T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, Sent., 07-04-2011, n. 580 Costruzioni abusive Demolizione di costruzioni abusive Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

uolo;
Svolgimento del processo

A. La società S. a r.l. produce sottotegole bituminose, sintetici traspiranti e supporti flessibili cartacei o in fibra di vetro per pannelli. La sede produttiva e commerciale della detta società è in Comune di Carbonera, via Spercenigo n. 5, in un’area classificata dal vigente P.R.G. come Z.T.O. D.

B. A seguito dell’incremento di produttività si è reso necessario creare nuovi articoli merceologici con la conseguente installazione di due nuove linee di produzione nell’area di proprietà della società ricorrente, attigua allo stabilimento industriale, ma ricadente in Comune di San Biagio di Callalta e classificata dal relativo P.R.G. come Z.T.O. E2. Quindi, avendo la necessità di proteggere dagli agenti atmosferici i prodotti bituminosi e sintetici, la S. s.r.l. montava nella detta area una tensostruttura in PVC, nonché realizzava ulteriori opere, senza richiedere alcuna previa autorizzazione.

C. Il 28.5.2009 la Polizia municipale eseguiva un sopralluogo presso la predetta area e il successivo 1.6.2009 il Comune resistente comunicava alla ricorrente l’avvio del procedimento volto a sanzionare l’esecuzione abusiva dei manufatti riscontrati sull’area a destinazione agricola, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001.

D. Il 29.6.2009 la società ricorrente presentava le proprie osservazioni evidenziando le ragioni produttive e di sicurezza dei luoghi di lavoro che l’avevano indotta a realizzare le opere oggetto del procedimento sanzionatorio. Ciononostante il 29.7.2009 con l’ordinanza n. 63 il Comune di San Biagio di Callalta ingiungeva la demolizione delle opere abusivamente realizzate, individuate nel corso del sopralluogo del 28.5.2009.

E. La società ricorrente deduce l’illegittimità dell’ordinanza demolitoria:

1) per violazione degli artt. 3, 10 e 22 del d.P.R. n. 380/2001 giacché erroneamente il Comune resistente ha qualificato come nuova costruzione tutte le opere realizzate dalla S. s.r.l. per lo stoccaggio provvisorio delle materie prime necessarie alla produzione, mentre le dette opere sia per la loro natura pertinenziale che per la loro finalità di sopperire a esigenze temporanee non dovevano essere ricomprese sotto la disciplina del citato art. 3. Secondo la società ricorrente, inoltre, il Comune non ha tenuto nel debito conto la circostanza che le opere abusive, oggetto di contestazione, hanno un volume e una superficie inferiore al 20% del volume e della superficie dello stabilimento produttivo regolarmente edificato e che, dunque, anche sotto detto profilo sono qualificabili come pertinenze e, in quanto tali, escluse dall’applicazione del rammentato art. 3;

2) per violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, nonché per eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione giacché il Comune resistente ha omesso di specificare le ragioni che lo hanno indotto a qualificare le opere oggetto di demolizione come nuove costruzioni, limitandosi a esprimere un giudizio complessivo e indifferenziato sulle stesse che ha impedito alla società ricorrente di evincere le ragioni di contrasto con la normativa edilizia al fine di eliminarle;

3) per violazione degli artt. 3, comma 1, e 10, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001 in quanto, seppure si volesse ipotizzare che il provvedimento impugnato si fonda sulla necessità del previo rilascio del permesso di costruire per la realizzazione delle opere oggetto di contestazione, dovrebbe allora dedursi l’illegittimità dell’art. 4, comma 1, lettera v) del Regolamento edilizio comunale per contrato con l’art. 3 del T.U. Edilizia laddove assoggetta al rilascio del permesso di costruire anche le strutture accessorie o pertinenziali, come pergolati o gazebi, qualora insistano in zone agricole o sottoposte a tutela ambientale;

4) per violazione degli artt. 31 e 37 del d.P.R. n. 380/2001 giacché non può trovare applicazione in relazione agli interventi eseguiti dalla ricorrente, assentibili previa presentazione di una D.I.A., la sanzione demolitoria, ma solo la sanzione pecuniaria.

