T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, Sent., 07-04-2011, n. 153 Competenza e giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Le ricorrenti chiedono il risarcimento del danno ingiusto causato dall’amministrazione convenuta per violazione della norma di cui all’articolo 2087 codice civile (in sostanza la violazione dell’obbligo di protezione nella direzione ed organizzazione del lavoro al fine della salvaguardia degli interessi della persona del lavoratore che sono coinvolti nello svolgimento del rapporto); violazione che sarebbe stata una concausa della morte del proprio congiunto, dipendente del Comune di Campobasso dal 1959 al 5.4.1989, data del decesso per ischemia acuta inferiore sx, angina pectoris, arresto cardiaco.

In particolare, le ricorrenti chiedono, iure hereditatis, il risarcimento del danno biologico da morte, patito dal proprio congiunto (rispettivamente, nella qualità di vedova e figlia); iure proprio, il risarcimento del danno morale ed esistenziale in conseguenza di tale decesso.

Quanto al profilo della giurisdizione, sul risarcimento del danno domandato iure hereditatis, il Tribunale di Campobasso, con sentenza n. 451 del 2006, tra le stesse parti, ha declinato la propria in favore di questo Tribunale.

Benchè tale statuizione non sia vincolante per questo Giudice, essa è comunque condivisa.

Anche a voler aderire alla giurisprudenza che introduce una formale distinzione tra obblighi di protezione contrattuali ed extracontrattuali della pubblica amministrazione, non v’è dubbio che nel caso in esame lo svolgimento del rapporto di lavoro è stata l’occasione necessaria e non eventuale del contatto sociale tra il dipendente e l’amministrazione e quindi della nascita dell’obbligo di protezione da parte di quest’ultima dell’interesse alla salute del primo.

Peraltro, tale giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, 15 ottobre 2010 n. 7527), sotto il profilo strettamente dogmatico, non appare pienamente condivisibile, laddove riconduce, in alcuni casi, l’obbligo di protezione da contatto con il lavoratore, al paradigma di cui all’articolo 2043 c.c., e non, invece, sempre a quello di cui all’articolo 1173: dopotutto, nei confronti del lavoratore, e a differenza di quanto accade erga omnes, si tratta sempre di obbligo di comportamento che preesiste al danno.

Comunque, essendovi nella fattispecie in esame un nesso di occasionalità necessaria tra la gestione e l’organizzazione del rapporto di lavoro ed il danno, l’illecito in questione è riconducibile ad un inadempimento di un obbligo legale "di tipo contrattuale", e tra l’altro, ex articolo 1374 e 2097 c.c., l’obbligo è anche "da contratto".

Dagli atti emerge che l’amministrazione comunale, nonostante il congiunto della ricorrente fosse stato riconosciuto affetto da varie patologie cardiache e nonostante le conseguenti richieste di cambio di mansioni, lo ha continuato ad impiegare imprudentemente nel gravoso servizio di netturbino, fino al decesso, attribuibile a causa di servizio, come riconosciuto dallo stesso Comune resistente nella nota del 16.4.1993 inviata alla Prefettura di Campobasso ed allegata agli atti di causa; dalla Prefettura di Campobasso, nella nota del 19.5.1993 (ove ha riconosciuto che le specifiche mansioni e l’organizzazione del servizio – in particolare l’orario – del defunto sono state concausa della morte); dalla Corte dei Conti nella sentenza n.522 del 1992 (di riconoscimento della pensione privilegiata); dalla giunta comunale con la delibera n.1399 del 1992 (di riconoscimento della causalità di servizio della cardiopatia).

Sempre con riferimento al danno lamentato iure hereditatis, come rilevato dal giudice a quo nella sentenza n.451/06, i fatti posti a fondamento della domanda risalgono a data antecedente al 1986 (data del decesso del lavoratore), e pertanto trova applicazione la norma transitoria di cui all’articolo 45, comma 17, del d.lgs. n.80 del 1998 (abrogata ad opera dell’articolo 72, comma 1, lettera bb), del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ma nel contempo riprodotta, con diversa formulazione, nell’art. 69, comma 7, del medesimo decreto).

Il d.lgs. n. 80 del 1998, in particolare, nel devolvere, all’articolo 29, al giudice ordinario, la giurisdizione sulle controversie in tema di pubblico impiego, ha mantenuto, all’articolo 45, comma 17, la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo sulle controversie in tale materia riguardanti questioni anteriori al 30 giugno 1998, prescrivendo, però, la proposizione delle relative azioni, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000; ne consegue che si deve dichiarare inammissibile, per difetto di giurisdizione, il ricorso relativo a tal tipo di controversia, proposto oltre il termine decadenziale prescritto dall’art. 45, comma 17, suddetto (cfr. Consiglio di Stato, n.1050 del 2006).

