Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 24-02-2011) 12-04-2011, n. 14645 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 20.9.2010, il Tribunale di Reggio Calabria, investito ex art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 emessa in data 4.8.2010, nei confronti di C. R., ritenuto capo ed organizzatore dell’associazione mafiosa, operante nella provincia di Reggio Calabria, avente come fine la consumazione di reati quali estorsioni, commercio di sostanza stupefacente, riciclaggio, esercizio abusivo di attività finanziaria, usure, furti, corruzione, coercizione elettorale, intestazione fittizia di beni, ricettazione, omicidi ed in particolare per avere assunto il ruolo apicale della c.d. provincia della società di Siderno con compiti di decisione, pianificazione, individuazione di azioni e strategie.

Con un lungo argomentare, il Tribunale dava atto che grazie a quanto emerso in sede di controllo a distanza;di ambienti e di utenze telefoniche, erano stati acquisiti dati che avevano fatto conoscere che l’associazione criminosa denominata ‘ndrangheta aveva aggiornato il suo modello, orientandosi verso una struttura federativa di tipo piramidale, al cui vertice si collocava un organo decisionale indicato "provincia", con compiti, funzioni e cariche proprie, esplicate nei confronti delle locali ndranghete, che operavano all’interno della provincia di Reggio Calabria, in altre regioni ed anche all’estero. Veniva così appreso che nell’ambito di questo livello denominato provincia, erano stati nominati O. D., come capo crimine, L.A. come capo società, G.B. come mastro generale, M.R. come mastro di giornata. Dalle conversazioni ambientali captate all’interno della lavanderia di C.G., cugino del R., emergeva che C.G. riferiva a quest’ultimo la situazione delle cariche ("di Polsi"), dei mandati speciali della ndrangheta, assegnati il 18 agosto, in occasione di una festa di matrimonio della figlia di P.G.; intercorrevano considerazioni sul numero di riunioni da tenere nell’anno, sulla situazione degli appalti, sulle cariche da distribuire, sul contenuto delle riunioni. In un passo di colloquio C.G. disse al cugino che doveva incontrarsi con quelli di Reggio, e via via lo notiziava dei plurimi incontri a cui partecipava. Il Tribunale riteneva quindi che gli esiti investigativi offrivano elementi che davano ragione di una reiterata partecipazione del ricorrente alle vicende salienti dell’associazione criminosa, delle cui vicissitudini si manifestava edotto, dimostrando padronanza delle dinamiche associative, dei ruoli, delle cariche e dei rapporti di forza.

Venivano ritenute sussistenti le ragioni cautelari perchè non ricorrevano elementi in grado di fare superare la presunzione ex lege di pericolosità sociale, attesa la perdurante attività della consorteria.

2. Avverso tale pronuncia, hanno proposto ricorso per Cassazione le due difese dell’indagato. Nel ricorso presentato dall’avv. Vincenzo D’Ascola vengono dedotti:

2.1 Violazione di legge in relazione all’art. 273 c.p.p. e art. 416 bis c.p., per non essere stato precisato l’effettivo ruolo giocato dal ricorrente, con carattere di stabilità, all’interno della consorteria, non potendosi ritenere sufficiente il dato statico costituito dall’inserimento formale in un’associazione. La difesa rileva che occorre che la condotta, proprio in quanto caratterizzata da un fare e non già solo da un essere, detenga un’efficienza causale ai fini del rafforzamento o anche solo della conservazione delle capacità operative del sodalizio, cosicchè può ritenersi partecipe solo colui che negli organigrammi del sodalizio sia in grado di apportare un contributo che si atteggi in modo ineludibile per la conservazione ed il rafforzamento dell’associazione. Deve essere escluso, per espresso insegnamento giurisprudenziale, che la partecipazione possa essere desunta solo in relazione all’adesione psicologica o ideologica al programma criminale, dovendo la prova essere incentrata sulla dimostrazione dell’effettivo inserimento nella struttura organizzata, attraverso condotte univocamente sistematiche consistenti nello svolgimento di attività preparatorie rispetto alla esecuzione del programma, oppure nell’assunzione di un ruolo concreto nell’organigramma criminale. Secondo l’ipotesi d’accusa, il ruolo concreto di C.R. starebbe nell’aver assicurato le comunicazioni tra gli associati, nel partecipare alle riunioni, nell’ eseguire le direttive dei vertici della società e dell’associazione, ma i dati probatori utilizzati non sono idonei a supportare detta accusa, non emergendo dalle conversazioni intercettate quel ruolo di ambasciatore, di persona che dovrebbe assicurare le comunicazioni tra gli associati che gli si è voluto attribuire, essendosi limitato il ricorrente ad ascoltare, non avendo mai fornito soluzioni, tanto che spesso dimostrava di non capire quanto gli veniva raccontato. Egli fu messo al corrente di riunioni di ‘ndrangheta, ma non risulta che vi abbia mai partecipato;

C.R. si interessò della distribuzione delle cariche, manifestò perplessità sulle procedure seguite, con il che la partecipazione del medesimo sarebbe desunta sulla base esclusivamente di dati psichici, quali la conoscenza di riunioni o summit mafiosi, o la manifestazione di opinioni circa la struttura organizzativa mafiosa che integrano condotte penalmente indifferenti.

