Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-02-2011) 12-04-2011, n. 14583 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Giovanni, del foro di Vicenza.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza 4.5.2010, la corte d’Appello di Venezia confermava la sentenza emessa dal gup di Vicenza di condanna dell’imputato alla pena di anni quindici di reclusione, per i reati di tentato omicidio aggravato ai danni del minore G.B.R.S., nonchè per lesioni gravi finalizzate al tentato omicidio, a danno di G.B.H., violazione di domicilio aggravata, rapina aggravata e porto di coltello. Il fatto consiste in una violenta aggressione intervenuta all’interno dell’abitazione dei menzionati a scopo di rapina; a seguito della richiesta di intervento di C.A., madre e moglie dei soggetti suindicati, veniva effettuata una battuta nel bosco che circondava la casa luogo del delitto e veniva rinvenuto l’imputato, con in tasca la somma di 11.950 Euro, riconosciuto come il marito di una signora peruviana che aveva svolto attività di baby sitter presso la famiglia G..

Gli elementi posti a base dell’accusa si compendiano dunque in: 1) rinvenimento dell’uomo nelle immediate vicinanze della casa locus commissi delicti, subito dopo il fatto; 2) riconoscimento ad opera dei tre soggetti parti offese; 3) rinvenimento di cospicua somma di denaro sulla persona del medesimo.

Veniva ritenuto che la malattia cagionato, al ragazzo – la cui testa era stata racchiusa in un sacchetto di plastica, successivamente rimosso – se non prontamente curata, lo avrebbe condotto alla morte a causa delle complicanze respiratorie, con il che veniva ritenuto che fosse stato messo in pericolo la sua vita, ancorchè con riconoscimento della desistenza; per quanto riguarda il padre, – che presentava ferite al viso, al tronco, alla nuca, agli arti ed all’addome, nonchè sangue alla bocca – veniva riconosciuto vittima di tentato omicidio, in ragione del tipo di coltello usato, con lama lunga cm. 10, della furia con cui era stato maneggiato, tanto da essere stato piegato, dal numero di colpi infetti.

La corte d’appello affrontava uno ad uno i plurimi motivi di gravame, disattendendoli: riteneva non significativo il fatto che il soggetto fosse stato travisato, poichè l’intervenuto riconoscimento ad opera delle vittime, era stato reso possibile grazie alla conformazione fisica del medesimo e soprattutto alla particolarità della sua voce, trattandosi di soggetto che era conosciuto alla famiglia; il fatto che sia stato trovato un passamontagna ai piedi delle scale della casa non aveva ricadute in termini di difesa, poichè era verosimile che l’imputato se lo fosse sfilato, prima del termine della colluttazione, così come non rivestiva rilievo la circostanza che era stato trovato un sottocasco, poichè la C. non aveva escluso poter appartenere al figlio o ad un amico del medesimo; priva di effetti era ritenuta poi la circostanza del rinvenimento di una macchia di sangue nel water del bagno sito al primo piano, poichè anche ipotizzando che qualcuno dei familiari fosse entrato in detto bagno, il dato non aveva ricadute sulla responsabilità del K.;