Secondo un indirizzo giurisprudenziale, si tratterebbe di un termine sostanziale di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale, e non già di un limite alla persistenza della giurisdizione amministrativa (cfr. da ultimo T.A.R. Roma, n. 5600 del 2008; Consiglio di Stato, n. 3394 del 2005; Cassazione Sez. Un. n. 5184 del 2004), e quindi ne conseguirebbe l’inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza sostanziale dall’azione.

Più in particolare, sulla natura del termine previsto dalla normativa transitoria in riferimento, giova delinerare sommariamente ambedue le tesi.

Secondo il primo orientamento, si tratterebbe di norme a contenuto meramente processuale, atte a regolare la giurisdizione sulle controversie in questione, la cui violazione (mediante la proposizione di ricorso giurisdizionale amministrativo dopo il termine del 15 settembre 2000) non comporterebbe la decadenza dalla pretesa sostanziale, ma soltanto la pronuncia di inammissibilità per difetto di giurisdizione amministrativa.

Per il secondo orientamento, invece, il termine in questione sancirebbe una vera e propria decadenza sostanziale della situazione giuridica di cui si assume titolare il dipendente, sicché, qualora tale situazione non sia stata fatta valere con ricorso depositato entro il 15 settembre 2000, il giudizio si estinguerebbe, non potendo più essere esperito alcun mezzo processuale a tutela del diritto azionato, né dinanzi al giudice amministrativo né dinanzi al giudice civile (SS.UU. 12 marzo 2004, n. 5184; id. 3 febbraio 2004, n. 1904; T.A.R. Lazio, sez. III, 27 febbraio 2007, n. 1699; T.A.R. Sicilia, Palermo, 2 luglio 2007 n. 1709; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 22 ottobre 2009, n. 4871; T.A.R. Lazio, sez. III, 20 gennaio 2010, n. 641).

Quest’ultima è la tesi che ha ottenuto anche l’avallo della Corte Costituzionale in numerose decisioni (fra le altre, ordinanze 11 maggio 2006, n. 197; 26 maggio 2005, n. 213; 7 ottobre 2005, n. 382), sulla scorta delle seguenti considerazioni:

– la scelta legislativa, operata dal legislatore delegato del 2001, di imporre la decadenza dal diritto di agire, "non solo è conforme al principio direttivo della delega, ma è anche la più rispettosa delle finalità indicate dal Parlamento, in quanto misura idonea a prevenire il temuto sovraccarico di entrambi i giudici investiti del contenzioso del pubblico impiego ed idonea, altresì, a realizzare tra di essi un ordinato riparto di tale contenzioso";

– tale scelta non comporta disparità di trattamento tra i dipendenti privati e quelli pubblici, in quanto ragionevolmente giustificata dall’"esigenza di contenere gli effetti, temuti dal legislatore come pregiudizievoli per il regolare svolgimento dell’attività giurisdizionale, prodotti dal trasferimento della competenza giurisdizionale al giudice ordinario e dal temporaneo mantenimento di tale competenza in capo ai tribunali amministrativi";

– la disposizione in questione è rispettosa anche degli articoli 24 e 113 della Costituzione, poiché "tale termine (di oltre ventisei mesi) non è certamente tale da rendere "oltremodo difficoltosa" la tutela giurisdizionale" (cfr. per una dettagliata ricostruzione giurisprudenziale T.A.R. Napoli 17 novembre 2010 n. 25149).

Questo Tribunale, vista l’autorevole interpretazione della normativa in esame compiuta dal Giudice delle leggi, ritiene di dovervi aderire, con la conseguenza che deve limitarsi a pronunciare, nel presente giudizio, l’avvenuta decadenza dell’azione perché proposta, già dinnanzi al giudice ordinario, dopo il termine perentorio del 15 settembre 2000.

Passando dunque alla domanda di risarcimento iure proprio, il Collegio rileva che su di essa v’è già un giudicato di merito del giudice ordinario, nella medesima sentenza n.451 del 2006, il quale ha ritenuto la propria giurisdizione sui cd. danni da rimbalzo (sul presupposto che la giurisdizione possa variare anche in funzione della sfera giuridica su cui ricade il danno e non solo in funzione del tipo di condotta violata) ed ha rigettato la domanda per prescrizione; ne consegue che in questa sede deve essere dichiarata l’inammissibilità per violazione del principio del ne bis in idem (cfr. Tar Roma n.203 del 2010).

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in parte, per avvenuta decadenza del potere di azione, in parte, per ne bis in idem.

Le spese possono essere compensate in ragione della decisione in rito.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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