Sulla scorta delle predette censure la società ricorrente ha, inoltre, chiesto la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni subiti a causa del predetto provvedimento illegittimo.

F. Il Comune di San Biagio di Callalta e il responsabile del Settore Edilizia Privata, ritualmente costituiti in giudizio, hanno concluso per la reiezione del ricorso evidenziando come, dalla documentazione prodotta, si evinca che la società ricorrente ha realizzato in zona agricola, in assenza di qualsiasi titolo edificatorio, strutture di dimensioni e volumetria pari a un’estensione di circa 18.000 mq., dotate di autonomi impianti e sottoservizi, nonché determinanti un notevole impatto sul territorio.

G. La Regione Veneto, ritualmente costituita in giudizio, ha evidenziato l’assenza di censure rivolte nei confronti di provvedimenti di propria competenza e la conseguente inammissibilità e/o infondatezza della domanda risarcitoria proposta nei suoi confronti.

H. Con successivo autonomo ricorso, recante il numero R.G. n. 412/2010, la società ricorrente ha impugnato la nota prot. n. 1977 dell’1.2.2010 con la quale il Responsabile dell’Area Pianificazione e Gestione del Territorio del Comune resistente le ha comunicato che la determinazione relativa alla proposta di accordo ex art. 6 della L.R. n.11/2004, depositata il 18.11.2009 e volta alla riclassificazione dell’area di sua proprietà come Z.T.O. D1/30, è subordinata alla previa definizione del procedimento di demolizione di cui all’ordinanza n. 63 del 29.7.2009. In via subordinata la società ricorrente ha, altresì, chiesto l’accertamento del silenzio inadempimento del Comune resistente sull’istanza de qua con conseguente ordine all’Amministrazione di provvedere in modo espresso.

I. La S. s.r.l. deduce l’illegittimità della nota impugnata:

1) per violazione dell’art. 6 della L.R. n. 11/2004, dell’art. 11 della legge n. 241/1990, nonché per eccesso di potere per carenza e perplessità della motivazione giacché illegittimamente il Comune subordina l’esame della proposta di accordo avanzata dalla ricorrente alla definizione del procedimento di demolizione delle opere abusive, condizionandone l’esito ad un evento estraneo e indipendente rispetto alla funzione e al contenuto del procedimento di approvazione dell’accordo ex art. 6 citato;

2) per violazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990 in quanto la mancata determinazione dell’Amministrazione comunale sulla proposta di accordo ex art. 6 della L.R. n. 11/2004 equivale ad un silenzio inadempimento, tanto è vero che in via subordinata la ricorrente ne chiede l’accertamento con conseguente ordine al Comune di provvedere in maniera espressa sulla stessa;

3) per incompetenza e violazione degli artt. 6 e 14 della L.R. n. 11/2004 giacché il Dirigente non è competente a pronunciarsi sugli accordi ex art. 6 della L.R. n. 11/2004;

4) per eccesso di potere per illogicità manifesta, per disparità di trattamento, per carenza dei presupposti, per violazione dell’art. 6 della L.R. n. 11/2004 e dell’art. 11 della legge n. 241/1990 in quanto sussiste un rilevante interesse pubblico all’approvazione del rammentato accordo ex art. 6 e appare illogico subordinarne l’esame alla definizione della procedura demolitoria che, d’altro canto, sarebbe bloccata proprio dalla modifica della destinazione urbanistica dell’area sulla quale insistono le opere abusive;

5) per violazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., violazione del principio di buona fede e di buon andamento dell’Amministrazione poiché lo stesso Comune resistente aveva individuato e indicato alla società ricorrente le opere da realizzare a cura e spese della S. s.r.l., quale beneficio pubblico per l’approvazione dell’accordo ex art. 6 della L.R. n. 11/2004.