il fatto che l’uomo aggredito non avesse urlato non era significativo, avendo ciascuno un tipo di reazione personale ed ancora le ferite riportate dall’Imputato erano ampiamente riconducibili ad un’azione di difesa del G.; la fuga dell’imputato nella boscaglia era da ricollegare ad una istintiva azione di allontanamento dal luogo dei fatti, interrotta peraltro dalla caduta e dalla perdita di sensi del medesimo; la versione difensiva secondo cui egli K. sarebbe stato malmenato da due figuri, mandati dai G., non trovava aggancio in alcun dato investigativo; del tutto insuscettibile di risultati apprezzabili sarebbe stata la richiesta perizia sul passamontagna e sul sottocasco; le violenze furono poste in essere dall’imputato fin dal momento dell’ingresso e soprattutto, una volta introdotto all’interno della casa, nonostante che il S. abbia cercato di farlo recedere; il denaro venne trovato in una tasca del giubbotto indossato dall’imputato e per converso la cassaforte della casa venne trovata vuota, cassaforte le cui chiavi il giovane S., sotto costrizione di una finta pistola, dovette consegnare; il travisamento dell’uomo fu totale, poichè riguardava tutto il viso ad eccezione degli occhi ed il fatto che sia stato riconosciuto grazie ad altre connotazioni, nulla toglie all’effettività del travisamento; la consulenza medico legale non è stata utilizzata come tale, ma inserita in una memoria del Pm ed è stata apprezzata come deduzione della parte; la premeditazione è stata ritenuta correttamente poichè per organizzare una simile azione, il soggetto si fece carico di un piano esecutivo preciso e dettagliato, segno di volontà perdurante; il reato di lesioni a danno di R.S. è stato correttamente ritenuto aggravato dal pericolo per la vita, considerato che il ragazzo aveva già perso conoscenza quando gli venne tolto il sacchetto di plastica che avvolgeva la sua testa, che non poteva avere altra finalità che quella di interrompere la respirazione, tanto è vero che il giovane, una volta arrivato in ospedale, presentava edema e gravi difficoltà respiratorie, tanto da dover essere intubato e sottoposto a terapia intensiva per 13 ore;

correttamente era stato ritenuto anche il tentato omicidio in danno di H.S., poichè la vittima al suo ricovero veniva immediatamente operato per tracheotomia e denotava emoperitoneo massivo con lacerazione di cm. 4 allo stomaco; veniva valutato che l’imputato aveva inflitto sei coltellate, una delle quali – la più grave – fu quella all’addome con fuoriuscita dell’omento, con perdita ematica di 2500 cc di sangue e con necessità di tracheotomia, ferite quindi che denotavano la volontà di colpire, non solo quella di difendersi. Veniva ritenuta corretta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non solo in ragione della gravità del fatto, ma anche considerato che al momento del fatto, il K. era sottoposto a misura cautelare.

Veniva ritenuta equa la pena inflitta dal primo giudice per il reato continuato in anni quindici di reclusione, così come venivano confermate la misura di sicurezza dell’espulsione, atteso il giudizio di pericolosità sociale da esprimere sull’imputato e la valutazione in via equitativa dei danni subiti dalle persone offese, così come operata dal gup. 2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa dell’imputato, per dedurre plurimi motivi:

2.1 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in quanto la corte non avrebbe risposto alle doglianze avanzate in sede di appello in ben 13 punti, avendo richiamato quanto argomentato dal primo giudice ed omettendo un nuovo esame del materiale probatorio; per quanto l’imputato abbia optato per il giudizio abbreviato, cionondimeno non ha affatto rinunciato al contraddittorio sulla valutazione della prova e soprattutto sulle prove dichiarative, di cui è lecito mettere in discussione la completezza, la coerenza e precisione. Pertanto la Corte avrebbe errato nelle sue premesse metodologiche, laddove assume che non sarebbe lecito attribuire agli atti formati dalla Pg ed accettati ai fini del giudizio, un significato diverso da quello testuale, atteso che lo strumento per fare emergere imprecisioni, quando non la menzogna, è l’esame dibattimentale, non assumendo alcuna rilevanza le circostanze che negli atti non abbiano traccia sostanziosa, precisa e concreta, che con l’esame incrociato si sarebbe potuto fare emergere. Seguendo detti criteri, la Corte sarebbe incorsa in un vizio di illogicità del percorso valutativo.

2.2. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione per aver rigettato la richiesta di esperimento di perizia per accertare la presenza di tracce organiche sui due passamontagna:

la richiesta fu avanzata non solo per la ricerca di capelli, ma di qualsivoglia traccia organica che potesse ricondurre al K. che si badi, aveva perso sangue per ferite lacero contuse riscontrategli sul capo, per cui il ragionamento della corte sarebbe viziato da un’errata comprensione del dato; illogico poi sarebbe stato l’aver ritenuto che i passamontagna avrebbero potuto conservare tracce di terzi, di soggetti cioè che potrebbero aver provato un passamontagna sulle bancarelle, prima del presunto acquisto da parte del K..

2.3 inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 614 c.p., comma 4, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in riferimento al verbale di denuncia del 25.10.2008.

