Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto n. 692/2009

Avviso di Deposito

del

a norma dell’art. 55

della L. 27 aprile

1982 n. 186

Il Direttore di Sezione

Giuseppe Di Nunzio Presidente

Angelo Gabbricci Consigliere, relatore

Marco Morgantini Primo Referendario

ha pronunciato, nella forma semplificata di cui agli artt. 21 e 26 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 692/2009, proposto da Enzo ed Ines Ranzato, rappresentati e difesi dall’avv. M. Aprile, con domicilio presso la segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924 n. 1054;

contro

il Comune di Chioggia in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. ti Papa e Perini, con domicilio presso la segreteria del T.A.R., ai sensi dell’art. 35 del R.D. 26.6.1924 n. 1054;

e nei confronti

di Valeria Sambo, rappresentata e difesa dagli avv. ti Di Blasi e Cazzagon, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Mestre, Piazza Ferretto 22;

per l’annullamento del permesso di costruire 14 ottobre 2008, n. 365, rilasciato a Valeria Sambo dal Comune di Chioggia.

Visto il ricorso, notificato il 17 febbraio 2009 e depositato presso la Segreteria il 12 marzo 2009, con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Chioggia e controinteressata;

visti gli atti tutti di causa;

uditi nell’udienza camerale del 1 aprile 2009 (relatore il consigliere avv. A. Gabbricci), l’avv. Aprile per i ricorrenti, l’avv. Papa per l’Amministrazione resistente e gli avv. ti Di Blasi e Cazzagon per la controinteressata;

considerato

che, nel corso dell’udienza camerale fissata nel giudizio in epigrafe, il Presidente del Collegio ha comunicato alle parti presenti come, all’esito, avrebbe potuto essere emessa decisione in forma semplificata, ex artt. 21, XI comma, e 26, IV e V comma, della l. 6 dicembre 1971, n. 1034, e queste non hanno espresso rilievi o riserve;

che sussistono effettivamente i presupposti per pronunciare tale sentenza nei termini come di seguito esposti.

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

1.1. Secondo il rogito notarile d’acquisto, i ricorrenti Ranzato sono proprietari dei “piani terra e primo … vani 2,5… Il tutto con la comproprietà di quanto comune per legge” d’un edificio di quattro piani in Chioggia (Venezia), calle Doro 650.

1.2. Valeria Sambo, a sua volta, dal 2005 è proprietaria nello stesso stabile dell’appartamento “al piano terzo, composto da 2,5 vani catastali, con annessa soffitta al piano quarto, confinante a nord e a ovest con vano scale e proprietà di terzi, a sud con calle Doro”.

1.3. Il quarto piano, assai prima di quest’ultima cessione, era composto, anzitutto, da una stanza indipendente con finestra, cui si perveniva attraverso una ripida scaletta, posta sull’ultimo pianerottolo della scala condominiale; la stessa scala condominiale , con un’ultima rampa, conduceva al sottotetto, il quale occupava la parte restante dello stesso quarto piano, d’altezza variabile, ma non comunicante con la detta stanza indipendente, posta allo stesso livello.

1.3. Per quanto si desume dalla documentazione in atti, prima della vendita alla Sambo, la scala condominiale tra terzo e quarto piano fu demolita e coperto il vano scale; nell’appartamento al terzo piano fu realizzata una scala a chiocciola di collegamento con il quarto, dove, sulla superficie realizzata con la chiusura del vano scale, venne creato un passaggio alla stanza autonoma, che fu trasformata in w.c.: tutti interventi, questi, assolutamente abusivi.

2.1. La Sambo, nel marzo 2006 presentò al Comune una domanda diretta ad ottenere un permesso per opere di manutenzione straordinaria e sanatoria per opere interne: era prevista l’eliminazione della scala a chiocciola, il ripristino del vano scale e del relativo accesso al quarto piano, dove sarebbe stato abbattuto il muro che separava il sottotetto dalla stanza, di cui veniva meno l’utilizzo per w.c..

2.2. Il Comune approvò il progetto, rilasciando la licenza di costruire 14 ottobre 2008, n. 365, che è stata però impugnata dai Ranzato con il ricorso in esame.