L. Il Comune di San Biagio di Callalta e il Responsabile dell’Area Pianificazione e Gestione del Territorio, ritualmente costituiti in giudizio, hanno eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità del ricorso in considerazione della mancanza di carattere provvedi mentale della nota impugnata, concludendo nel merito per la reiezione del ricorso in considerazione della natura altamente discrezionale delle valutazioni relative alla conclusione degli accordi e della finalità esclusivamente di tutela degli interessi privati, sottesa alla proposta avanzata dalla società ricorrente.

M. Con le ordinanze nn. 274 e 280 del 5.5.2010 il Collegio respingeva le domande di misure cautelari ritenendo non sussistente in entrambi i ricorsi il requisito del fumus boni iuris. Alla detta udienza la società ricorrente rinunciava alla domanda di risarcimento danni proposta nei confronti della Regione Veneto.

N. Con le ordinanze nn. 3688 e 3689 del 28.7.2010 il Consiglio di Stato ha accolto l’appello avverso i predetti provvedimenti cautelari ritenendo opportuna la previa pronuncia del Comune sulla proposta di accordo ex art. 6 della L.R. n. 11/2004 rispetto all’esecuzione dell’ordinanza di demolizione.

O. Alla pubblica udienza del 9.2.2011 entrambe le cause sono state trattenute in decisione.
Motivi della decisione

1.In via preliminare il Collegio dispone la riunione dei ricorsi, stante la loro evidente connessione soggettiva e oggettiva.

2. E" opportuno ripercorrere per punti salienti il susseguirsi e la tempistica degli atti oggetto di impugnazione.

3. Il 28.5.2009 i tecnici del Servizio Edilizia del Comune di San Biagio di Callalta, unitamente alla Polizia municipale, eseguivano un sopralluogo presso l’area di proprietà della S. s.r.l. accertando la realizzazione, in assenza di alcun titolo abilitativo:

– di una tendostruttura modulare in acciaio con copertura e tamponatura laterale in telo di PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml. 36,00, ad uso magazzino per lo stoccaggio dei materiali di produzione;

– di una struttura in acciaio, tipo tettoia, con copertura in lamiera ondulata, parzialmente tamponata con telo in PVC delle dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00, ad uso deposito;

– della pavimentazione di un’area attrezzata (con sottoservizi) di circa 11.000,00 mq., realizzata parte in conglomerato bituminoso e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo betonella.

I tecnici comunali accertavano, altresì, l’utilizzo dell’area esterna alle strutture come deposito del materiale di produzione.

3.1. Con nota prot. 10871 dell’1.6.2009 il Comune resistente ha, quindi, comunicato alla società ricorrente l’avvio del procedimento preordinato all’applicazione delle sanzioni previste per gli abusi accertati, trattandosi di "interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, in quanto configurano la fattispecie di nuova costruzione come definita dall’art. 3 del medesimo d.P.R., avendo provocato una trasformazione permanente del suolo agricolo".

3.2. Con l’ordinanza n. 63 del 29.7.2009,poi, il Comune resistente – dopo avere controdedotto alle osservazioni della società ricorrente evidenziando che sia le esigenze di produttività che di sicurezza sul lavoro, alle quali si era inteso sopperire attraverso la realizzazione delle opere abusive, apparivano frutto della scelta imprenditoriale di installare due nuove linee di produzione – ingiungeva alla S. s.r.l. di demolire entro il termine di 90 giorni dalla notifica (avvenuta il 30.7.2009) le dette opere, avvertendola che in caso di inottemperanza il bene e l’area di sedime, indicate nella planimetria allegata, sarebbero state acquisite gratuitamente al patrimonio del Comune.

3.3. Con il ricorso recante il numero R.G. 1935/2009, notificato il 30.9.2009, la S. s.r.l. ha impugnato l’ordinanza demolitoria in epigrafe senza chiederne, tuttavia, in sede cautelare, la sospensione.

