Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 03-02-2011) 12-04-2011, n. 14722

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di C.E. avverso l’ordinanza in data 29.5.2009, con la quale la Corte d’Appello di Venezia respingeva la richiesta di C.E. volta ad ottenere equa riparazione per ingiusta detenzione sofferta dal 14/1 al 4/2/2005 per il delitto di associazione a delinquere diretta allo sfruttamento della prostituzione, per la causa ostativa prevista dall’art. 314 c.p.p., comma 1, avendo lo stesso richiedente concorso a dare causa alla misura con colpa grave.

Lamenta diffusamente vizi di motivazione dell’atto, consistenti in una non consentita nuova valutazione del materiale probatorio, sconfessando il giudicato assolutorio, e in una mancata indicazione degli elementi specifici della colpa.

Tale colpa, invero, veniva ravvisata dalla Corte di merito nei contatti con tale K.A., suo amico di vecchia data, condannato come capo dell’associazione criminosa alla quale il ricorrente era accusato di aver partecipato; al K. il ricorrente aveva dato ospitalità nella propria abitazione, nella quale "veniva realizzata una parte importante dell’atti vita illecita"; il K. era stato accompagnato, in almeno due occasioni, dal ricorrente nei giri di controllo delle prostitute; al K., alcune volte, erano stati consegnati i proventi dell’attività di prostituzione alla presenza del ricorrente.

Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per il rigetto del ricorso.

E’ stata depositata, ad opera dell’Avvocatura generale dello Stato, una memoria di costituzione nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il ricorso è infondato.

Giova premettere che la giurisprudenza consolidata di questa Corte (v., Sez. Un. 13.12.1995, n. 43, Rv. 203636; e 26.6.2002, n. 34559, Rv. 222263), afferma che la nozione di "colpa grave" di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1, ostativa del diritto alla riparazione dell’ingiusta detenzione, va individuata in quella condotta che, pur tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza, imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile ragione di intervento dell’autorità giudiziaria, che si sostanzi nel l’adozione o nel mantenimento di un provvedimento restrittivo della libertà personale. Inoltre, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del giudice della riparazione è ben diversa da quella del giudice del processo penale: il primo, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico- motivazionale del tutto autonomo, perchè è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento "detenzione" (Sez. Un. n. 43 del 1996). Infine, per valutare la "colpa grave" che, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, esclude il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione previsto da detta norma, il giudice deve fondare la propria decisione su fatti concreti esaminando la condotta del richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà ed indipendentemente dalla conoscenza che il prevenuto abbia avuto dell’inizio delle indagini al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se la condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (Cass. pen. Sez. 4^, 15.2.2007 n. 10987, Rv. 236508; Sez. 4^, 9.10.2007 n. 1577, Rv.

238663, e Sez. Un. 27.5.2010, n. 32383 R.247664). Il Giudice della riparazione ha l’obbligo di fornire, al riguardo, congrua e corretta motivazione, suscettibile di sindacato da parte del giudice di legittimità (Sez. 4^, n. 1603 del 21.6.1996, rv. 205716): invero il sindacato del giudice di legittimità nella materia de qua è limitato all’esame della correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice di merito (nelle cui competenze esclusive resta la valutazione dell’esistenza e gravità della colpa) è pervenuto ad accertare o negare i presupposti del beneficio indicato (Cass. pen. Sez. 4^, 19.2.2003, n. 14143, rv. 224576).

Orbene, la Corte territoriale ha fatto corretto uso degli anzidetti principi. Nella fattispecie in esame, il provvedimento impugnato indica in effetti proprio gli elementi della condotta che hanno dato origine all’apparenza di illecito penale, ponendosi come causa della detenzione la conoscenza, frequentazione e concessione di ospitalità in casa propria in favore di un coimputato poi condannato a pesante pena detentiva, aiuto alla condotta illecita dello stesso con l’accompagnamento nei giri di controllo dell’attività delle prostitute, presenza al versamento dei proventi della attività suddetta al soggetto indicato: tutti elementi di rilevante valore indiziario nella fase e nel momento – indagini preliminari – nei quali è stato emesso il provvedimento di custodia cautelare.

L’impugnata ordinanza, quindi, afferma con chiarezza che la condotta del ricorrente integra la causa ostativa prevista dall’art. 314 c.p.p., comma 1, cioè l’aver dato causa, o contribuito a dare causa, all’emissione del provvedimento restrittivo, per colpa grave.

Ciò è sufficiente per ritenere infondato il ricorso, che si dipiega su una inaccettabile commistione di piani motivazionali, tra la sentenza assolutoria di merito e la riconsiderazione effettuata in sede di esame della domanda risarcitoria. Deve ravvisarsi, quindi, la congruità, logica e giuridica, dell’impugnata ordinanza, che, nel ritenere sussistente la causa impeditiva, la ravvisa nei comportamenti del ricorrente, specie se valutati ex ante, come sopra precisato dai principi enunciati da questa Corte.

Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 6 c.p.p., condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione delle spese di questo giudizio in favore del Ministero resistente, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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