Sostiene la difesa che il giovane B. aveva detto che l’uomo entrò da una porta lasciata aperta, con il che l’ingresso indebito avvenne senza violenza o minaccia, che vennero invece attuate nella fase successiva: di qui il vizio di contraddizione tra motivazione e dato probatorio. La violenza non fu mirata all’ingresso in casa altrui, ma fu finalizzata a commettere altri reati, con il che l’aggravante sarebbe stata erroneamente ritenuta.

2.4. inosservanza od erronea applicazione dell’art. 577 c.p., n. 3, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla ritenuta aggravante della premeditazione:

la corte avrebbe confuso la preordinazione dei mezzi con la premeditazione, dimenticando che oltre al dato temporale ricorre il dato psicologico, esprimendosi la premeditazione nella costante presenza dell’intento criminoso nell’animo del reo e nella realizzazione dell’anzidetto intento, dopo un apprezzabile intervallo di tempo dalla decisione. Ancora, sarebbe rilevabile un secondo profilo di criticità, poichè il gip di Vicenza aveva riconosciuto che il K. ebbe a desistere dall’azione omicidiaria, in danno del R.S., laddove desistenza significa inversione di rotta, volontaria scelta di interrompere l’azione anche là dove l’azione poteva non essere interrotta. La difesa obietta che il K. pur essendo partito con la volontà di uccidere il S. R., ha poi cambiato idea, prima di realizzare il suo proposito, interrompendo l’azione; cionondimeno viene punito per aver agito con premeditazione, cioè per aver agito con prolungata intensa volontà. I due concetti di premeditazione e desistenza, a parere della difesa, sono inconciliabili sotto il profilo logico e concettuale, poichè per la premeditazione si richiede che il soggetto mantenga il proposito delittuoso senza incertezze ed interruzioni, mentre la desistenza presuppone che il soggetto muti il proposito scegliendo liberamente di non commettere il delitto pur inizialmente voluto. Ciò si traduce nell’erronea applicazione dell’art. 56 c.p., comma 3 e art. 577 c.p., n. 3, tanto più che la sentenza non ha minimamente affrontato il problema dei rapporti tra i due istituti, lasciando priva di motivazione la dedotta contraddittorietà della motivazione. Non solo, ma secondo la difesa, il fatto che sia stato affermato che l’imputato abbia desistito dall’idea di sterminare i componenti della famiglia G., non poteva non ripercuotersi anche sulla premeditazione riconosciuta in riferimento al fatto successivo: si è esclusa la persistenza ferma del proposito e quindi si deve negare la premeditazione, poichè il filo rosso della premeditazione sarebbe stato spezzato con la conseguenza di dover riconoscere l’elemento soggettivo nel dolo d’impeto e non nel dolo di premeditazione.

2.5 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 583 c.p., comma 1, n. 1 in relazione al capo sub 3): la difesa contesta che il pericolo di vita corso dal giovane quindicenne parte offesa sia un dato acquisito quando non lo sarebbe, visto che dalla CT medico legale della difesa, risulterebbe che le condizioni del giovane, all’ingresso in ospedale, erano complessivamente buone e che le scelte di intubazione del paziente furono esclusivamente a carattere preventivo. La difesa censura che la Corte non abbia non solo dato conto della consulenza, ma abbia disatteso il dato medico, senza dare adeguata motivazione a supporto della conclusione difforme.

2.6. mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, avendo la difesa rappresentato come l’agire dell’imputato fosse dipeso dalla crisi della famiglia, che ricorrevano plurime ragioni per non infierire su di lui in sede sanzionatoria, ma la corte non avrebbe motivato su queste circostanze, incorrendo in un palese vizio di motivazione, anche sotto il profilo della prevalenza accordata agli elementi di segno negativo.

