Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 21-04-2010) 01-07-2010, n. 24802

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza 18/11/08 la Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza 29/10/07 del Gup del Tribunale di Napoli che in esito a giudizio abbreviato aveva condannato – tra gli altri – S. A., con la recidiva, alla pena complessiva di anni 22 di reclusione e Euro 3.900 di multa per i reati (in (OMISSIS) da epoca imprecisata fino all'(OMISSIS)) di associazione per delinquere pluriaggravata di tipo mafioso (clan Panico: capo B), violenza privata pluriaggravata in danno di una serie di imprenditori vicini al contrapposto clan Sarno (capo B1), porto e detenzione illegale di pistole cal. 38 finalizzati alle dette violenze (capo B2), estorsione pluriaggravata continuata in danno di C.A. (capo B3), porto e detenzione illegale di pistole cal. 38 finalizzate alla detta estorsione (capo B4), ritenuta la continuazione tra tutti i reati contestati (riconosciuta in primo grado tra i reati fine tutti aggravati anche ex L. n. 203 del 1991, art. 7 ma esclusa tra questi ed il reato associativo), rideterminava la pena in anni dieci di reclusione.

La posizione del S., associato secondo l’accusa al clan camorristico dei Panico, era inserita in un più vasto processo con undici imputati e numerose parti civili che vedeva, da una parte, gli aderenti al clan Sarno col corrispondente reato associativo e, dall’altra, gli aderenti al clan Panico, tra cui appunto il S., col corrispondente reato associativo ed alcuni reati-fine, di violenza privata ed estorsioni, commessi con armi in danno di imprenditori vicini al contrapposto clan dei Sarno. Per il S. è delineato dall’accusa un ruolo associativo di incaricato di estorsioni e azioni armate. Al proposito le specifiche imputazioni di violenza privata in concorso del capo B1, secondo cui alcuni imprenditori di (OMISSIS) vicini ai Sarno ( C.C. cl. (OMISSIS) e D.C., gestori del negozio " (OMISSIS)" e cugini entrambi di Ca.Ca. cl. (OMISSIS), esponente di vertice del clan Sarno; D.V., gestore di altro negozio "(OMISSIS)" e cugino anch’egli del detto Ca.Ca. cl. (OMISSIS); E.L., gestore del bar "(OMISSIS)", proveniente dal quartiere (OMISSIS), la zona di origine dei Sarno) sono costretti con violenze (percosse) e minacce (anche con armi: capo B2) a chiudere i loro esercizi commerciali (il (OMISSIS)). Nello stesso disegno l’estorsione continuata del capo B3 in danno di C.A., titolare del bar "(OMISSIS)" di (OMISSIS), zona dei Panico, che viene costretto a corrispondere complessivamente la somma di circa Euro 5.000 ed invitato con violenza e minacce (anche con armi: capo B4) a corrisponderne altre, fino all’arresto in flagranza (il (OMISSIS)) degli estorsori, il S., appunto, ed altro (suo correo anche nelle violenze private). Prova a carico le dichiarazioni di molti collaboratori di giustizia circa l’espansione dei Sarno nel territorio dei già alleati Panico-Perrillo (detti i Summesielli) e la guerra che ne era seguita. Referenti dei Sarno nel territorio di (OMISSIS) i due C., padre e figlio. La spedizione intimidatoria armata di cui ai capi B1 e B2 è riferita dal collaboratore di giustizia D.G., alla quale egli pure, all’epoca intraneo al clan dei Panico-Perrillo, avrebbe dovuto partecipare. Conferme alle sue propalazioni le dichiarazioni, pur reticenti, delle vittime ed ancor più le intercettazioni ambientali delle conversazioni intrattenute dalle vittime stesse prima di essere sentite dalle forze dell’ordine. La chiusura dei negozi, protrattasi per alcuni giorni, era fatto accertato dai vigili urbani. Precise e circostanziate, per contro, le dichiarazioni di C.A., vittima (infine) denunziante dell’estorsione continuata di cui ai capi B3 e B4, conclusasi con l’arresto del S. e del suo complice.

Conseguenti all’accusa, ritenuta provata, le sentenze, sia pure con diverso trattamento sanzionatorio, di primo e di secondo grado.

Ricorreva per Cassazione la difesa del S. (per gli altri imputati la sentenza passava in giudicato), deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine: alla mancata risposta alle doglianze difensive (mera motivazione per relationem), alla ritenuta responsabilità dell’imputato per i reati ascritti con particolare riferimento alla sua identificazione da parte del collaboratore di giustizia, alla ritenuta aggravante del metodo e finalità mafiose e al trattamento sanzionatorio, con particolare riferimento alle negate attenuanti generiche.

