T.A.R. Lazio Roma Sez. I ter, Sent., 07-04-2011, n. 3107

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso introduttivo del giudizio la parte ricorrente ha impugnato il provvedimento indicato in epigrafe, deducendo violazione di legge ed eccesso di potere sotto diversi profili, ed evidenziando quanto di seguito di espone.

Il ricorrente, di nazionalità senegalese, entrato in Italia munito di regolare passaporto attraverso la frontiera di Ventimiglia, si è stabilito in Italia ed ha svolto attività di commerciante ambulante regolarmente iscritto presso la Camera di Commercio di Vercelli.

Avendo un domicilio stabile, un lavoro sufficiente a garantire i mezzi di sussistenza ed essendo privo di precedenti penali (come risulta dal certificato del casellario giudiziale), il ricorrente ha presentato istanza per ottenere la concessione della cittadinanza italiana.

Tuttavia, l’Amministrazione ha rigettato l’istanza.

Ritenendo erronea ed illegittima la determinazione assunta dal Ministero dell’Interno, l’interessato l’ha impugnata dinanzi al TAR del Lazio avanzando i seguenti motivi di censura: 1) eccesso di potere per insufficiente motivazione; 2) violazione dell’art. 1 del R.D.L. 1.12.1934 n. 1997 e dell’art. 4 della legge 13.6.1912 n. 555.

L’Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso.

All’udienza del 25 giugno 1992 il ricorrente ha chiesto di trattare la domanda cautelare unitamente al merito del ricorso.

All’udienza del 10 marzo 2011 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

Il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto per le ragioni di seguito indicate.

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento del Ministero dell’Interno in data 26.3.1992, di diniego della cittadinanza italiana, contestando, da una parte, la violazione dell’art. 1 R.D.L. n. 1997/1934 e dell’art. 4 l.n. 555/1912, che prevedono la possibilità di concedere la cittadinanza italiana in favore dello straniero che risieda da almeno cinque anni nel territorio italiano, senza menzionare specifici interessi pubblici sottesi alla concessione del beneficio, e, dall’altra, l’insufficienza della motivazione del provvedimento negativo, in quanto il diniego sarebbe genericamente motivato in relazione al fatto che in sede istruttoria sarebbero emersi elementi che escluderebbero la sussistenza di un interesse pubblico alla concessione della cittadinanza.

Al riguardo, va considerato che l’art. 1 del R.D.L. 1/12/1934, n. 1997 (convertito in legge 4 aprile 1935, n. 517 – recante Modificazioni alla legge 13 giugno 1912, n. 555, sulla cittadinanza), abrogato dall’articolo 26 primo comma della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (successivamente l’abrogazione è stata ribadita, a decorrere dal 16 dicembre 2009, dall’articolo 2, comma 1, del D.L. 22 dicembre 2008 n. 200), ma all’epoca dei fatti applicabile alla fattispecie, stabiliva che "La cittadinanza italiana, comprendente il godimento dei diritti politici, può essere conceduta con decreto reale, sentito il consiglio di Stato: 1° allo straniero che abbia prestato servizio per tre anni allo Stato italiano, anche all’estero; 2° allo straniero che risieda da almeno cinque anni nel regno; 3° allo straniero che risieda da due anni nel regno ed abbia reso notevoli servigi all’Italia od abbia contratto matrimonio con una cittadina italiana; 4° dopo sei mesi di residenza a chi avrebbe potuto diventare cittadino italiano per beneficio di legge, se non avesse omesso di farne in tempo utile espressa dichiarazione. E in facoltà del governo di concedere, in casi eccezionali e per speciali circostanze, la cittadinanza italiana a persone nei cui confronti non ricorrano le condizioni previste nei numeri 1 a 4 del presente articolo".

In relazione alla normativa applicabile all’epoca dei fatti, la giurisprudenza ha affermato che la concessione della cittadinanza italiana è condizionata non solo al possesso dei requisiti previsti dall’art. 4 l. 13 giugno 1912 n. 555, ma anche alla sussistenza di un concreto interesse pubblico: ove quest’ultimo non si riscontri, ben può rigettare l’istanza il Ministro dell’interno senza trasmettere la stessa al Presidente della Repubblica, che interviene solo ove si debba accogliere la domanda (T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 01 giugno 1999, n. 602). Gli artt. 4, l. 13 giugno 1912, n. 555 e 9, l. 5 febbraio 1992, n. 91, prevedono che il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana sia adottato sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali circa l’esistenza di un’avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale, appartenenza di cui costituisce effetto e non causa la concessione della cittadinanza stessa, attribuendo all’interessato i diritti e gli obblighi connessi allo "status civitatis"; ne consegue che, presupponendo una valutazione così articolata, per la concessione del beneficio ben potranno essere considerati aspetti di carattere economico e patrimoniale relativi al possesso di adeguate fonti di sussistenza (T.A.R. Piemonte, sez. II, 26 febbraio 1996, n. 124).

In sostanza, la concessione della cittadinanza italiana è condizionata alla sussistenza di un concreto interesse pubblico da considerare in base a valutazioni discrezionali circa l’esistenza di un’avvenuta integrazione dello straniero in Italia, tale da poterne affermare la compiuta appartenenza alla comunità nazionale, ma è chiaro che tali circostanze e valutazioni devono costituire oggetto di una adeguata istruttoria dei cui esiti va dato conto nella motivazione del provvedimento che conclude il procedimento.

Tutto ciò non risulta essere avvenuto nel caso di specie in quanto, a fronte dei motivi di ricorso indicati, l’Amministrazione non ha prodotto in giudizio gli atti del procedimento e la motivazione del provvedimento di diniego risultante dall’atto stesso si appalesa del tutto insufficiente perché l’Amministrazione si è limitata a rigettare la domanda di cittadinanza italiana limitandosi ad affermare che "dall’istruttoria esperita, sono emersi elementi tali da escludere la sussistenza di un interesse pubblico alla concessione dell’invocato beneficio", senza esplicitare quali fossero gli "elementi emersì e senza tenere conto del livello di integrazione dello straniero in Italia, elemento decisivo per poter affermare o escludere (alla luce della richiamata disciplina) la compiuta appartenenza dello stesso alla comunità nazionale.

Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che il ricorso sia fondato e debba essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.

Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

– lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato;

– condanna l’Amministrazione resistente al pagamento delle spese di giudizio in favore del ricorrente, che si liquidano in complessivi 3.000,00 (tremila/00) euro, compresi gli onorari di causa;

– ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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