2.7 inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 81 e 133 c.p., mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione quanto agli aumenti applicati a titolo di continuazione:

nel testo della sentenza non si da ragione adeguata della scelta di infliggere pena ben al di sopra dei minimi edittali, la motivazione sarebbe tautologica ed assertiva e quindi priva della capacità di illustrazione dei motivi e delle ragioni che hanno indotto il giudice ad individuare quelle singole quantificazioni di pena. Nessuna considerazione sarebbe rinvenibile quanto al parametro della capacità a delinquere dell’imputato, in tutte le sue componenti e ciò si tradurrebbe in una erronea applicazione della norma. La motivazione poi sarebbe carente ed illogica, sempre sotto il profilo della quantificazione della pena, attesi la stretta contiguità temporale e volitiva dei due fatti lesivi le persone, il movente costituito dalla disperazione per la rottura dell’unità familiare, e per l’allontanamento dei figli, l’improvvisazione del progetto e l’inadeguatezza dei mezzi usati.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Quanto al primo motivo, va detto che nessun addebito di incompletezza può essere mosso alla corte territoriale che ha elencato in ben 25 punti le plurime doglianze difensive avanzate in via principale alla sentenza di primo grado, sulle quali è intervenuta adeguata motivazione in 21 passaggi motivazionali, dopo la premessa che essendo stato richiesto il giudizio allo stato degli atti, detti atti andavano accettati nel loro contenuto. Ciò non significa affatto che gli atti che sono stati accettati non possano essere contestati nella loro portata accusatoria, – poichè questo è lo scopo del processo, anche nella sua formula dell’alternativa inquisitoria -, ma non possono essere attaccati sulla base di dati aliunde recepiti, ovvero sulla base di presunzioni di falsità o incompletezza non ancorate a dati concreti e rinvenibili negli atti, poichè la loro eventuale incompletezza è stata previamente accettata con la rinuncia a colmarla, espressa appunto con la scelta del rito alternativo. Il principio a cui si sono richiamati i giudici di merito come premessa metodologica non fa affatto violenza alle norme processuali. Nei fatti poi la corte ha operato la selezione delle prove significative (riconoscimento dell’imputato ad opera delle vittime, rinvenimento del medesimo in prossimità del luogo del delitto, nell’immediatezza del fatto, con una consistente somma di denaro in tasca), che sono state ritenute idonee a supportare l’accusa, senza sottrarsi alle opzioni valutative offerte in alternativa dalla difesa, che però non sono state ritenute di uguale attitudine dimostrativa, dandone ampia ragione, anche con il richiamo a quanto il primo giudice aveva opinato, operazione pienamente legittima, ben potendo le due sentenze di merito compenetrarsi fra loro.

Quanto alla mancata perizia sui passamontagna e sul sottocasco, è stata fornita dalla y corte territoriale adeguata motivazione sulla non decisività e rilevanza, con argomentazioni di puro merito, sulle quali è inibita ogni valutazione in detta sede.

Il terzo motivo sull’erronea applicazione dell’art. 614 c.p., comma 4 e sulla contraddittorietà della motivazione sul punto, muove da una errata interpretazione del dato normativo, essendo assolutamente pacifico che per integrare l’aggravante prevista dall’art. 614 c.p., la violenza deve essere usata per entrare, ovvero, per intrattenersi nell’abitazione altrui, contro la volontà di chi ha diritto di escludere (anche a volere ammettere che il soggetto sia entrato da una porta lasciata malauguratamente aperta, come sostenuto dalla difesa, resta fermo che ha avuto luogo un lungo intrattenimento contro la volontà degli aventi diritto, intrattenimento reso possibile proprio dall’uso della violenza): nessuna violazione di norma penale è apprezzabile atteso che la violenza è stata messa in correlazione soprattutto con l’indebito intrattenimento, che fu il presupposto necessario per mettere a segno gli ulteriori reati contro il patrimonio.

Quanto alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della premeditazione e alla asserita incompatibilità tra aggravante della premeditazione e desistenza, va detto che la corte territoriale ha fatto buon governo dei principi del diritto vivente, riconoscendo valore significativo alla durata nel tempo dell’attività di predisposizione dei mezzi, – che non si esaurì in poco tempo essendosi l’imputato procurato pistola, sacchetti di nylon, coltello ed addirittura un cartello con la scritta "chiuso per ferie" per sviare chi avesse cercato il G. -, collocando l’insorgenza del proposito delittuoso nei giorni immediatamente precedenti l’aggressione, così identificando un intervallo temporale fra determinazione e attivazione del proposito ai fini della riflessione e del recesso.