3.4. Con nota del 18.11.2009 la società ricorrente ha, poi, presentato una richiesta di ampliamento della zona produttiva comparto D1/30, ai sensi dell’art. 6 della L.R. n. 11/2004. Dopo aver premesso di avere utilizzato e esaurito l’intera capacità edificatoria del lotto sul quale sorge il suo stabilimento industriale, la società ricorrente ha chiesto l’ampliamento del comparto D1/30 sui mappali siti in Comune di San Biagio di Callalta al fine di "regolarizzare la situazione, sanando i volumi esistenti". Nella detta proposta di accordo la società ricorrente si è, infine, impegnata a progettare e finanziare l’intervento di allargamento di via Canova con contestuale realizzazione di una pista ciclabile, per un costo complessivo di circa euro 715.000,00.

3.5. A fronte della predetta proposta il Responsabile dell’Area Pianificazione e Gestione del Territorio ha comunicato alla società ricorrente che "qualsiasi determinazione in merito alla stessa rimane subordinata alla definizione del procedimento di demolizione n. 63, prot. 15115, del 29.7.2009" (cfr. nota prot. n. 1977 dell’1.2.2010).

3.6. Avverso la predetta nota la S. s.r.l. ha proposto il ricorso recante il numero R.G. 412/2010, notificato il 5.3.2010, senza alcuna istanza cautelare.

3.7. Con nota del 22.2.2010 il Comune di San Biagio ha notiziato la S. s.r.l. che avrebbe effettuato un sopralluogo presso l’area di proprietà della stessa, al fine di verificare l’ottemperanza all’ordinanza n. 63 del 29.7.2009, essendo decorso il termine di 90 giorni assegnato nel detto provvedimento.

3.8. Quindi, con atto, notificato l’11.3.2010, la società ricorrente ha chiesto al T.A.R. la sospensione dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati con i ricorsi R.G. 1935/2009 e 412/2010, istanze respinte con le ordinanze nn. 274 e 280 del 5.5.2010.

3.9. Il 15.3.2010 gli agenti della Polizia Municipale hanno verificato l’inottemperanza all’ordinanza n. 63/2009 e, sulla scorta delle risultanze del predetto sopralluogo, il Comune di San Biagio di Callalta ha emesso il provvedimento prot. n. 13362 dell’1.7.2010 con il quale ha dato atto dell’inottemperanza all’ordinanza demolitoria n. 63/2009, avvisando la S. s.r.l. che avrebbe proceduto, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, all’immissione in possesso nell’area di sedime e in quella pertinenziale, come specificamente individuate.

3.10. Avverso tale ultimo provvedimento la S. s.r.l. ha proposto il ricorso recante il numero R.G. 1827/2010, depositato presso questo Tribunale il 28.10.2010.

4. Il Collegio, innanzitutto, ritiene di dover ribadire la ragione per cui ha respinto la domanda di rinvio della decisione delle presenti cause per consentirne la riunione con il ricorso recante il numero R.G. 1827/2010 che ha ad oggetto il provvedimento di acquisizione gratuita dell’area di sedime e dei beni della società ricorrente, a seguito dell’accertamento dell’inottemperanza all’ordinanza demolitoria n. 63/2009: la ragione è, quindi, che i ricorsi in epigrafe (il numero R.G. 1935/2009, avente ad oggetto l’ordinanza n. 63/2009, e quello recante il numero R.G. n. 412/2010, relativo all’istanza di accordo ex art. 6 della L.R. n. 11/2004) sono pregiudiziali rispetto all’atto impugnato con il ricorso R.G. 1827/2010.

Quest’ultimo seguirà quindi la sorte dei primi, e non viceversa.

5. Passando, ora, all’esame del ricorso n. 1935/2009 il Collegio ne rileva l’infondatezza per le ragioni di seguito esposte.

6. E" pacifico, in quanto non contestato dalla società ricorrente, che questa abbia eseguito le opere accertate nel corso del sopralluogo del 28.5.2009, in assenza di qualsiasi titolo edificatorio, così come è indubbio che l’attuale destinazione urbanistica dell’area sulla quale le predette opere insistono sia agricola (E2).

