Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 01-03-2011) 12-04-2011, n. 14675 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Bologna ha proposto ricorso avverso la sentenza, in epigrafe indicata, pronunziata il 29 maggio 2009 ai sensi dell’art. 444 c.p.p., con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini ha applicato a I.S. la pena concordata tra le parti di anni uno e mesi otto di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (detenzione per uso di terzi di gr. 497 circa di hascish).

Il ricorrente deduce mancanza di motivazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla concessione all’imputato dell’attenuante prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. 2) Va premesso che il c.d. patteggiamento, regolato dagli artt. 444 e segg. c.p.p., è un istituto processuale in base al quale il pubblico ministero e l’imputato si accordano sulla qualificazione giuridica del fatto contestato, sulla concorrenza delle circostanze e sulla comparazione di esse, sull’entità della pena.

Su questo accordo il sindacato del giudice di merito non ha la stessa ampiezza prevista qualora si proceda al giudizio ma si limita (oltre che alla valutazione di congruità della pena a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 2 luglio 1990 n. 313) alla valutazione in ordine all’esistenza, che deve apparire evidente, di una delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p..

Il sindacato della Corte di Cassazione ha margini ancor più ristretti: il giudice di legittimità, oltre a non poter entrare nel merito delle pattuizioni, non può sindacare la congruità della pena, il titolo di reato (a meno che sia palesemente erroneo) nè può rimettere in discussione i presupposti della responsabilità dell’imputato.

Per quanto concerne in particolare la concessione delle attenuanti i poteri del giudice di legittimità sono analogamente ridotti: la Corte non può infatti sindacare la concessione di un’attenuante che possa implicitamente ravvisarsi nell’imputazione o sulla quale la motivazione del giudice di merito sia adeguata ed esente da vizi logici e giuridici.

Non è però condivisibile l’opinione secondo cui sarebbe inammissibile il ricorso del procuratore generale sul presupposto che l’impugnazione porrebbe nel nulla il consenso espresso dall’ufficio del pubblico ministero per l’applicazione della pena su richiesta delle parti. In base all’art. 444 c.p.p., comma 2 il giudice deve infatti verificare la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti e questa verifica non si sottrae agli ordinari strumenti di sindacato e controllo della correttezza giuridica della decisione giudiziale.

Ne consegue che non può essere esclusa la possibilità per il pubblico ministero, ed in particolare per il procuratore generale, di proporre ricorso in cassazione contro la sentenza di applicazione della pena che abbia violato le regole imposte al giudice dall’art. 444 c.p.p., comma 2 (sull’ammissibilità dell’impugnazione del procuratore generale diretta ad ottenere una corretta qualificazione del fatto reato v. Cass., sez. 6, 11 dicembre 2003 n. 6510, Rossi, rv. 228272; sez. un. 19 gennaio 2000 n. 5, Neri, rv. 215826; sez. 5, 26 gennaio 1999 n. 467, Tavagnacco, rv. 213185).

3) Nella specie la violazione denunziata dal ricorrente si è effettivamente verificata.

Il tribunale ha recepito acriticamente l’accordo intervenuto tra le parti senza sindacare in alcun modo, con motivazione adeguata, la concessione dell’attenuante prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 (fatto di "lieve entità").

In sede di patteggiamento la motivazione sulla concessione di questa attenuante può considerarsi superflua solo quando, in base all’imputazione, il fatto risulti a prima vista privo di gravità (per es. una cessione gratuita, la detenzione per uso di terzi di una modesta quantità di sostanza, ecc: cfr. in questo senso Cass., sez. 4, 19 giugno 2003 n. 36573, Pace, rv. 225959).

Qualora invece nè le modalità e circostanze dell’azione nè la quantità contestata siano tali da giustificare, in assenza di altri elementi significativi, la qualificazione come fatto di lieve entità, il giudice deve motivare adeguatamente il suo convincimento individuando eventualmente altre ragioni che consentano di affermare la scarsa offensività della condotta.

Il Giudice, nel caso di specie, ha motivato solo genericamente sulla concedibilità dell’attenuante in questione limitandosi a richiamare il "quantitativo non rilevantissimo" della sostanza sequestrata e senza indicare alcun elemento ulteriore idoneo a fondare questa valutazione e a scalfire il significativo aspetto ponderale insomma il giudice di merito è venuto meno all’obbligo su di lui incombente di motivare adeguatamente e non illogicamente la concedibilità dell’attenuante con riferimento ai fatti specificamente addebitati all’imputato in un caso in cui il quantitativo di una delle sostanze non era oggettivamente modico. Si aggiunga che, secondo i principi affermati da questa Corte (v. da ultimo Cass., sez. 4, 12 novembre 2010 n. 43399, Serrapede, rv. 248947; sez. un. 24 giugno 2010 n. 35737, Rico, rv. 247911), quando uno soltanto degli indici previsti dalla norma (mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza) ecceda rispetto alle caratteristiche di minima offensività l’attenuante non può essere concessa.

La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio con trasmissione degli atti al giudice che l’ha pronunziata per l’ulteriore corso.
P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone la trasmissione degli atti al Tribunale di Rimini per l’ulteriore corso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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