T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 07-04-2011, n. 357 Demolizione di costruzioni abusive Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

o nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso ritualmente proposto la società E. s.r.l. ha impugnato gli atti indicati in epigrafe con cui il Comune di Torino, a seguito dell’esposto di un cittadino e dei conseguenti accertamenti svolti dall’ufficio tecnico comunale, le ha ordinato rispettivamente di sospendere e quindi di demolire alcune opere realizzate dall’intimata in assenza di concessione edilizia nell’immobile di sua proprietà sito in via Orbetello n. 96.

2. Nella motivazione degli atti impugnati, le opere sanzionate sono così descritte: "Cambio di destinazione d’uso di parte di fabbricato industriale al terzo e quarto piano da industria a palestra ginnico sportiva. Per mq 1.100. Sono attualmente in corso modifiche interne: demolizione di solaio per realizzazione di scala interna di collegamento, realizzazione di w.c., spogliatoi, area di attività ginnica, reception, pavimentazione, rivestimenti alle pareti".

Nella stessa motivazione, si dà atto della non accoglibilità della denuncia di inizio attività presentata dall’interessata ai sensi dell’art. 8 comma 4 del D.L. 310/95, "in quanto trattasi di intervento assoggettabile a disciplina concessoria ed eseguito in contrasto alla destinazione prevista dal P.R.G. che prevede nella zona in discorso la destinazione a "zona urbana consolidata per attività produttive".

3. Il ricorso è stato affidato a sei motivi con i quali sono stati dedotti vizi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere sotto plurimi profili, nei termini che saranno più diffusamente esposti in seguito.

4. Si è costituito il Comune di Torino per resistere al gravame.

5. Con ordinanza n. 1130/95 in data 7 dicembre 1995, la Sezione ha respinto l’istanza cautelare proposta dalla parte ricorrente.

6. Con istanze depositate il 24.02.2009 e 22.02.2011 la ricorrente ha chiesto la fissazione dell’udienza di discussione.

7. In prossimità di quest’ultima si è costituito il nuovo difensore del Comune di Torino, in sostituzione del precedente (cessato dal servizio per collocamento a riposo), richiamando e facendo proprie le difese svolte precedentemente e depositando ulteriori documenti.

Entrambe le parti hanno depositato memorie conclusive e repliche nei termini di rito.

8. All’udienza pubblica del 24 marzo 2011, sentiti l’avv. Gallenca per la parte ricorrente e l’avv. Boursier per il Comune resistente, la causa è stata trattenuta per la decisione.

9. Il collegio osserva che il ricorso è infondato sotto tutti i profili dedotti e va quindi respinto.

9.1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto vizi di "incompetenza", di "violazione di legge con riferimento agli artt. 4 e 7 legge 28 febbraio 1985 n. 47, in relazione all’art. 36 comma secondo legge 8 giugno 1990, n. 142" e di "eccesso di potere per difetto di motivazione".

Secondo la ricorrente, l’ordinanza di demolizione sarebbe illegittima perché sottoscritta da un assessore senza alcuna indicazione del settore cui il medesimo sarebbe preposto; perché adottata in materia afferente i poteri di vigilanza sull’attività edilizia ed urbanistica che la legge attribuisce in via esclusiva al sindaco quale organo dello Stato e che pertanto non sono delegabili ad altri organi comunali; perché, in ogni caso, nell’atto impugnato non sono stati indicati gli estremi dell’eventuale delega, i presupposti della stessa e le ragioni di impedimento del Sindaco a provvedere direttamente.

La censura è infondata.

La materia edilizia non è attribuita al Sindaco come ufficiale di governo, ma come capo dell’amministrazione comunale, sicchè non sussiste alcun divieto per il sindaco di delegare le proprie funzioni agli assessori (Consiglio di stato, sez. V, 08 gennaio 2007, n. 1; Consiglio di Stato, sez. V, 30 giugno 1984, n. 540; TAR Piemonte, sez. I, 6 aprile 2007, n. 1581; T.A.R. Trentino Alto Adige Bolzano, 20 agosto 1999, n. 250).

Nei provvedimenti impugnati è chiaramente indicato il settore di appartenenza dell’assessore delegato ("Settore amministrativo XVII Edilizia Privata").

La mancata indicazione degli estremi della delega di firma e delle ragioni di impedimento del Sindaco non inficia l’atto impugnato in mancanza di norme che prescrivano tale obbligo. Era onere della ricorrente provare il fatto negativo della insussistenza della delega o della ragione di impedimento (Cass. Civ., sez. II, 10 maggio 2010, n. 11283; Cass. Civ., sez. I, 2 febbraio 2005, n. 2085).

9.2. Con il secondo motivo la ricorrente ha lamentato la violazione degli artt. 3 e 7 L. 7 agosto 1990 n. 241, sul rilievo che l’ordinanza di demolizione non sarebbe stata preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento.