7. Orbene, con il primo, il secondo e il quarto motivo, che possono essere trattati congiuntamente in considerazione della loro stretta connessione, la società ricorrente lamenta l’illegittimità dell’ordinanza impugnata per contrasto con gli articoli 3, 10, 22, 31 e 37 del d.P.R. n. 380/2001 giacché le opere realizzate non avrebbero dovuto essere qualificate come nuove costruzioni, ma come pertinenze dello stabilimento industriale, funzionalmente volte a soddisfare esigenze di carattere temporaneo della S. s.r.l. e, tali da poter essere realizzate previa presentazione di una mera D.I.A., sia in base alla normativa nazionale che regionale, con conseguente inapplicabilità della sanzione demolitoria.

7.1. La censura è infondata e va disattesa per le ragioni che seguono..

7.2. Va, innanzitutto, rilevato che la nozione di pertinenza edilizia può essere estesa fino a comprendere elementi essenziali, e non solo di carattere accessorio, dell’impianto industriale.

Come osserva la giurisprudenza, una pertinenza, per poter essere definita tale, "deve avere una propria individualità fisica ed una propria conformazione strutturale, non essere parte integrante o costitutiva di altro fabbricato, ed inoltre essere preordinata ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale, funzionalmente ed oggettivamente inserita al servizio dello stesso, sfornita di un autonomo valore di mercato, non valutabile in termini di cubatura o comunque dotata di un volume minimo tale da non consentire, in relazione anche alle caratteristiche dell’edificio principale, una sua destinazione autonoma e diversa da quella a servizio dell’immobile cui accede" (cfr. Cons. Stato, IV, 5.3.2010, n. 1277). Ciò che rileva è il rapporto con la costruzione preesistente che deve essere, quindi, non di integrazione ma di asservimento, per cui deve renderne più agevole e funzionale l’uso, ma non divenire parte essenziale dello stesso (cfr. Tar Veneto, II, 7.3.2011, n. 374; Tar Campania, Napoli, II, 26.9.2008, n. 11309).

7.3. Come ben si evince dagli atti e dalla documentazione fotografica, nella specie le opere da demolire sono manufatti assolutamente autonomi, trattandosi di fabbricati destinati al deposito e allo stoccaggio di materie prime e di prodotti finiti, conseguenti all’installazione di due nuove linee di produzione all’interno dello stabilimento industriale esistente. Ne discende che il concetto di pertinenza, come pure quello di impianto tecnologico al servizio di un edificio o di una attrezzatura esistente, appare allora non applicabile alla fattispecie in esame, mancando la relazione di asservimento ed essendo le opere da abbattere essenziali allo svolgimento dell’attività in questione.

7.4. Peraltro il carattere di mera " pertinenza " delle opere in questione che, in quanto tali, sarebbero state soggette a semplice autorizzazione edilizia, la mancanza della quale poteva comportare soltanto la sanzione pecuniaria, va escluso anche per un’ulteriore ragione. Secondo la costante giurisprudenza amministrativa, dalla quale il Collegio non ravvisa valide ragioni per discostarsi, in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo i manufatti di dimensioni modeste e ridotte, inidonei, quindi, ad alterare in modo significativo l’assetto del territorio (cfr. Cons. Stato, IV, 13.1.2010, n. 41; Cons. Stato, IV, 15.9.2009, n. 5509). Nel caso di specie, invece, le opere abusive per dimensioni e per tipologia (una tendo – struttura modulare in acciaio con copertura e tamponatura laterale in telo di PVC delle dimensioni di ml. 94,00 x ml. 36,00; una struttura in acciaio tipo tettoia con copertura in lamiera ondulata parzialmente tamponata con telo in PVC delle dimensioni di circa ml. 6,50 x ml. 106,00; la pavimentazione di un’area attrezzata (con sottoservizi) di circa 11.000,00 mq., realizzata parte in conglomerato bituminoso e parte in blocchetti di calcestruzzo tipo betonella), nonché per l’indubbio impatto sul territorio, non possono rientrare nella tipologia delle c.d. pertinenze (cfr. TAR Veneto, II, 27.11.2008, n. 3703).

