Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 08-02-2011) 12-04-2011, n. 14616 Indulto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 12/7/10 il Tribunale di Parma, giudice dell’esecuzione, riconosceva nei confronti di B.C. il regime della continuazione tra i reati giudicati a suo carico in due distinte sentenze per la pena complessiva (visto l’art. 188 c.p.p. n. att. c.p.p.) di anni cinque di reclusione e applicava sulla detta pena l’indulto del 2006 nella massima estensione.

Ricorreva per cassazione il Pm a quo, deducendo violazione di legge sostanziale e processuale e vizio di motivazione: era stato erroneamente ritenuto di poter applicare la disciplina della continuazione in sede esecutiva a reati per cui era stata irrogata una pena su richiesta, superando il limite massimo, per l’indulto correlato, dei tre anni di reclusione; la pena inoltre era incongrua, censurabili gli aumenti di pena, omessi gli aumenti per le continuazioni interne.

Quanto al primo motivo, confermava l’eccezione già sollevata in altra circostanza (ricordava analogo ricorso avverso ordinanza del Tribunale di Parma 11-16/2/10) e da ultimo davanti al giudice dell’esecuzione nel presente procedimento: il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 2 ter, comma 6, convertito con L. 24 luglio 2008, n. 125, confermava la consolidata giurisprudenza della S.C. che escludeva che chi avesse patteggiato la pena potesse ottenere in sede di esecuzione ciò che gli era impedito in sede di cognizione. Quanto ai motivi ulteriori, il giudice dell’ordinanza impugnata non aveva spiegato perchè il disaccordo del Pm era ingiustificato e congrua invece la pena richiesta dalla difesa, non aveva identificato i reati per cui operare gli aumenti per la continuazione c.d. interna ed esterna, non aveva indicato i criteri di calcolo e la ragione della misura di ciascun aumento (non calcolati, in particolare, gli aumenti per le continuazioni interne che caratterizzavano i reati diversi da quello – più grave – sub "e" del primo procedimento e comunque erronea l’eventuale diversa ipotesi che la pena base fosse stata considerata quella complessivamente inflitta nel procedimento medesimo). Chiedeva l’annullamento senza o con rinvio del provvedimento impugnato. Nel suo parere il PG presso la S.C., condividendo gli argomenti del Pm ricorrente, chiedeva anch’egli l’annullamento dell’ordinanza.

Con memoria depositata il 17/1/11 la difesa del B. contrastava gli argomenti del ricorrente, chiedendone il rigetto.

Il ricorso è solo parzialmente fondato.

Infondato il primo motivo. Il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 2 ter, comma 6, come convertito con L. 24 luglio 2008, il 125, recita:

6. Nel corso dei processi di primo grado relativi ai reati in ordine ai quali, in caso di condanna, deve trovare applicazione la L. 31 luglio 2006, n. 241 (sull’indulto), l’imputato o il suo difensore munito di procura speciale e il pubblico ministero, se ritengono che la pena possa essere contenuta nei limiti di cui alla L. n. 241 del 2006, art. 1, comma 1, (tre anni di reclusione e Euro 10.000 di multa), nella prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto possono formulare richiesta di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. e segg., anche se risulti decorso il termine previsto dall’art. 446 c.p.p., comma 1.

Segue il comma 7: La richiesta di cui al comma 6 può essere formulata anche quando sia già stata in precedenza presentata altra richiesta di applicazione della pena, ma vi sia stato il dissenso da parte del pubblico ministero ovvero la stessa sia stata rigettata dal giudice, sempre che la nuova richiesta non costituisca mera riproposizione della precedente.

La normativa del 2008 ha pertanto evidenti finalità deflattive (la rubrica del citato art. 2 ter è "Misure per assicurare la rapida definizione dei processi relativi a reati per i quali è prevista la trattazione prioritaria") riguardo ai reati che possono beneficiare dell’indulto del 2006, favorendone la definizione a mezzo di patteggiamento quando sia ancora in corso il giudizio di primo grado.

Non incide quindi – e tanto meno in modo restrittivo – sulla normativa già in essere, dove il generale limite di pena di cui all’art. 188 disp. att. c.p.p. per il patteggiamento in sede esecutiva è stato portato da due a cinque anni di reclusione dalla L. 2 agosto 2004, n. 205 (salvi gli specifici casi previsti nell’art. 444 c.p.p., comma 1 bis).

Fondati, invece, i motivi sui singoli reati in continuazione e i relativi aumenti di pena.

Assente, infatti, nell’ordinanza impugnata l’individuazione dei reati in continuazione, interna ed esterna, sul reato più grave indicato in quello di cui al capo e 1.1.) sub a) del proc. n. 837/08 e dei corrispondenti aumenti di pena (sia pure, eventualmente, nei limiti della pena finale come già individuata).

Sotto tale profilo l’ordinanza va annullata con rinvio al giudice di merito per nuovo esame.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’individuazione degli aumenti di pena per i reati posti in continuazione e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Parma.

Rigetta nel resto il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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