Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 11-02-2011) 12-04-2011, n. 14628 Revoca e sostituzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 21.5.2010, il Tribunale del Riesame di Napoli ha respinto l’appello proposto da C.D. avverso l’ordinanza in data 19.4.2010 della Corte di assise di appello di S.M. Capua Vetere con la quale era stata rigettata la sua richiesta di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con la seguente motivazione.

Il Tribunale del riesame ha premesso che al predetto imputato era stata applicata, nei primi mesi del 2008, la misura cautelare della custodia in carcere per i delitti di omicidio in danno di S. C. e di F.N., di incendio di rapina e di armi, aggravati dalla L. n. 203 del 1991, art. 7.

Nell’ottobre 2008 C. era stato rinviato a giudizio davanti alla Corte d’assise di S.M. Capua Vetere e nel corso del dibattimento – nel maggio 2009 – il predetto imputato aveva deciso di collaborare con la giustizia, venendo anche ammesso al programma di protezione.

Nella sentenza di primo grado gli era stata riconosciuta la speciale attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8.

La Corte aveva rigettato l’istanza di sostituzione della misura cautelare, mettendo in rilievo la pluralità e la gravità dei fatti ascritti all’imputato; la profondità dei legami di solidarietà criminosa; la brevità del tempo trascorso dalla scelta di collaborare.

Il Tribunale del Riesame riteneva infondato l’appello proposto dall’imputato rilevando, innanzi tutto, che anche nei confronti dell’imputato collaboratore di giustizia, sottoposto a cautela per delitti di mafia, valeva la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della misura della custodia cautelare in carcere. Detta presunzione veniva meno con il riconoscimento della speciale attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8, dovendosi a quel punto applicare il normale regime cautelare.

Il Tribunale, nel caso in questione, riteneva che le esigenze cautelari imponessero il mantenimento della misura, avuto riguardo ai gravi precedenti per fatti di sangue, aggravati dalla partecipazione al sodalizio camorristico denominato clan Belforte, nell’ambito del quale l’imputato aveva avuto un ruolo di vertice; al fatto che la collaborazione era iniziata solo dopo aver subito le prime condanne;

al breve tempo della collaborazione che, seppure apprezzata in fase processuale, non poneva al riparo dal pericolo di recidiva, alla luce della pessima personalità del C.. Si doveva considerare anche il parere negativo della Procura Nazionale Antimafia, che aveva sottolineato la obiettiva gravità dei fatti contestati e la profondità dei legami con il sodalizio criminoso, a fronte della modesta durata di sottoposizione alla misura cautelare e della brevità del periodo di collaborazione.

Ha proposto ricorso il difensore di C.D., deducendo la violazione dell’art. 275 c.p.p., comma 3 e L. n. 203 del 1991, art. 8 nonchè difetto di motivazione ex art. 125 c.p.p., comma 3.

Il D.L. n. 8 del 1991, art. 16 octies, secondo il ricorrente, impone al giudice di procedere alla revoca o all’affievolimento della misura applicata, nel caso di riconoscimento dell’attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8, laddove non abbia acquisito elementi dai quali possa desumersi l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e non abbia accertato violazioni degli impegni assunti con il programma di protezione, Il Tribunale del riesame non aveva accertato alcun elemento, cronologicamente successivo rispetto alla collaborazione, che impedisse l’applicazione del citato art. 16 octies e si era basato solo su sospetti disancorati dalla documentazione versata in atti.

C. aveva fornito un contributo decisivo alle indagini, tanto da meritare la speciale attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 8. Non risultava alcuna violazione degli impegni assunti con il programma di protezione.

Nessun elemento concreto a carico dell’imputato, per fatti successivi alla collaborazione, poteva trarsi dal parere della D.D.A. di Napoli che invece aveva messo in risalto il completo ravvedimento del C., il quale aveva reso dichiarazioni coerenti, precise e particolareggiate in tutti i processi in cui era stato assunto come imputato o testimone.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il D.L. n. 8 del 1991, art. 16-octies stabilisce, nella prima parte, un divieto di sostituire la misura della custodia cautelare con una misura meno grave per il solo fatto di aver prestato o di prestare condotte di collaborazione che consentono la concessione delle attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali.

Nella seconda parte del detto articolo sono indicate le condizioni in presenza delle quali "può procedersi" alla revoca o alla sostituzione della misura nei confronti di collaboratori di giustizia, previo parere del procuratore nazionale antimafia:

nell’ambito degli accertamenti condotti in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, non devono essere stati acquisiti elementi dai quali desumere l’attualità di collegamenti con organizzazioni di tipo mafioso e deve essere accertato che il collaboratore, ove soggetto a speciali misure di protezione, abbia rispettato gli impegni assunti con l’ammissione al programma di protezione.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non sussiste un obbligo per il giudice di revocare o affievolire la misura cautelare, dopo aver accertato l’assenza di collegamenti con la criminalità organizzata e il rispetto degli impegni assunti.

Il giudice può, quindi, considerare anche altri elementi dai quali desumere la sussistenza di esigenze cautelari.

Il Tribunale del Riesame ha ritenuto, con motivazione indenne da censure logico-giuridiche, la sussistenza della pericolosità sociale e il pericolo di recidiva dai gravi precedenti per fatti di sangue, dalla posizione di vertice occupata da C.D. nel clan Belforte, dall’inizio della collaborazione solo dopo le prime condanne e dal breve tempo della collaborazione, alla luce della pessima personalità del predetto.

La suddetta motivazione appare congrua e non può essere disattesa in questa sede per ragioni di merito.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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