Cass. pen. Sez. I, Ord., (ud. 21-04-2010) 01-07-2010, n. 24818

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Con ordinanza 23/12/09 il Tribunale di Foggia rigettava l’istanza di riesame avanzata nell’interesse di B.A. avverso il sequestro probatorio delle armi, da lui legalmente detenute, disposto il 19/11/09 dal Pm nei suoi confronti per il reato di trasferimento senza denuncia all’autorità di Ps del luogo di custodia delle armi stesse. Ciò, a giudizio del tribunale, in forza dell’evidente configurabilità del reato contestato (la denunzia in atti del 17/7/87 indicava un luogo di custodia – in (OMISSIS) – diverso da quello verificato).

Ricorreva per cassazione la difesa del B.. Premessi i fatti (lo stesso interessato in occasione di un controllo aveva avvisato i CC che le armi da lui detenute – due fucili da caccia, una pistola 7,65 e munizionamento vario – si trovavano, come si erano sempre trovate, nella sua azienda agricola di località (OMISSIS)), si osservava come in nessuna delle denunce del B. – ed a far tempo dal (OMISSIS) (erroneo il riferimento al (OMISSIS), data della sola licenza del porto di fucile) – mai era stato indicato (e neppure richiesto) il luogo di custodia delle armi, laddove (OMISSIS) era semplicemente l’indirizzo del denunciante. Il luogo di effettiva custodia era noto ai CC, che più volte si erano recati per il controllo nella masseria senza nulla obiettare.

Chiedeva quindi l’annullamento dell’ordinanza impugnata per insussistenza del reato e in ogni caso per totale assenza di colpa, anche ai sensi dell’art. 5 c.p.. All’udienza camerale fissata per la discussione, non comparsa la parte ricorrente, il PG chiedeva il rigetto del ricorso.

Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto inammissibile (art. 606 c.p.p., comma 3). L’indirizzo fornito di (OMISSIS), infatti, non poteva identificare, in assenza di ulteriori indicazioni da parte del denunciante, che il luogo della detenzione (a maggior ragione se coincidente con l’indirizzo). Il reato è formale e non rilevano le rappresentate situazioni soggettive di pretesa buona fede. Sul detentore grava in permanenza un preciso dovere di denuncia della effettiva ubicazione delle armi detenute: "L’oggettività giuridica del reato di omessa denuncia previsto dal R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 38 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e 58 del relativo regolamento di esecuzione è identificabile nell’esigenza di rendere noto all’autorità di p.s. il luogo in cui sono detenute le armi, in modo da consentire i necessari controlli. Ne discende che la denuncia di trasferimento delle armi, proprio perchè indispensabile a soddisfare l’interesse protetto dalla norma incriminatrice, costituisce oggetto di un dovere la cui operatività non cessa nell’atto stesso in cui non viene adempiuto, ma si protrae nel tempo fino a quando l’obbligato non abbia comunicato all’autorità la nuova località in cui l’arma è stata trasferita: correlativamente, la consumazione del reato ha inizio con l’omessa denuncia e cessa solo quando, con il venir meno dell’inerzia del soggetto, sia eliminata la situazione antigiuridica attraverso l’esecuzione del comportamento prescritto dalla legge" (Cass., 1, sent. n. 2775 del 16/1/98, rv. 210000, Turriano).

L’eventuale comunicazione orale relativa al trasferimento delle armi legittimamente detenute (o al diverso luogo di detenzione rispetto a quanto risultante dalla denuncia) non è sufficiente, in quanto – come prescritto dal combinato disposto degli artt. 15 e 58 regolamento cit. T.U.L.P.S. – la denuncia deve essere presentata per iscritto (Cass., 1, sent. n. 8757 dell’1/6/95, rv. 202601, Caiazza).

Quanto all’esimente della buona fede, nelle contravvenzioni essa può essere causa di esclusione della responsabilità penale solo quando l’agente provi di avere voluto osservare la legge e di avere a tale scopo compiuto quanto era necessario, in modo che la violazione appaia determinata da inevitabile errore, che si identifica con la forza maggiore o il caso fortuito (Cass., 6, sent. n. 8154 del 28/5/73, rv. 125505, Vinti).

E pur dopo l’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 364 del 1998:

"L’ignoranza dovuta ad errore nell’interpretazione della norma penale non può essere considerata inevitabile quando tale interpretazione sia tutt’altro che confusa e caotica, non sia oggetto di particolari difficoltà e l’errore circa l’esistenza e la portata della disposizione incriminatrice possa essere evitato con la normale diligenza" (Cass., 1, sent. n. 3601 del 28/9/92, rv. 192538, Paparo).

Nel caso in esame il soggetto ha colpevolmente trascurato di adeguare alla realtà di fatto le indicazioni contenute nella denuncia da lui stesso formulata o – il che è lo stesso – ha colpevolmente fornito e mantenuto indicazioni non rispondenti alla realtà.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una congrua somma alla Cassa delle ammende (art. 616 c.p.p.).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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