Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-04-2010) 01-07-2010, n. 24747

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con sentenza del 2.7.2008 la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza emessa dal Giudice monocarpico di Palermo in data 2.2.2007 per ricettazione (con recidiva specifica nel quinquennio) di un ciclomotore.

La Corte escludeva la derubricazione nel capoverso dell’art. 648 c.p., in relazione al precedente specifico del ricorrente ed al valore del bene.

Ricorre il B. che con il primo motivo allega che, circa la recidiva, il Tribunale di Palermo con ordinanza del 22.6.2007 aveva dichiarato estinto il reato ed ogni suo effetto e quindi la pena poteva essere contenuta.

Con il secondo motivo si rileva che doveva applicarsi il capoverso dell’art. 648 c.p., in quanto, posto che il valore del bene era certamente modesto e tenuto conto dell’ordinanza di cui si è detto, non vi erano motivi ostativi.

Motivi della decisione

Il ricorso, stante la sua manifesta infondatezza, va dichiarato inammissibile.

Circa il primo motivo la censura è infondata in quanto l’ordinanza del Tribunale di Palermo non è mai stata richiamata in alcun modo nel giudizio di appello, nè nei motivi di appello, nè mediante produzione ad hoc, nè infine in sede di conclusioni con le quali il difensore ha chiesto solo l’accoglimento dei motivi di appello. Non si vede come la Corte avrebbe potuto dare rilevanza ad un documento mai prodotto nè richiamato dalla difesa del ricorrente.

Circa il secondo motivo si tratta della ricettazione di un motorino Piaggio con sostituzione di telaio per rendere più difficile l’identificazione della provenienza del bene. La Corte ha ritenuto che le circostanze soggettive ed oggettive del fatto ostassero, insieme al valore del bene, all’applicazione del capoverso dell’art. 648 c.p.. La motivazione appare congrua (il precedente comunque come fatto storico ben può essere tenuto presente per illuminare l’aspetto soggettivo, inerente alla personalità del ricorrente, della vicenda); le censure sono di mero fatto, inammissibili in questa sede.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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