In particolare si censurava la genericità dell’imputazione associativa (di cui non era precisata la durata) e l’inattendibilità del D. (sola specifica fonte d’accusa nei confronti del S.), che sarebbe stato contemporaneamente vicino ai Sarno e ai Panico. Il D., peraltro, a suo stesso dire, avrebbe conosciuto il S. solo nel giugno di quell’anno, potendosi dunque dedurre che prima di allora quegli non fosse organico al gruppo. Il D., a suo stesso dire, si defilò con una scusa dall’azione punitiva di cui ai capi B1 e B2 e non può quindi attestare la partecipazione ad essa del S. (nè tale partecipazione emerge dalle conversazioni intercettate delle vittime). Quanto all’estorsione C. sub B3 e B4, dalla stessa parola dell’estorto si evince essersi trattato di un gruppo ragazzi che creavano problemi all’interno del bar e che il S. in particolare gli chiedeva somme tra i Euro 50,00 e i Euro 100,00 per soddisfare le loro esigenze, sia pur spendendo esplicitamente il nome dei Panico ("vai a prendere i soldi subito perchè a (OMISSIS) stiamo noi"): modesto, pertanto, il disvalore della condotta e da escludere la stessa aggravante mafiosa. Quanto al trattamento sanzionatorio e alle negate generiche, si rilevava il ruolo marginale del giovane imputato, gravato da un unico precedente di modesta entità. Si concludeva per l’annullamento della sentenza.

All’udienza fissata per la discussione, assente la parte ricorrente, il PG concludeva per il rigetto del ricorso.

Il ricorso, che per un verso deduce questioni di mero fatto (estranee al giudizio di legittimità, a fronte di una sentenza di merito correttamente e congruamente motivata in ogni punto) e che per altro verso è manifestamente infondato, è inammissibile. Manifestamente infondata, infatti, la censura relativa alla motivazione per relationem della sentenza di appello a fronte delle specifiche doglianze difensive alla sentenza di primo grado. In proposito la giurisprudenza è pacifica. "Nel giudizio di appello, è consentita la motivazione "per relationem", con riferimento alla pronuncia di primo grado, nel caso in cui le censure formulate a carico della sentenza del primo giudice non contengano elementi di novità rispetto a quelli già esaminati e disattesi dallo stesso" (Cass., sez. 4, sent. 17/9/08, dep. 24/10/08, rv. 241062, Raso e altri).

Nel caso non risultano nè sono segnalate questioni dedotte nei motivi di appello che non fossero già state trattate nella sentenza di primo grado.

Nel merito, le censure del ricorrente tendono a inficiare, con una diversa "lettura" del materiale probatorio, le conclusioni cui correttamente perviene il giudice di merito e segnatamente quello di appello. In particolare sulla identificazione dell’imputato, è appena il caso di rilevare come le indicazioni del collaboratore D., appartenente dal 2001-2002 alla stessa consorteria dei Panico-Perrillo cui aderiva il S., siano precise e circostanziate: S., già presente alla riunione organizzativa del 28/6/06, alla riunione successiva, seguita alla notizia delle interferenze dei Sarno nella loro zona di competenza, fu tra i prescelti per porre in essere le intimidazioni ritorsive ai negozianti di (OMISSIS) vicini ai Sarno. D., che avrebbe dovuto anch’egli far parte del gruppo e comincerà a collaborare nel luglio dello stesso anno, si defilò solo per personale prudenza.

Il nome di S., nell’occorso peraltro (il (OMISSIS)) arrestato in flagranza col sodale M.R., è fatto pure dal C., vittima dell’estorsione B3-B4, che dopo il detto arresto del S. per armi (e del M. per armi e resistenza) lo indica come portavoce delle abituali richieste estorsive di P.M. (che quel giorno era alla guida dell’auto da cui erano scesi S. e M.). Acquistano ben altra valenza, quindi, le precedenti richieste estorsive, già per sè gravi anche se per modiche somme, di cui pure riferisce C..

Il quadro probatorio è pertanto pieno, sia in riferimento ai singoli episodi delittuosi sia in riferimento al reato associativo (perdurante la presenza del S. nel gruppo malavitoso: nelle parole di D. e di C., seppure incentrate su episodi del (OMISSIS), l’imputato è soggetto già stabilmente inserito nel sodalizio). Sufficientemente precisa la contestazione temporale dell’associazione (a far data almeno dal 2004, con condotta perdurante).

Del pari estranee al giudizio in sede di legittimità le censure relative al trattamento sanzionatorio, il giudice di merito avendo fatto corretto e motivato uso del suo potere discrezionale (art. 133 c.p.), anche in riferimento alle attenuanti generiche già negate in primo grado: implicito il richiamo ai gravi i fatti esaminati (commessi con metodo tipicamente mafioso ed apertamente riferiti al clan di appartenenza) e alla negativa personalità, che ne risulta, dell’imputato (già censurato nonostante la giovane età), in essi costantemente e pienamente coinvolto.

Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue per legge (art. 616 c.p.p.) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo e al versamento di una congrua somma alla Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese e al versamento di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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