Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 01-03-2011) 12-04-2011, n. 14647

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con istanza del 15.4.2008 il pm di Catania chiedeva al gip di pronunciare decreto di archiviazione, in quanto a seguito delle indagini svolte per la morte di L.C., occorsa il 1.7.2007, era emerso che il decesso era conseguito ad atti anticonservativi posti in essere dalla vittima che si era impiccato ad un albero, lasciandosi cadere da un ramo. All’archiviazione si opponeva L.A., persona offesa, padre del deceduto, che sollecitava la prosecuzione delle indagini, con visione degli scatti fotografici, delle planimetrie dei luoghi, dell’altezza dei rami e della loro localizzazione, con escussione del testimoniale sulle ultime ore di vita del ragazzo ed ancora con acquisizione dei tabulati telefonici dell’utenza in uso al minore, per verificare i contatti avuti dal medesimo. Veniva sottolineato, anche con l’allegazione di una consulenza medica, che il giovane non presentava lesività da caduta e che gli arti erano integri, il che significava che il giovane non potè salire sull’albero e legare l’amaca tra il fogliame ed ancora, che non essendo presenti lesioni ai piedi da urto, non si poteva ritenere verificato l’impatto al suolo da caduta dall’alto. Veniva poi sottolineato che sul luogo del fatto non venne rinvenuta alcuna scala. Venivano ancora rilevate imprecisioni sull’ora della morte, collocata tra le ore 16 e le ore 18, laddove alle ore 17 si sosteneva che erano ancora intervenute telefonate in uscita dal cellulare del ragazzo e poi perchè ricorreva il dato che all’interno dello stomaco della vittima venne rinvenuta un’abbondante quantità di alimenti ingeriti, che farebbe propendere per un’ingestione due o tre ore prima dalla morte e non di più.

A seguito di udienza in camera di consiglio, il gip accoglieva l’istanza di archiviazione, motivando nel senso che l’ipotesi del suicidio appariva come quella più altamente verosimile: veniva riportato un passo della consulenza tecnica disposta dal Pm, in cui veniva affermato che le lesioni da strappamento della vena della cava inferiore, nel punto del suo sbocco nell’atrio destro, devono essere considerate conseguenti alla violenta trazione esercitata dalla fune, nel momento in cui il corpo ha subito il brusco arresto, con il che è lecito pensare che il ragazzo si sia lasciato andare da uno dei rami dell’albero, flettendo le gambe. Del resto dalle fotografie il gip rilevava che l’altezza del ramo, la morbidezza del terreno, il lancio nel vuoto con contraccolpo dovuto alla presenza della corda sul suolo, non possono aver causato un impatto agli arti inferiori al suolo tale da provocare segni visibili.

Veniva poi rilevato che per salire sull’albero il ragazzo potè utilizzare un tronco di colore giallo che fu trovato a pochi metri dall’albero per raggiungere l’altezza necessaria per annodare la tela dell’amaca. Veniva aggiunto che l’ipotesi omicidiaria per impiccagione è possibile solo in caso di evidente sproporzione di forze, stante l’assoluta assenza di segni di colluttazione, ovvero in caso di comprovata induzione in stato di incoscienza, ipotesi questa non rilevata.

2. Contro detta pronuncia ha interposto ricorso per Cassazione L. A., padre del ragazzo, per dedurre violazione art. 606, comma 1, lett. c) in relazione all’art. 409 c.p.p. e art. 127 c.p.p., commi 1 e 5, nonchè art. 178 c.p.p.: sostiene il ricorrente che l’avviso di udienza per il 14.11.2008, fu notificato al L. con deposito dell’atto presso la casa comunale, ma dagli atti non risulterebbe che il ricorrente abbia avuto cognizione dell’atto, con il che non si sarebbe regolarmente costituito il contraddittorio, con conseguente insanabile nullità. 3. Il Pg ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso, risultando che all’udienza camerale del 14,11.2008, L. era presente all’udienza e che in detta sede nulla venne eccepito.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile, in quanto palesemente infondato.

Dal verbale dell’udienza camerale fissata dal Gip, a seguito di opposizione all’archiviazione, si evince che L.A. era presente, con il che del tutto ininfluenti devono ritenersi eventuali nullità della notificazione, visto che l’interessato fu presente, unitamente al suo difensore, nulla eccepì e potè esercitare tutte le sue facoltà. Nessuna violazione dell’art. 127 c.p.p., comma 5 si è verificata.

Si impone quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso; a tale declaratoria, riconducibile a colpa del ricorrente, consegue la sua condanna al pagamento delle spese del procedimento e di somma che congruamente si determina in Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende, giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p., così come deve essere interpretato alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 186/2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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