Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 17-02-2011) 12-04-2011, n. 14728 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Venezia ricorre avverso l’ordinanza di cui in epigrafe con cui la Corte di appello territoriale ha accolto l’istanza ex art. 314 c.p.p. presentata da L.A. per l’ingiusta detenzione subita dal 29 maggio 2006 al 5 gennaio 2006 (di cui 2 giorni in custodia cautelare in carcere) e, per l’effetto, gli ha liquidato la somma di Euro 35.00,00 di cui 5.000,00, a titolo di ristoro della sofferenza morale patita per la suddetta privazione della libertà personale.

Il ricorso censura, sub specie della carenza, irragionevolezza ed illogicità della motivazione. Si sostiene che il giudice della riparazione aveva posto a fondamento del suo giudizio l’accertamento dei fatti quale era il risultato ex post dall’istruzione probatoria dibattimentale invece di valutare autonomamente la condotta posta in essere dall’istante anteriormente o contestualmente all’applicazione della misura cautelare ai fini del diverso giudizio imposto dall’art. 314 c.p.p..

Si deduce, in particolar e, che il giudice della riparazione aveva operato solo una ricostruzione parziale della vicenda attraverso una valutazione atomistica dei comportamenti dei soggetti coinvolti, erroneamente scindendo il comportamento dell’istante da quello dell’altro correo, laddove invece la condotta dei due ragazzi, violenta e simultanea, dirette ad ottenere del denaro dal proprietario della tabaccheria e dalla figlia di questi, ben poteva configurare quella condotta gravemente colposa idonea a provocare una situazione di fatto che aveva tutti gli elementi obiettivi del delitto di rapina per il quale si era proceduto.

Tale ricostruzione era, d’altra parte, del tutto coerente con la decisione del Tribunale dei minorenni che aveva ravvisato l’esercizio putativo di legittima difesa.

E’ stata depositata una memoria difensiva nell’interesse del L., con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Le doglianze propongono una ricostruzione dei fatti diversa da quella posta a fondamento dell’ordinanza impugnata che, escludendo la colpa grave dell’istante, ha riconosciuto l’indennizzo in suo favore.

Il provvedimento impugnato ha evidenziato che la reazione del L. – che la sentenza assolutoria aveva qualificato come di legittima difesa – era stata giustificata dal comportamento "immotivato" dell’edicolante, il quale, travisando una frase del minore, diretta ad ottenere la restituzione di 20 Euro per un servizio di ricarica telefonica non andato a buon fine, lo aveva stretto per un braccio, provocandone la reazione violenta.

Per come sopra indicato, se ne deve inferire che, il giudice della riparazione, ha rilevato, con un procedimento argomentativo, corretto ed esente da vizi motivazionali o da caratteristiche che ne evidenzino la manifesta illogicità, la sussistenza di elementi idonei ad escludere la colpa grave dell’istante nella determinazione della serie causale dei fatti che portò all’arresto del minore.

L’ordinanza gravata è, pertanto, in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte (a cominciare dalla sentenza delle Sezioni unite 23 dicembre 1995 n. 43, Sarnataro, rv 203636), secondo la quale, in tema di riparazione per ingiusta detenzione, il giudice di merito, per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa grave (quest’ultima è l’ipotesi che qui interessa), deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità.

Al riguardo, il giudice deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine di stabilire, con valutazione ex ante (e secondo un iter logico- motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito), non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di "causa ad effetto" (di recente, ex pluribus, Sezione 4^, 3 giugno 2010, Davoli rv. 248074).

In una tale prospettiva, sono proprio le censure articolate dal ricorrente ad operare una ricostruzione parziale della vicenda attraverso una valutazione atomistica dei comportamenti dei soggetti coinvolti, erroneamente scindendo il comportamento dell’istante dal contesto convulso dell’accadimento e dall’equivoco sulla rapina formatosi nella mente della parte offesa, laddove la condotta del ragazzo – ed è ciò che rileva al fine di escludere il profilo della colpa grave – come emerge dalla sentenza di assoluzione, non era stata che una reazione all’effettiva ed immotivata aggressione subita dall’edicolante.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 193 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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