7.5. Tale conclusione determina, altresì, l’irrilevanza delle osservazioni relative al fatto che il volume e la superficie delle opere realizzate siano inferiori al 20% del volume e della superficie dello stabilimento produttivo regolarmente edificato, giacché l’applicazione dell’art. 3, comma 1, lettera e. 6) presuppone la qualificazione dell’intervento come pertinenziale.

7.6. Con riguardo, infine, alla dedotta provvisorietà delle opere realizzate dalla S.. s.r.l., il Collegio rileva che la precarietà di un manufatto, al fine di escludere la necessità del rilascio di un titolo edilizio, non va desunta dalla facile e rapida rimuovibilità dell’opera, ovvero dal tipo più o meno fisso del suo ancoraggio al suolo, ma dal fatto che la costruzione appaia destinata a soddisfare una necessità contingente e non prolungata nel tempo (cfr. Tar Campania, Napoli, IV, 22.3.2007, n. 2725).

7.7. Al riguardo merita, allora, di essere evidenziato che dalle stesse osservazioni presentate dalla società ricorrente, a seguito della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, emerge la non precarietà e non provvisorietà delle opere realizzate in quanto funzionali all’avvenuta installazione di due nuove linee di produzione, resesi necessarie per mantenere l’incremento produttivo determinatosi a partire dal 2000 e per creare ulteriori prodotti a corredo di quelli già realizzati, onde competere con le altre società del settore anche in campo internazionale. La stessa società ricorrente, del resto, evidenzia la funzionalità del deposito di materie prime con il metodo produttivo che le pone a monte del processo di lavorazione, determinando un risparmio di tempo nella lavorazione del prodotto.

7.8. Alla luce delle richiamate argomentazioni deve, pertanto, escludersi sia la natura pertinenziale sia la natura precaria delle opere realizzate con conseguente sussumibilità delle stesse per dimensioni e tipologia nel disposto dell’art. 3, comma 1 lettera e), del citato d.P.R. n. 380/2001, implicando le stesse una trasformazione urbanistica ed edilizia permanente del territorio mediante l’esecuzione di lavori di installazione di manufatti, in parte prefabbricati, destinati a deposito di materiali e non diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee. Da qui anche la legittimità dell’irrogazione della sanzione demolitoria e non di quella meramente pecuniaria.

8. Deve, infine, essere disatteso anche il terzo motivo con il quale la società ricorrente lamenta l’illegittimità dell’art. 4, comma 1, lettera v) del Regolamento edilizio comunale per contrasto con l’art. 3 del T.U. Edilizia laddove assoggetta al rilascio del permesso di costruire anche le strutture accessorie o pertinenziali, come pergolati o gazebi, qualora insistano in zone agricole o sottoposte a tutela ambientale. E, infatti, dalle considerazioni esposte in relazione agli altri motivi di ricorso, emerge evidente la non qualificabilità come pertinenze delle opere eseguite dalla società ricorrente, con conseguente irrilevanza della richiamata disposizione regolamentare, peraltro mai menzionata dall’Amministrazione comunale nei provvedimenti gravati.

9. Per le suesposte ragioni deve, pertanto, essere respinto il ricorso recante il numero R.G. n. 1935/2009.

10. Occorre ora passare all’esame del ricorso recante il numero R.G. 412/2010 con il quale la società ricorrente impugna la nota prot. n. 1977 dell’1.2.2010 del Responsabile dell’Area Pianificazione e Gestione del Territorio con la quale si comunica che qualsiasi determinazione in merito alla proposta di accordo ex art. 6 L.R. n. 11/2004 "rimane subordinata alla definizione del procedimento di demolizione n. 63, prot. 15115, del 29.7.2009".