La censura non è fondata.

In ragione del contenuto rigidamente vincolato che li caratterizza, gli atti sanzionatori in materia edilizia, tra cui l’ordine di demolizione di costruzione abusiva, non devono essere preceduti dalla comunicazione d’avvio del relativo procedimento (Consiglio Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7129; T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 13 gennaio 2011, n. 84; T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 dicembre 2010, n. 35404; T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 17 novembre 2010, n. 2660; T.A.R. Umbria Perugia, sez. I, 28 ottobre 2010, n. 499; T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 04 settembre 2009, n. 2253).

In ogni caso, nella specie in esame la comunicazione di avvio del procedimento è stata utilmente surrogata dall’ordinanza di sospensione dei lavori (T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 28 gennaio 2011, n. 169; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 26 gennaio 2009, n. 56; T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 03 settembre 2008, n. 1738; T.A.R. Basilicata Potenza, sez. I, 19 gennaio 2008, n. 16; Consiglio Stato, sez. IV, 27 gennaio 2006, n. 399).

9.3. Con il terzo motivo la ricorrente ha lamentato vizi di "violazione di legge con riferimento all’art. 19 legge 7 agosto 1990 n. 241, ed all’art. 8 comma quarto D.L. 26 luglio 1995 n. 310", di "eccesso di potere per contraddittorietà ed ingiustizia grave e manifesta", di "violazione di legge ed eccesso di potere con riferimento ai principi sulla autotutela e sull’annullamento di ufficio in relazione – anche – all’art. 20 L. 7/8/1990 n. 241", nonché di "eccesso di potere per carenza di presupposti e difetto di motivazione".

Secondo la ricorrente l’ordinanza di demolizione sarebbe stata adottata e notificata dopo che era già decorso il termine perentorio di 60 giorni previsto dall’art. 19 della L. 241/90 dalla data di ricevimento della D.I.A. da parte dell’amministrazione comunale; né sarebbe possibile ritenere che l’amministrazione abbia fatto uso dei poteri di autotutela previsti dalla stessa norma e dal successivo articolo 20, non essendo configurabile un atto di autotutela tacito, né essendo stata evidenziata l’illegittimità originaria dell’atto di assenso tacitamente formatosi sulla d.i.a. e le ragioni di interesse pubblico al suo annullamento.

La censura va disattesa perché si fonda su un evidente travisamento dei fatti. L’Amministrazione non è intervenuta a sanzionare in autotutela l’intervento edilizio descritto nella d.i.a., ma a reprimere il predetto intervento perché diverso da quello indicato nella d.i.a. ed eseguito in assenza della necessaria concessione edilizia. I provvedimenti impugnati non sono quindi la conseguenza di un ripensamento dell’amministrazione, ma dell’accertamento di un abuso.

9.4.) Con il quarto motivo la ricorrente ha lamentato vizi di "violazione di legge con riferimento all’art. 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47", di "violazione di legge con riferimento all’art. 3 legge 7 agosto 1990, n. 241", di "eccesso di potere per difetto di motivazione", di "violazione di legge ed eccesso di potere con riferimento ai principi generali, normativi e giurisprudenziali, sugli elementi essenziali dell’atto amministrativo".

Secondo la ricorrente l’ordinanza di demolizione non conterrebbe alcun riferimento concreto e specifico alle opere edilizie ritenute abusive dall’amministrazione. Il provvedimento non sarebbe pertanto eseguibile dal destinatario, poiché non sarebbe dato comprendere quali opere dovrebbero essere demolite o eliminate.

Anche tale censura è palesemente infondata. Il provvedimento impugnato descrive nel seguente modo l’abuso riscontrato: "Cambio di destinazione d’uso di parte di fabbricato industriale al terzo e quarto piano da industria a palestra ginnico sportiva. Per mq 1.100. Sono attualmente in corso modifiche interne: demolizione di solaio per realizzazione di scala interna di collegamento, realizzazione di w.c., spogliatoi, area di attività ginnica, reception, pavimentazione, rivestimenti alle pareti".

La descrizione delle opere abusive è chiara e dettagliata.

Del resto, è principio consolidato quello per cui l’ordine di demolizione di opere abusive è adeguatamente motivato a mezzo dell’affermazione della realizzazione di una serie di opere in assenza di titolo, con contestuale richiamo alla normativa violata (Consiglio Stato, sez. V, 07 settembre 2009, n. 5229; T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 28 gennaio 2011, n. 169; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 15 dicembre 2010, n. 27377; T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 09 novembre 2010, n. 2631; T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 02 novembre 2010, n. 7175; T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 16 luglio 2010, n. 3102; T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 16 luglio 2010, n. 3131).

La censura va quindi disattesa.