Il vizio di assoluta carenza di motivazione si anniderebbe ad es. quando parlando del matrimonio di P.E., occasione di incontro tra mafiosi e di decisioni da parte del gruppo, non sarebbe stato accertato se C.R. vi partecipò veramente, a questo incontro; non solo, ma addirittura nell’ordinanza è stato assunto che a nulla rileva se il C. fosse o meno stato presente a detto incontro conviviale. Lo stesso dicasi per un’altra occasione di i incontro, quella presso il ristorante la " (OMISSIS)", laddove la difesa aveva dimostrato come il C. fosse presente in detto luogo per altre ragioni, senza che a ciò sia seguita una lettura alternativa a quella dell’accusa, dimostrando come non sia stata assegnata alcuna importanza alla verifica ex post della causalità delle condotte contestate sotto forma di partecipazione ex art. 416 bis c.p.. A tutte le riunioni indicate nelle conversazioni registrate non risulterebbe che il C. vi abbia mai partecipato, cosicchè è difficile ritenerlo portatore del ruolo che gli assegna il capo di imputazione. Anche perchè la difesa oppone di aver provato con CT fonica contenuti discorsivi diversi, su cui peraltro non è stata spesa alcuna parola nell’ordinanza del tribunale. Veniva quindi concluso che il compendio indiziario raccolto a carico del ricorrente non risulta inquadrabile all’interno del paradigma della partecipazione teorizzato dalle Sezioni Unite di questa Corte (in particolare si fa riferimento alla sentenza Mannino), non potendo essere sottovalutato il comportamento silente, dubitativo, passivo tenuto dal ricorrente, che ha spiegato in via alternativa la ragione degli incontri con il cugino G., ragioni legate al fatto che gli esercizi commerciali dei due erano inseriti nello stesso plesso.

2.2 violazione artt. 42, 43 e 416 bis c.p., art. 273 c.p.p.:

l’elemento soggettivo del partecipe consiste nella volontaria e consapevole decisione di contribuire all’esistenza ed all’attività della consorteria mafiosa; ebbene, nel caso di specie, sarebbe mancata un’ indagine sulla pregnanza del dolo di partecipazione, con l’effetto finale di un vizio evidente di motivazione in ordine alla gravemente indiziaria commissione di condotta di partecipazione consapevole e soprattutto volontaria.

Nel ricorso presentato dall’avv. Nobile si deduce:

2.3 Violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 125, 273, 291 e 292 c.p.p. ed in relazione all’art. 416 bis c.p. della provvisoria imputazione, in quanto l’assunto motivazionale non sarebbe idoneo a dimostrare la gravità indiziaria, poichè la semplice conoscenza della composizione o del funzionamento della consorteria non è indicativa di appartenenza e quindi di piena adesione al programma della stessa; il tribunale si sarebbe limitato a fornire un commento soggettivo delle conversazioni acquisite senza da queste poter ricavare il carattere della concordanza e della certezza dell’indizio, onde far conseguire la prova logica sul fatto; inoltre non sarebbe stato specificato in modo concreto il contributo risultato offerto da C.R., in seno all’associazione, dimostrabile solo attraverso la prova della consapevolezza di contribuire alla vita dell’associazione.

2.4. Inosservanza di norme processuali ed in particolare degli artt. 125, 273, 291 e 292 c.p.p. e per mancanza e manifesta illogicità della motivazione, quanto alla gravità indiziaria: sarebbe mancata da parte dei giudici, la verifica del compendio indiziario offerto dal pm, quanto a certezza e gravità, gravità che non può essere identificata con la sufficienza. Dice la difesa che i colloqui posti a base della motivazione come prova di appartenenza al gruppo criminale, potevano essere interpretati come frutto di curiosità da parte del C., a seguito di conoscenza di voci correnti, posto che frequentava il cugino per motivi di parentela e per vicinanza di lavoro. Sarebbe stata omessa motivazione sulle specifiche deduzioni difensive ed in particolare sull’incapacità dimostrata dall’indagato di capire quanto gli comunicava il cugino, nonchè sui risultati della consulenza trascrittiva di parte, con cui si segnalava che il contenuto di taluni passaggi era diverso da quello ritenuto, con il che viene rilevato il vizio di violazione dell’art. 292, comma 2, lett. c bis).