Sulla ritenuta incompatibilità tra la premeditazione e la desistenza che il K. avrebbe operato nella fase terminale dell’azione a danno del giovane R.S., quando lo stesso aveva già perso i sensi, togliendogli il sacchetto di plastica che gli aveva interrotto la respirazione, è bene premettere che si ha riguardo a fenomeni assolutamente indipendenti tra loro, in quanto attengono a fasi distinte del processo di estrinsecazione della volontà. La premeditazione è uno stato d’animo che attiene alla fase progettuale e si dipana fino al momento che precede l’esecuzione, mentre la desistenza ha riguardato nel caso di specie l’ultimo segmento della fase esecutiva, dopo che erano stati compiuti la violazione del domicilio, la rapina, il tentato omicidio in danno di G. S. e le gravissimi lesioni con portata omicidiaria al giovane R.S.. Il fatto che l’imputato abbia preferito, vedendo il giovane caduto privo di sensi, levargli il sacchetto con cui gli aveva avvolto la testa, non può avere alcuna interferenza con l’iniziale determinazione che lo spinse alla brutale aggressione nella casa, animato da un dolo diretto di apprensione dei beni e di soppressione di chi avesse contrastato il suo progetto (correttamente desunta dai giudici di merito dai mezzi usati, dalla violenza profusa con reiterazioni di colpi sul corpo del S. fino a rompere il coltello). La scelta di togliere il sacchetto, che avrebbe determinato la sicura morte per asfissia, è stato correttamente ritenuto non già una prova della non volontà omicidiaria, – volontà peraltro ampiamente manifestata su G.S. -, ma un improvviso cambio di rotta dell’ultima ora, alla vista del giovane reso ormai inoffensivo, che nulla può togliere alle determinazioni iniziali che sono state ritenute connotate, alla luce del corretto ragionamento condotto dai giudici di merito, da dolo omicidiario di premeditazione. Nessuno dei profili di contraddittorietà evidenziati dalla difesa è quindi dato apprezzare nella sentenza impugnata.

Quanto alla correttezza della ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 583 c.p., la corte territoriale ha basato la sua valutazione sulle indicazioni offerte dalla giovane vittima, ma soprattutto sulla base della documentazione medica disponibile, che attestava la intervenuta sottoposizione del medesimo a specifica terapia intensiva, essendogli stati riscontrati edema polmonare e gravi difficoltà respiratorie. Il fatto che i giudici di merito abbiano sottovalutato i dati portati dalla consulenza medica di parte non è di per sè segno di carenza o di illogicità della motivazione, andando invece letta come un implicito riconoscimento di prevalenza in termini di capacità dimostrativa, del dato obiettivo risultante dalla cartella clinica, dato di natura obiettiva e di per sè significativo della reale condizione in cui venne a trovarsi la vittima, una volta giunto in ospedale, incompatibile con quanto assunto dal consulente di parte, che parlò di condizioni complessivamente buone al momento di accesso in ospedale.

Infine, prive di pregio sono le censure sulla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, visto che è stata offerta adeguata motivazione facente leva sulla gravità del fatto, sulla ferocia manifestata e soprattutto sul fatto che al momento della consumazione dei reati lo stesso era sottoposto a misura cautelare:

la valutazione operata dai giudici di merito risulta fondata sulla disamina globale del fatto nella sua concretezza, non disgiunta dalla valutazione della personalità dell’imputato, disamina congrua e non contraddittoria, cosicchè la valutazione operata non può essere sindacata, presupponendo un giudizio di fatto, che è precluso in questa sede.

Quanto infine, alla dosimetria della pena, ancora prive di pregio sono le doglianze difensive, poichè la sentenza è stata correttamente motivata, avuto riguardo alle modalità del fatto ed alla personalità del ricorrente: sono stati sottolineati l’estrema gravità del fatto commesso con penetrazione nella casa altrui, in ore notturne, le conseguenze arrecate alle due vittime, tali da mettere in pericolo le loro vite, con il che nessuna violazione del dato normativo è ravvisabile, nè è apprezzabile alcun deficit motivazionale, avendo offerto i giudici di merito le ragioni per le quali la pena andava calibrata su un livello superiore al minimo.

Al rigetto di ricorso segue la condanna del ricorrente la pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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