9.5. Con il quinto motivo, la ricorrente ha lamentato vizi di "violazione di legge con riferimento agli artt. 4 e 7 legge 28 febbraio 1985, n. 47, in relazione alle norme del piano regolatore generale del Comune di Torino", di "violazione di legge con riferimento all’art. 3 legge 7 agosto 1990 n. 241", nonché di "eccesso di potere per difetto di istruttoria e difetto di motivazione".

Secondo la ricorrente, mancherebbe nell’ordinanza di demolizione impugnata ogni riferimento all’effettiva situazione di fatto presa in considerazione e la precisa indicazione delle disposizioni normative asseritamente violate.

La censura è speculare a quella appena esaminata ed è infondata per le stesse ragioni. L’abuso accertato è stato chiaramente descritto nell’ordinanza di demolizione, mentre le norme violate sono state indicate nel precedente provvedimento di sospensione dei lavori, attraverso il richiamo dell’art. 4 della L. 47/85 e la precisazione, che il collegio reputa congrua, che "trattasi di intervento assoggettabile a disciplina concessoria ed eseguito in contrasto alla destinazione prevista di P.R.G. che prevede nella zona in discorso la destinazione a "zona urbana consolidata per attività produttiva".

La censura va quindi disattesa.

9.6. Con il sesto e ultimo motivo, la ricorrente ha lamentato ulteriori vizi di violazione di legge e di eccesso di potere sotto plurimi profili. In particolare, secondo la ricorrente l’ordine di demolizione sarebbe stato adottato sull’erroneo presupposto che l’interessata avesse impresso un mutamento d’uso ai locali di sua proprietà. Ciò non sarebbe avvenuto: il fabbricato, già destinato "ad uffici e laboratori", è attualmente adibito "a circolo sportivo". Si sarebbe trattato, pertanto, di un mutamento giuridicamente irrilevante in quanto avvenuto nell’ambito della stessa categoria urbanisticoedilizia "direzionalecommerciale". In senso contrario non rileverebbe l’art. 14 delle NTA del vigente PRGC del Comune di Torino, laddove prescrive come assentibile nella zona "la destinazione produttiva", dal momento che tale norma è applicabile soltanto alle nuove edificazioni e non può applicarsi alle destinazioni miste "produttivedirezionalicommerciali" preesistenti alla norma di piano. In caso contrario, l’art. 14 delle NTA sarebbe illegittimo perché irrazionale e privo di motivazione sotto il profilo del pubblico interesse.

La doglianza è infondata e va respinta. La difesa comunale ha documentato che l’intervento sanzionato è stato realizzato sotto la vigenza del nuovo PRG del Comune di Torino il quale include l’area in questione tra le "aree per le attività produttive IN" di cui all’art. 8 punto 11 del NUEA. In quest’ultima norma si specifica che nelle Aree IN "la destinazione è produttiva (v. art. 3 punto 3)" e che all’interno della stessa sono altresì "consentite le attività ed i servizi di cui all’art. 3, punto 7, lett. a (con esclusione di residenze per anziani autosufficienti, centri di ospitalità, residenze sanitarie protette), i, s, cr, t, p". Tra questi ultimi non compaiono i centri sportivi, che sono invece previsti soltanto alla lettera v) dello stesso punto 7 ("…attrezzature sportive al coperto e all’aperto…"), e che pertanto non sono assentibili all’interno dell’area di cui si discute. Non risponde al vero, quindi, che il mutamento di destinazione d’uso sia avvenuto nell’ambito della stessa categoria urbanistica "direzionalecommerciale": la destinazione dell’area è "produttiva" e tale destinazione era già in vigore al momento della realizzazione dell’intervento in questione, il quale, pertanto, è stato doverosamente sanzionato in quanto implicante una destinazione d’uso incompatibile con la previsione di piano. La censura svolta in via subordinata nei confronti della norma generale è inammissibile perché formulata in termini generici e perché, in ogni caso, concernente le scelte di merito dell’amministrazione, le quali non sono sindacabili da questo giudice se non per errori di fatto, per abnormità e irrazionalità delle stesse (Consiglio Stato, sez. IV, 16 febbraio 2011, n. 1015): profili che, nel caso di specie, il collegio non ritiene sussistenti e che la stessa ricorrente ha omesso di indicare in modo specifico. Quanto all’asserito difetto di motivazione, è sufficiente osservare che l’Amministrazione non è tenuta a fornire apposita motivazione in ordine alle scelte operate in sede di pianificazione del territorio comunale, se non richiamando le ragioni di carattere generale che giustificano l’impostazione del piano (Consiglio Stato, sez. IV, 16 febbraio 2011, n. 1015; Consiglio Stato, sez. IV, 13 ottobre 2010, n. 7492; T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 15 febbraio 2010, n. 1431; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 23 giugno 2009, n. 662).

9.7 In conclusione, alla stregua delle considerazioni fin qui esposte, il ricorso va rigettato perché infondato sotto tutti i profili dedotti.

Le spese di lite possono essere compensate ricorrendone giusti motivi.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, Sezione Prima, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge e compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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