2.3. Essi muovono invero dal presupposto che la stanza indipendente avrebbe costituito, in origine, parte comune del fabbricato, cui sarebbe stata data “unilateralmente e contro la volontà dei ricorrenti” destinazione a servizio.

Con il nuovo intervento, e l’abbattimento delle pareti, lo spazio de quo verrebbe incorporato nella proprietà esclusiva Sambo, con evidente pregiudizio per i condomini Ranzato.

2.4. La richiamata situazione si ripercuoterebbe “sulla legittimità del provvedimento impugnato”, asseritamente viziato per violazione di legge (non individuata) ed eccesso di potere.

Il Comune di Chioggia “avrebbe dovuto verificare l’esistenza della legittimazione della ricorrente il P.d.C. [permesso di costruzione] a compiere gli interventi”: e se “le verifiche si fossero compiute si sarebbe verificato che la sig. ra Sambo non aveva titolo per chiedere l’esecuzione di interventi che coinvolgono beni di cui gli odierni ricorrenti sono comproprietari”, e per i quali i Ranzano non avevano prestato il loro consenso.

2.5. Si sono costituiti in giudizio sia il Comune che la controinteressata, concludendo entrambi per la reiezione.

3.1. È indubbio che, in generale, la modificazione di una parte comune di un edificio e della sua destinazione, ad opera di taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione, legittimi gli altri condomini ad agire per la tutela di tale parte comune, anche impugnando la relativa licenza di costruire.

Peraltro, l’esame nel merito della relativa domanda d’accoglimento non presuppone soltanto che il ricorrente fornisca una prova adeguata della sua qualità di condomino, ma altresì che la parte comune asseritamente usurpata sia effettivamente tale, e cioè riconducibile ad una delle categorie di cui all’art. 1117 c.c..

3.2. Orbene, nella fattispecie, la stanza indipendente al quarto piano non appare riconducibile ad alcuna di tali categorie, né i ricorrenti hanno saputo o potuto fornire sul punto argomenti di qualche rilievo.

Invero, il rogito d’acquisto Sambo non contiene dichiarazioni univoche sull’appartenenza della stanza (il richiamo ai confini si riferisce all’appartamento al terzo piano), mentre la mappa catastale allegata è risalente e non attendibile, poiché non rispecchia la situazione di fatto, che era all’epoca quella descritta sub 1.3.: e, comunque, per poter legittimamente impugnare il permesso di costruire de quo, non sarebbe ancora bastato aver dimostrato che la stanza non appartiene alla Sambo, poiché ciò non è di per sé sufficiente a farne una parte comune del fabbricato.

4.1. In ogni caso, è bensì vero che, ex art. 11, I comma, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, sicché l’interessato è tenuto a fornire al Comune prova del suo diritto, ma quest’ultimo non può e non deve svolgere sul punto verifiche eccedenti quelle richieste dalla ragionevolezza e dalla comune esperienza, in relazione alle concrete circostanze di fatto, tanto più che, come lo stesso art. 11 specifica, il permesso di costruire “non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio” (II comma) e “non comporta limitazione dei diritti dei terzi”.

4.2. Ora, come si è visto, in specie non vi sono elementi da cui potesse trarre il ragionevole dubbio che la stanza de qua è parte comune del fabbricato: al contrario, raffrontando la descrizione del bene venduto nell’atto di compravendita con lo stato attuale, descritto nel progetto (destinazione a w.c.), il Comune non poteva che considerarlo di proprietà esclusiva Sambo, senza contare l’interesse pubblico all’eliminazione degli abusi esistenti tramite l’intervento di manutenzione proposto.

3.4. Il permesso non può dunque essere annullato, ed il ricorso proposto va pertanto respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite nei confronti dell’Amministrazione resistente e della controinteressata, liquidandole in favore di ciascuno di essi in € 200 ,00 quanto alle spese anticipate, nonché in € 1.800,00, per diritti, onorari e spese generali, oltre ad i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia, nella Camera di consiglio addì 1 aprile 2009.

Il Presidente l’Estensore

Il Segretario

SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA

il……………..…n.………

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

Il Direttore della Terza Sezione

T.A.R. Veneto – II Sezione n.r.g. 692/2009

Fonte: www.giustizia-amministrativa.it

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