11. Il Collegio ritiene di non poter condividere l’eccezione preliminare di inammissibilità per mancanza di natura provvedimentale dell’atto impugnato, sollevata dall’Amministrazione comunale, giacché comunque la nota de qua rappresenta un arresto nell’iter di valutazione della proposta di accordo ex art. 6 della L.R. n. 11/2004 e, in quanto tale, ha carattere di lesività per la società ricorrente.

11.1. Merita, però, di essere evidenziato che la predetta nota non costituisce un diniego, né comunque implica alcuna decisione in ordine alla proposta di accordo ex art. 6 avanzata dalla società ricorrente, e, quindi, non sussiste né la lamentata violazione delle competenze a decidere sulla medesima, affermata dalla S. s.r.l. nel terzo motivo di ricorso, né alcuna inerzia ingiustificata della P.A..

11.2. Alla luce delle predette considerazioni vanno, quindi, disattesi sia il secondo che il terzo motivo di ricorso.

12. Con ulteriore motivo la società ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione comunale, prima di proseguire l’iter relativo alla demolizione delle opere abusivamente realizzate, non si sia pronunciata sull’istanza di accordo, formulata ex art. 6 della L.R. n. 11/2004, dalla stessa S..

E, infatti, la proposta di accordo da quella formulata ha ad oggetto, da un lato, l’ampliamento del comparto D1/30 ai mappali siti in Comune di San Biagio di Callalta, sui quali sono state realizzate le opere oggetto dell’ordinanza demolitoria n. 63/2009, al fine di "regolarizzare la situazione sanando i volumi esistenti", e dall’altro, l’impegno della detta società, al fine di perequare i benefici derivanti dalla variante urbanistica, a progettare e finanziare l’intervento di allargamento di via Canova con contestuale realizzazione di una pista ciclabile. Tale modus procedendi della P.A., secondo la prospettazione della società ricorrente, implicherebbe la violazione dell’art. 6 della L.R. n. 11/2004, dell’art. 11 della legge n. 241/1990, nonché la violazione dei principi di buon andamento dell’amministrazione giacché se la P.A. avesse previamente valutato la proposta di accordo, ciò avrebbe determinato la possibilità per la S. s.r.l. di chiedere la sanatoria delle opere abusivamente realizzate in zona a destinazione agricola che, allo stato non sono suscettibili di formare oggetto di una simile domanda.

12. Ad avviso del Collegio la ricostruzione operata dalla società ricorrente non è condivisibile. sia sotto il profilo giuridico che sotto il profilo fattuale e, più specificamente sotto quello temporale.

13.1. Dal punto di vista strettamente giuridico il Collegio ritiene opportuno richiamare testualmente il contenuto del più volte citato art. 6 della L.R. n. 11/2004, ai sensi del quale: "1. I comuni, le province e la Regione, nei limiti delle competenze di cui alla presente legge, possono concludere accordi con soggetti privati per assumere nella pianificazione proposte di progetti ed iniziative di rilevante interesse pubblico. 2. Gli accordi di cui al comma 1 sono finalizzati alla determinazione di alcune previsioni del contenuto discrezionale degli atti di pianificazione territoriale ed urbanistica, nel rispetto della legislazione e della pianificazione sovraordinata, senza pregiudizio dei diritti dei terzi. 3. L’accordo costituisce parte integrante dello strumento di pianificazione cui accede ed è soggetto alle medesime forme di pubblicità e di partecipazione. ".

13.2. Orbene, anche a voler prescindere dalla natura eminentemente discrezionale dei predetti accordi, occorre evidenziare che nel caso di specie il Comune resistente, con la nota impugnata, non ha escluso che la proposta di variante fosse suscettibile di valutazione, ma ha solo affermato, ribadendolo nelle proprie difese, che attraverso la proposta di accordo ex art. 6 della L.R. n. 11/2004 non può essere perseguito l’interesse privato teso a sanare, tramite una trasformazione ad hoc di profilo urbanistico della zona agricola in zona industriale, alcuni abusi edilizi non altrimenti obliterabili.

