricorrenza di concrete ragioni di inidoneità o incompatibilità politica dei possibili candidati, i quali debbono, innanzitutto, godere della piena fiducia del presidente, titolare esclusivo del potere di nomina e revoca e che, in definitiva, risponde al consiglio regionale dell’operato dell’intera giunta (art. 52 statuto regionale, che prevede che il Consiglio può sfiduciare il presidente, determinando le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio stesso, ma non i singoli assessori).

In questo caso, peraltro, occorrerà che di tali ragioni, e dell’attività istruttoria che ne ha accertato la sussistenza, venga data puntuale ed esauriente esposizione nella motivazione del provvedimento di nomina della giunta.

12. – Nel caso in esame, tutto ciò non è stato osservato.

Nonostante l’espressa menzione, tra i "visti" riportati nel preambolo, dell’art. 46, comma 3, dello statuto regionale, con il decreto del presidente della Giunta regionale della Campania n. 106 del 19 maggio 2010 sono stati nominati componenti della Giunta regionale campana undici uomini ed una sola donna: il che, come si è innanzi detto, non può certo dirsi soddisfare il criterio di una presenza "equilibrata" di componenti di genere maschile e femminile.

Il decreto, inoltre, non reca alcuna motivazione che possa giustificare il mancato ossequio prestato alla disposizione statutaria.

Lo stesso deve dirsi per il successivo decreto presidenziale n. 136 del 16 luglio 2010, che, preso atto delle dimissioni irrevocabili del dott. Sica, ha nominato nella Giunta regionale il dott. Amendolara, lasciando esattamente inalterato l’evidente disequilibrio tra i sessi nella composizione dell’organo.

13. – Per le esposte ragioni il ricorso è fondato e deve essere accolto nei limiti dell’interesse della ricorrente, la quale, non essendo portatrice esponenziale dell’interesse diffuso dei cittadini di sesso femminile all’esatta osservanza della disposizione statutaria e legittimandosi all’azione soltanto in qualità di possibile aspirante all’incarico (supra, Par. 8), agisce unicamente a tutela del proprio interesse personale a poter concorrere alla nomina ad assessore regionale in quota femminile.

L’annullamento delle nomine di tutti gli assessori (ancorché salva quella dell’esponente di sesso femminile) non sarebbe proporzionato all’interesse azionato – che è soddisfatto anche sostituendo uno solo degli assessori di sesso maschile, purché si valuti in concreto la nominabilità alla carica della interessata – in violazione del principio secondo cui la latitudine dell’annullamento giurisdizionale è strettamente connessa all’ampiezza dell’interesse del quale si invoca la tutela.

Tale interesse, originariamente leso dal D.P.G.R.C. n. 106 del 19 maggio 2010 – atto plurimo, recante singole nomine delle quali nessuna può ritenersi determinante, a preferenza di altre, nella inosservanza del precetto statutario – è stato nuovamente leso dal D.P.G.R.C. n. 136 del 16 luglio 2010, con cui il Presidente della Giunta regionale, preso atto delle dimissioni dell’assessore Ernesto Sica, ha reintegrato il numero degli assessori sostituendo il dimissionario con un altro componente di sesso maschile, così reiterando il disequilibrio consegnato dalla prima tornata di investiture, anziché operare nella direzione del riequilibrio della composizione dell’organo.

Conseguentemente, in accoglimento del ricorso, l’annullamento può essere limitato a quest’ultimo provvedimento.

Resta naturalmente ferma l’esclusiva competenza del Presidente della Giunta regionale di stabilire quale componente della Giunta sostituire in concreto e, nell’esercizio del potere di nomina riservatogli dall’ordinamento, se del caso confermare l’assessore Amendolara, nominato col decreto annullato, facendo luogo in sua vece ad altra sostituzione, ferma la necessità di una valutazione per la carica dell’odierna ricorrente o di altra aspirante di sesso femminile.

14. – La novità e la complessità delle questioni costituiscono giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese processuali.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe (n. 4597/10), lo accoglie nei limiti dell’interesse della ricorrente e, per l’effetto, annulla il D.P.G.R.C. n. 136 del 16 luglio 2010, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti del Presidente della Giunta regionale. –

Spese compensate. –

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *