T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, Sent., 07-04-2011, n. 853 Decadenza dall’impiego

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con il ricorso introduttivo del giudizio, notificato il 27.1.2009 e depositato il 12.2.2009, il ricorrente, già Vice sovrintendente del Corpo di Polizia di Stato, espone di non essere rientrato in servizio, alla scadenza di un periodo di aspettativa, a causa delle proprie precarie condizioni di salute, e che a seguito di ciò l’Amministrazione con l’atto n. 333D70809 del 23 luglio 2008, notificato il 1 dicembre 2008, comminava la decadenza dal servizio, ai sensi dell’art. 127 del T. U n. 3/1957.

Avverso detto provvedimento il ricorrente propone il ricorso introduttivo, affidato a tre articolate censure, con le quali lamenta la violazione dell’art.3 della L. 241/90, la violazione e falsa applicazione dell’art. 127 del D.P.R. n.3/1957, nonché eccesso di potere per carenza di presupposto, difetto di motivazione, travisamento dei fatti e sviamento.

In somma sintesi il ricorrente deduce che l’applicabilità dell’art. 127 del D.P.R. n.3/1957 imporrebbe all’Amministrazione un’attenta valutazione di tutte le circostanze che abbiano indotto l’impiegato all’assenza, valutando, in particolare, l’eventuale esistenza di particolari circostanze che abbiano reso non volontario l’inadempimento dell’obbligo della prestazione lavorativa.

Applicando detti principi alla propria situazione, prosegue il ricorrente, l’Amm.ne avrebbe dovuto considerare che egli non aveva inteso abbandonare il servizio, in quanto il suo comportamento era stato dettato dalle gravi alterazioni psichiche di cui lo stesso era stato affetto per molto tempo.

Resiste con controricorso l’Amministrazione intimata.

Con ricorso per motivi aggiunti il ricorrente impugna l’ulteriore provvedimento del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, n. 333D/70809 del 17 febbraio 2009, notificato il 6 marzo 2009, con il quale è stata rigettata l’istanza di annullamento del provvedimento di decadenza n. 333D/70809 del 23 luglio 2008, contestandone sia la carenza di motivazione circa le articolate censure di illegittimità esposte dal ricorrente, sia l’illegittimità del diniego di riammissione in servizio.

Con ordinanza n. 900/09 questo Tribunale ha respinto la domanda cautelare.

Le parti hanno prodotto memorie.

Quindi, all’Udienza del 23 marzo 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.
Motivi della decisione

I. Il Collegio ritiene infondati tutti i profili di censura formulati avverso il decreto di decadenza, e ciò alla luce di costante Giurisprudenza, anche della Sezione.

L’Amm.ne ha comprovato in giudizio di avere trasmesso al ricorrente reiterate diffide, e da ultimo la nota datata 11.2.2008, con la quale si invitava lo stesso a presentare certificazione medica volta a giustificare l’assenza dal servizio dal 26.4.2007 al 27.12.2007, periodo durante il quale non solo il ricorrente si era assentato dal sevizio, ma si era pure sottratto a numerosi inviti a presentarsi presso la C.M.O. competente; con la predetta nota l’Amm.ne faceva presente che, in caso di inottemperanza, il ricorrente sarebbe incorso nella decadenza dal servizio, ai sensi dell’art.127 comma 1 lett. c) del TU n.3/1967.

L’Amm.ne ha precisato, nella parte motiva del provvedimento di decadenza, come il ricorrente si sia assentato dal servizio senza alcuna giustificazione fin dal 26.4.2007, nonostante le diffide a regolarizzare la propria posizione.

Il provvedimento, adottato dopo oltre 7 mesi di assenza arbitraria dal servizio, appare più che giustificato, dovendosi desumere, dal comportamento del ricorrente, l’intento da parte dello stesso di sottrarsi al rapporto sinallagmatico.

Perfino durante il lungo periodo intercorso tra la prima diffida e la conclusione del procedimento volto alla decadenza, il ricorrente non ha trasmesso alcun certificato medico attestante un eventuale stato patologico, né comunicato eventuali impedimenti al rientro in servizio.

Nessun rilievo assume, in tale ottica, la documentazione prodotta in giudizio dal ricorrente: la perizia di parte, redatta addirittura nel mese di gennaio 2009, nella quale si afferma in maniera del tutto apodittica e sfornita di alcuna base probatoria che il ricorrente nel periodo da aprile 2007 in poi (nel corso del quale non risulta neppure sia stato tenuto sotto osservazione dal medico estensore della perizia) avrebbe subito una compromissione della capacità di valutare adeguatamente azioni e comportamenti. Del resto, come affermato dalla Sezione in caso del tutto analogo (sent. n. 1145/2009 del 18/06/2009), l’Amm.ne dev’essere posta in grado, mediante la procedura di congedo per malattia con la necessaria tempestiva trasmissione della documentazione medica, di disporre le opportune verifiche, attraverso le strutture pubbliche (visite fiscali), circa l’idoneità o meno del dipendente allo svolgimento del servizio e l’impedimento allo stesso.

In carenza, risulta del tutto legittimo il provvedimento di decadenza.

Risulta al riguardo infondato il ricorso, nella parte in cui il ricorrente lamenta il mancato accertamento della sua precisa e deliberata volontà di sottrarsi ai doveri d’ufficio, in quanto, dalla certificazione medica acquisita, risulterebbe che nel periodo in questione egli era affetto da uno stato morboso tale da porlo nell’impossibilità di rendersi conto della rilevanza del proprio comportamento.

Al riguardo, occorre ricordare che, per pacifica e costante giurisprudenza (si veda, tra le più recenti, Cons. Stato, VI, n. 1320/2010 dell’ 08/03/2010), l’art. 127 lett. c) t.u. imp. civ. St. ( d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3) individua una specifica causa estintiva del rapporto di pubblico impiego (assenza ingiustificata dall’ufficio per un periodo di durata non inferiore a quindici giorni) che si collega al mancato assolvimento dell’obbligo primario del dipendente di garantire, con continuità e senza interruzione, l’obbligo di prestazione lavorativa, salvo si versi in presenza di condizioni esonerative della stessa che però devono essere portate tempestivamente alla cognizione dell’amministrazione. La disposizione in esame è rafforzativa dei doveri e responsabilità del pubblico dipendente, nel cui ambito assume particolare rilievo l’adempimento dell’obbligo di servizio nell’interesse dell’amministrazione e del pubblico interesse.

Pertanto, il provvedimento di decadenza dall’impiego adottato al sensi dell’art. 127, comma 1, lettera c), del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 si caratterizza come atto vincolato di natura dichiarativa che trae il proprio presupposto dall’oggettivo riscontro dell’assenza dal servizio per un periodo di tempo non inferiore ai 15 giorni, durante il quale il dipendente non solo non abbia riassunto il servizio nel termine eventualmente prefissato, ma non abbia neanche prodotto documentazione inerente ad una causa impeditiva dell’assolvimento della prestazione lavorativa, ed è evidentemente volto alla tutela dell’interesse pubblico generale a che il rapporto si svolga entro ambiti di certezza, affidabilità e assiduità (in termini, T.A.R. Catania, sent. n. 1145/2009 cit.).

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, quindi, la decadenza dall’impiego per assenza dal servizio di durata superiore a quindici giorni a norma dell’art. 127, lett. c), T.U. n. 3/1957, costituisce di regola un effetto automatico ex lege dell’ingiustificato allontanamento (ragionevolmente individuato) del pubblico impiegato; viceversa, ogniqualvolta, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, possa dubitarsi dell’effettiva volontà del dipendente di abbandonare il posto di lavoro, incombe sull’amministrazione di appartenenza l’onere di una preventiva diffida del lavoratore pubblico a ritornare in servizio (Cons. St., sez. V, 3.6.2002, n. 3077; sez. V, 21.7.1999, n. 867; sez. VI, 2.7.1999, n. 894); ciò perché si ritiene che, in tali particolari circostanze, la p.a. debba attivare tutte le iniziative dirette a rimuovere la riferita situazione di incertezza (Cons. St., sez. V, 13.10.1994, n. 1158).

Nella specie, l’Amministrazione resistente:

– ha provveduto a diffidare il dipendente, ma, stante l’assoluta inerzia dello stesso protratta per mesi, ha giustamente concluso nel senso che il comportamento complessivo del ricorrente deponesse in modo univoco nel senso della non volontà di riprendere servizio, conclusione che appare coerente con i richiamati principi di diritto affermati dalla consolidata giurisprudenza;

– ha, quindi, doverosamente dichiarato la decadenza dal servizio del ricorrente, avendo posto in essere tutte le iniziative volte a rimuovere le eventuali situazioni di incertezza circa la volontà del dipendente di riprendere servizio.

Una volta che ricorrono i presupposti stabiliti dalla disposizione contenuta nell’art. 127 lett. c) t.u. imp. civ. Stato ( d.P.R. n. 3 del 1957), la pronunzia della decadenza dall’impiego costituisce un atto dovuto senza che siano possibili tardive giustificazioni del ritardo nella dovuta prestazione della propria opera (Consiglio Stato, sez. VI, 08 novembre 2005, n. 6224)

Quanto alle condizioni di salute addotte dal ricorrente, è appena il caso di ricordare che la Giurisprudenza, con orientamento che il Collegio condivide, ritiene legittima la decadenza dall’impiego ai sensi dell’art. 127 lett. e) t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 di un impiegato che si sia allontanato dal servizio senza giustificazione, ed a nulla rileva che egli abbia presentato domanda di aspettativa per salute, con ritardo, quando l’amministrazione non era più in grado di accertare l’effettivo stato di salute di lui, al tempo dell’ assenza ingiustificata (T.A.R. Catania, sent. n. 1145/2009 cit.e giur. ivi richiam.).

Con tale comportamento, infatti, il dipendente risulta essersi sottratto allo specifico dovere di consentire all’Amm.ne di promuovere gli accertamenti sanitari ritenuti necessari, con l’ulteriore conseguenza che deve ritenersi corretto e legittimo che l’amministrazione interpreti il comportamento del dipendente quale volontà di sottrarsi ai doveri di ufficio.

Ne consegue quindi l’infondatezza delle censure.

II. Con il ricorso per motivi aggiunti il ricorrente impugna il decreto di rigetto dell’istanza di annullamento del provvedimento di decadenza e riammissione in servizio.

Il Collegio ritiene di condividere e riaffermare l’orientamento espresso dalla Sezione in sede cautelare.

Quanto al rigetto dell’istanza di annullamento del provvedimento di decadenza, non sussisteva l’obbligo dell’Amministrazione di annullare in autotutela l’atto di decadenza dal servizio, dal momento che i provvedimenti di autotutela sono espressione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale della p.a. che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione della quale essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile (Consiglio Stato, sez. IV, 20 luglio 2005, n. 3909).

Peraltro, come detto, l’atto di decadenza si sottrae alle censure del ricorrente.

Quanto al diniego di riammissione in servizio, lo stesso appare adeguatamente motivato con riferimento alla indisponibilità di posti in conseguenza del "blocco" delle assunzioni che è derogabile soltanto a seguito di autorizzazione generale del Presidente del Consiglio dei Ministri.

L’ordinamento del personale della Polizia di Stato – dettato dal d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335 – disciplina l’istituto della riammissione in servizio con rinvio all’art. 132, T.U. degli impiegati civili, approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3. Questa disposizione indica le ipotesi nelle quali è consentita la riammissione in servizio, il cui presupposto è la vacanza del posto.

In coerenza, la Giurisprudenza ha precisato che, nel sistema della legge, la riammissione in servizio è subordinata, nella sua operatività, alla vacanza del posto in organico (Consiglio Stato, sez. VI, 12 novembre 2002, n. 6245) e che, ciò che rileva, ai fini dell’applicazione delle norme che (di volta in volta) regolano il blocco delle assunzioni, è che nessun soggetto può essere immesso nei ruoli dell’amministrazione durante la pendenza del blocco. E non può negarsi, sotto tale profilo, che anche la riammissione in servizio determina la costituzione di un rapporto di lavoro che a quel momento non esiste e quindi di un nuovo rapporto cui osta il disposto blocco delle assunzioni (Consiglio Stato, sez. IV, 05 agosto 2005, n. 4200).

Ne consegue pertanto l’infondatezza anche dei motivi aggiunti.

III. Conclusivamente il ricorso dev’essere respinto.

Ragioni di equità, avuto riguardo alla natura della controversia, inducono il Collegio a disporre l’integrale compensazione di spese ed onorari di giudizio
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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