13.3. Del resto, ad avviso del Collegio, anche qualora tali abusi fossero sanabili, la sanatoria sarebbe dovuta intervenire all’esito di un procedimento diverso da quello posto in essere dalla parte ricorrente. In tal senso il Collegio ritiene condivisibile la conclusione alla quale è pervenuto altro giudice esaminando un caso analogo a quello oggetto di causa. I giudici hanno, infatti, ritenuto, nella specie, che "l’utilizzo del procedimento di variante, qualora desse risultanze favorevoli finirebbe col configurare uno sviamento di potere a favore di soli interessi privati. Sicché è altra la via per recuperare assensi di conformità urbanistica e edilizia." (cfr. TAR Lombardia, Brescia, 14.5.2010, n. 1729).

13.4. Merita, inoltre, di essere evidenziato che nel caso in esame l’ordinanza demolitoria è stata notificata il 30.7.2009 laddove la proposta di accordo ex art. 6 della L.R. n.11/2004 per l’ampliamento del comparto D1/30 ai mappali di proprietà della società ricorrente, siti in Comune di San Biagio di Callalta, risulta inoltrata al Comune il 18.11.2009, vale a dire ben oltre il termine di 90 giorni assegnato per l’ottemperanza alle sanzioni irrogate. E non solo, poichè nel predetto termine non è stata presentata né domanda di sanatoria, né istanza di sospensione dell’efficacia dell’ordinanza n. 63/2009, nel giudizio pendente dinanzi al T.A.R..

Ne discende, pertanto, che anche sotto il profilo cronologico non è condivisibile la prospettazione della società ricorrente, condivisa dal Consiglio di Stato in sede di appello cautelare, secondo la quale sarebbe stato opportuno che il Comune resistente si pronunciasse, prima di procedere alla demolizione delle opere abusive, sulla proposta di accordo avanzata dalla S. s.r.l..

Proposta che, come già sopra evidenziato, è intervenuta quando era ampiamente spirato il termine per l’ottemperanza all’ordinanza demolitoria – peraltro non sospesa in assenza di apposita istanza – e quindi, quando si erano già verificati tutti gli effetti ad essa correlati in base al T.U. 380/2001.

13.5. Né, infine, è configurabile, come pure si sostiene, un’aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria, posto che di fatto, nella specie, si può configurare eventualmente solo un’aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspiri ad una utilizzazione più proficua della sua proprietà. Del resto è noto che la zona agricola possiede anche una valenza conservativa dei valori naturalistici, rappresentando il c.d. polmone dell’insediamento urbano e assumendo per tale via la funzione decongestionante e di contenimento dell’espansione dell’aggregato residenziale (cfr. Cons. Stato, IV, n. 245/ 2000; Cons. Stato, IV, n. 1943/1999; Cons. Stato, IV, n. 431/1998).

14. Le ragioni sopra evidenziate valgono infine, a giudizio del Collegio, a confutare anche le residue censure che investono la ritualità del procedimento seguito dall’Amministrazione resistente e dunque a giustificare la reiezione di entrambi i ricorsi, nonché della consequenziale domanda risarcitoria.

15. Quanto alle spese di lite, appaiono sussistere, nella specie, giusti motivi per disporne la compensazione tra la società ricorrente e la Regione Veneto, anche in considerazione della rinuncia da parte della S. s.r.l. alla domanda risarcitoria avanzata nei confronti dell’Amministrazione regionale sin dall’udienza cautelare; seguono, invece, come d’ordine, la soccombenza per quanto riguarda le altre parti del giudizio,e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi, come in epigrafe proposti, li respinge.

Condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dei resistenti che liquida in complessivi euro 6.000,00 (seimila/00), in ragione di euro 2.000,00 (duemila/00) per ciascuna parte, oltre IVA e CPA. Compensa le spese di lite tra la società ricorrente e la Regione Veneto.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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