Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-02-2011) 12-04-2011, n. 14631

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza del 7.9.2010, il Tribunale di Firenze, investito ex art. 309 c.p.p., confermava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere messa nei confronti di C.G. per i reati di tentato sequestro di persona, tentata estorsione, rapina aggravata, lesioni personali, commessi in data 29.2.2008, ai danni di M. R., che nell’occasione veniva percosso e strattonato, spossessato di due telefoni cellulari, indotto a versare la somma di Euro 2000, il tutto in una logica mafiosa che vedeva la regia di Cr.Gi., già denunciato per associazione a delinquere di stampo mafioso, legato alla consorteria mafiosa del clan di Rizziconi, capeggiato dallo zio, Cr.Te..

Era stato appurato, all’esito di intercettazione telefoniche, che il M. aveva proposto operazioni finanziarie ai L., titolari di ditta di trasporti in Crotone, – conosciutisi pel tramite del C. -, a Cr.Gi. ed a Cu.Fo. e Ga., operazioni che non si erano rivelate redditizie, cosicchè in attesa che le querele – che erano state sporte per il reato di truffa -, facessero il loro corso, Cu., C. e Cr.Gi. avevano progettato un’azione intimidatoria e violenta a carico del M., per indurlo a rimediare, volta ad estorcere – medio tempore – la somma di 2000 Euro. Il supporto indiziario era rappresentato da: 1) dichiarazioni del M. stesso di esser stato aggredito e malmenato; 2) certificato medico attestante le lesioni conseguite alla denunciata azione aggressiva;

3) esito di ascolto a distanza prima e dopo il fatto tra gli indagati; 4) riscontro dei tabulati telefonici attestanti che gli indagati erano presenti nel luogo dei fatti, al momento del loro accadimento; 5) riscontro di intervenuto collegamento telefonico tra Cu.Fo. e Cr.Gi. proprio nel momento in cui il M. era accerchiato dal gruppo per indurlo a seguire il gruppo stesso a (OMISSIS); 6) conversazioni registrate tra il C. ed il Cr., il giorno prima dell’aggressione, con evidenti riferimenti all’azione da porre in essere il giorno dopo e inviti a seguire le disposizioni impartite dal Cr..

Venivano ritenuti questi fatti anche fondatamente ascrivibili al C., a cui veniva ritenuta correttamente contestata anche l’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1979, art. 7, in quanto l’azione aveva avuto di mira l’agevolazione della consorteria mafiosa, che dimostrò di operare con i metodi tipici mafiosi, se solo si considera che dopo i fatti ascritti al C., l’attacco al M. fu più massiccio e riguardò anche i suoi familiari ed i suoi beni, essendogli stata incendiata la discoteca, essendo state incendiata l’auto della suocera del M. e quella di T. R., socio d’affari del M., ed infine essendo stato incendiato il portone dell’ingresso degli appartamenti di suocera e cognato del menzionato.

Quanto alle esigenze cautelari, veniva evidenziato che l’incensuratezza del C. non toglieva nulla alla gravità dei fatti in cui risultava coinvolto; veniva infatti opposta al dato favorevole dell’incensuratezza, la facilità di rapporti intessuti con soggetti del calibro del Cr., con il che veniva formulata una prognosi negativa che giustificava la misura più rigorosa; la stessa distanza temporale dal fatto non veniva ritenuto motivo sufficiente per considerare affievolite le esigenze.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per Cassazione la difesa, per dedurre:

2.1 illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione sulla sussistenza di gravi indizi, poichè non sarebbe dato evincere dalla motivazione quali siano gli indizi gravi posti a fondamento del provvedimento custodiale; le risultanze processuali non sarebbero state soppesate e la motivazione del tribunale sarebbe meramente assertiva, con appiattimento indebito sulla motivazione del gip. Non sarebbe stata data ragione dei dubbi espressi dalla difesa sulla affidabilità del M., soggetto già condannato per calunnia, che avrebbe fornito tre diverse rappresentazioni dei fatti. Due sole sarebbero le telefonate coinvolgenti il C., senza che sia apprezzabile nelle conversazioni un contenuto criminale.

2.2 Illogicità della motivazione in ordine all’applicazione della L. n. 203 del 1991, art. 7. C. non avrebbe applicato alcun metodo mafioso, cosicchè non può farsi derivare in modo automatico il fine di agevolare l’associazione, dal fatto che il reato commesso avrebbe potuto arrecare vantaggio a personaggi mafiosi. Nessuna specificazione a fronte dei rilievi difensivi sull’applicabilità anche al ricorrente dell’aggravante in parola è stata offerta, tanto più che la presenza del medesimo il 29.2.2009 sarebbe stata sfortunata, quanto occasionale.