3. E’ stata fatta pervenire memoria difensiva con cui vengono ribaditi i profili già trattati: si ricorda che in sede di consulenza fonica emerse che in un passaggio non era il C. a parlare come ipotizzato dall’accusa. Si lamenta la difesa che il tribunale del riesame non abbia operato una verifica del compendio indiziario, convalidando la congetturale ricostruzione operata dal pm, basata su un’infedele lettura del dato intercettativo. Si contesta che il contenuto dei dialoghi telefonici ed ambientali intercettati possa di per sè integrare i gravi indizi. Quanto alla conversazione ambientale utilizzata, la stessa non sarebbe coordinata con un minimo dato esterno a supporto, quali dati di frequentazione, controlli di polizia, pregresse denunce o comunque sospetti oggettivabili circa l’asserito organico inserimento del prevenuto nel sodalizio mafioso.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Il Tribunale con motivazione compiuta e logica ha desunto la partecipazione del ricorrente alla consorteria mafiosa indicata, da conversazioni intercettate presso la lavanderia di C. G., nel corso delle quali quest’ultimo – fresco della partecipazione ai riti di affiliazione ed investitura di cariche – delineava l’organigramma dei locali calabresi e quindi delle cariche, che erano state assegnate in occasione del matrimonio della figlia di P., circostanza che portava a ritenere anche il R. intraneo, essendo implausibile che un e-straneo venga reso edotto degli assetti della consorteria, tanto più che lo stesso non mancò di segnalare in prima persona particolari problematiche del gruppo, quali ad es. il congelamento della carica locale di (OMISSIS), fatto da cui il tribunale ha desunto un ruolo non di mero spettatore.

Inoltre dalle stesse intercettazioni emergeva che il ricorrente si informava sulla presenza di un imprenditore alla discussione sulla situazione di alcuni appalti pubblici ed ancora risultava che il medesimo aveva operato più volte come ambasciatore, avendo portato al G. notizie su incontri di ‘ndrangheta ed essendo stato a sua volta incaricato di comunicare al padre P., le condizioni per partecipare ad un pranzo di ndrangheta. Dati questi che, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa che ha cercato di accreditare il R. come un mero uditore, hanno indotto il tribunale a ritenerlo intraneo all’associazione ed attivo sul fronte della conservazione e della operatività dell’associazione. Le conversazioni captate sono state correttamente valorizzate, in quanto in primis danno la certezza della provenienza, in quanto trattasi di discorsi riprodotti fonicamente ed in secundis perchè le indicazione raccolte si connotano di forte attitudine dimostrativa, provenendo da soggetto intraneo, dunque pienamente a giorno degli assetti e consapevole della portata delle singole cariche nella dimensione piramidale della compagine criminosa; è stato quindi consentito di disporre di rivelazioni colte in un contesto di ampia spontaneità e genuinità, di provenienza da soggetto a giorno degli assetti, perchè a sua volta titolare di posizione di vertice nell’ambito del sodalizio ( C.G.) che si lasciò andare alle rivelazioni proprio perchè aveva come interlocutore un soggetto a sua volta legato alla consorteria, che si manifestò a giorno sia delle dinamiche del gruppo, che delle scelte operate dalla consorteria; trattasi di contributi a carattere rappresentativo con elevato indice di affidabilità, perchè provenienti da fonti dirette, che si connotano di una autonoma ed integrale valenza probatoria, senza soggiacere alla regola dettata dall’art. 192 c.p.p., comma 3 (cft. Cass. Sez. quarta, 2.7.2010, n. 34807).

Quanto poi all’inequivocità del riferimento all’imputato nei colloqui intercettati, il tribunale ha dato atto che in diverse occasioni lo stesso venne filmato mentre entrava nel luogo della conversazioni poco dopo l’inizio della conversazione registrata, ovvero ne usciva subito dopo la conclusione dell’incontro. Il coinvolgimento del medesimo conclamato dalle telecamere rende allo stato non rilevante l’accertamento se il R. abbia o meno partecipato al matrimonio organizzato dal P., poichè il compendio indiziario (fatta salva una migliore valutazione una volta trascritte le conversazioni rilevanti) è stato ritenuto tale da dimostrare che gli incontri con il cugino non erano occasionali, ma mirati al confronto sui problemi che via via il gruppo presentava, ruolo che non si attaglia ad un estraneo a quel tipo di gruppo. Il confronto ricercato da C.G. con il cugino R., impone di ritenere che questi avesse la piena consapevolezza di fare parte di un ingranaggio, ancorchè con ruoli non decisivi e certamente meno rilevanti rispetto a quelli rivestiti dal G..

In conclusione, il compendio è stato ritenuto, con motivazione non congetturale, ma aderente al dato storico ed ineccepibile sotto il profilo logico, solido alla prova di resistenza, anche una volta recepiti i rilievi della difesa. Dunque i giudici della cautela hanno fatto buon governo delle norme che la difesa sostiene essere state violate, non essendo apprezzabile alcuna forzatura, neppure sotto il profilo dell’art. 192 c.p.p., comma 2, lett. bis, non avendo il tribunale trascurato i rilievi difensivi, ma avendoli ritenuti non concludenti e decisivi a destabilizzare l’impianto accusatorio.

Al rigetto del ricorso segue la condanna al pagamento delle spese processuali. La cancelleria provvederà agli adempimenti di rito ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *