Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-07-2011, n. 14535 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I sigg. P.E., D.G.V. e D.G.A. ricorsero alla Corte d’appello di Roma, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, per ottenere il ristoro dei danni derivanti dalla irragionevole durata della causa civile risarcitoria introdotta davanti al Tribunale di Napoli nei confronti dei responsabili della morte, per incidente stradale, del loro congiunto D.G. R..

La Corte d’appello, con decreto del 19 giugno 2008, accertato che la causa si era protratta, in primo grado, per "14 anni e alcuni mesi";

che la durata da stimare ragionevole era, invece, di 3 anni e 6 mesi;

che tuttavia dalla durata eccedente andava detratto il ritardo di circa 15 mesi dovuto a due rinvii immotivati richiesti dalle parti;

che dunque il complessivo ritardo indennizzabile era pari a 9 anni;

che mancavano "elementi sul prodursi di un danno patrimoniale"; che il danno non patrimoniale andava liquidato in Euro 2.000,00 per ciascun anno di ritardo; ha conseguentemente condannato il Ministero della Giustizia al pagamento di Euro 18.000,00 oltre interessi di legge dalla data del decreto.

Avverso il decreto della Corte di merito i sigg. P. e D. G. hanno proposto ricorso per cassazione per due motivi/ cui non ha resistito l’amministrazione intimata.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto, si censura il mancato computo dei 15 mesi relativi ai rinvii sol perchè questi erano stati immotivatamente richiesti dalle parti.

1.1. – Il motivo è fondato, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui dalla durata del processo sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando addebitabili gli altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze che spetta alla p.a. evidenziare (cfr., da ult., Cass. 11307/2010, 19771/2010) e delle quali non v’è traccia nella sentenza impugnata.

2. – Il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, è inammissibile per mancanza sia del quesito di diritto di cui al primo comma dell’art. 366 bis c.p.c., sia della chiara indicazione del fatto controverso ai sensi del comma 2, della medesima norma (nella specie applicabile ratione temporis).

3. – In accoglimento del primo motivo, il decreto impugnato va pertanto cassato.

Tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte, integrando la condanna dell’Amministrazione intimata, in favore dei ricorrenti, con la previsione del pagamento di ulteriori Euro 2.500,00, e dunque elevando la condanna a complessivi Euro 20.500,00, oltre interessi.

Le spese di entrambi i gradi del giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, di Euro 20.500,00, oltre interessi legali dalla data del decreto, nonchè al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 35,00 per esborsi, Euro 450,00 per diritti e Euro 900,00 per onorari, quanto al giudizio di primo grado, e in Euro 100,00 per esborsi e Euro 600,00 per onorari, quanto al giudizio di legittimità, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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