2.3 Mancanza e manifesta illogicità di motivazione in ordine alla sussistenza di ragioni cautelari, atteso che la motivazione offerta non si attaglia al ricorrente, che è soggetto incensurato; non è dato conoscere in base a quali specifiche circostanze indicatrici dell’inclinazione del soggetto al delitto, sia stato dedotto il concreto pericolo di recidivanza, di qui la censura di motivazione inesistente, senza contare poi l’incidenza del tempo trascorso dai fatti (tre anni) che non sarebbe stata valutata, come invece impone il disposto normativo.
Motivi della decisione

Il ricorso è palesemente infondato, in quanto i motivi riproducono doglianze su cui è intervenuta puntuale motivazione da parte del tribunale del riesame e deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

La motivazione del provvedimento cautelare in oggetto non si espone ad alcuna critica di incompletezza o illogicità. E’ stato dato atto di un coacervo di elementi che partivano dalla stessa indicazione della persona offesa per incrociarsi con i riscontri dei tabulati telefonici e gli esiti di intercettazioni telefoniche, costituenti una solida trama accusatoria, assolutamente resistente alle censure avanzate sulla affidabilità del M., le cui dichiarazioni sono state valutate come corollario in un ordito reso solido dai dati obiettivi provenienti dalle certificazioni mediche (attestanti le lesioni patite dal M.), dalle conversazioni intercettate (riguardanti anche il C.) e dalle localizzazioni offerte dai tabulati telefonici, molto significative, avendosi riguardo a soggetti che non risiedevano nel territorio di (OMISSIS). Dati tutti valorizzati in modo ineccepibile dal tribunale del riesame di Firenze, senza forzatura alcuna, coordinati tra loro e utilizzati quale base inferenziale che non poteva che portare alle conclusioni in termini di gravità indiziaria a cui i giudici di merito sono addivenuti, nel senso che detti elementi sono stati correttamente reputati conducenti, con elevato grado di probabilità, rispetto al tema di indagine concernente la responsabilità del C. in ordine ai delitti suindicati, aggravati L. n. 203 del 1979, ex art. 7.

Anche l’applicazione dell’aggravante suddetta è infatti stata frutto di un’operazione corretta, in quanto è stato dato atto di come la condotta violenta e minacciosa ascritta al C. ed ai suoi coindagati, oltre ad essere obiettivamente idonea a coartare la volontà del soggetto passivo del reato, sia stata espressione di capacità persuasiva promanante dalla forza del vincolo associativo e sia stata idonea a determina nel destinatario la condizione di assoggettamento e di omertà. In proposito, è stata puntata l’attenzione sul fatto che l’operazione vide come oscuro regista Cr.Gi., legato alla consorteria della ‘ndrangheta calabrese del clan Crea di Riziconi, ed è stato spiegato come il gruppo abbia dimostrato una sua capacità criminale allargata oltre il territorio calabrese; non solo, ma il tribunale ha sottolineato la mafiosità dei metodi usati, desumendola dalla cadenza temporale con cui i fatti di aggressione dei beni non solo del M., ma della moglie, della suocera e del socio, si sono susseguiti, realizzati nella consapevolezza di voler affermare la forza dell’associazione mafiosa.

La motivazione offerta dal tribunale è dunque corretta e rigorosa e come tale, non si presta ad alcuna censura.

Quanto infine al terzo motivo, va detto che le ragioni cautelari sono state desunte con corretta procedura inferenziale, non solo dal titolo dei reati, – la cui pluralità non poteva che essere valutata sfavorevolmente – ma dal fatto che l’imputato abbia intessuto stretti legami con personaggi ad elevato tasso delinquenziale, essendo certo che il medesimo ebbe nell’immediatezza del fatto contatti telefonici ripetuti con Cr.Gi.. La distanza temporale del fatto non è così significativa da costituire una cesura sul versante della pericolosità: è stato infatti statuito che il riferimento in ordine al tempo contenuta nella norma di cui all’art. 292 c.p.p. imponga al giudice di motivare sotto il profilo della pericolosità sociale, in proporzione diretta al tempo intercorrente tra il fatto e la decisione cautelare, laddove ad una maggiore distanza temporale dai fatti, corrisponde un affievolimento delle ragioni cautelari (cfr.

Cass. Sez. unite 24.9.2009 n. 40538); ma nel caso di specie, il tribunale ha implicitamente ritenuto che la distanza non potesse assumere alcuna incidenza sulla portata indiziaria degli elementi acquisiti e soprattutto non potesse avere ricadute sul I piano delle esigenze cautelari, trattandosi di distanza non significativa per fare apprezzare un ridimensionamento delle pressanti ragioni social preventive.

Alla dichiarazione di inammissibilità segue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle ammende di sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in Euro mille, ai sensi dell’ art. 616 c.p.p.. La cancelleria dovrà trasmettere copia del presente provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende Dispone trasmettersi a cura della cancelleria copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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