Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-01-2011) 12-04-2011, n. 14717 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. F.A. veniva sottoposto alla misura cautelare della custodia in carcere per il periodo dal 15-1-2000 al 13-6-2000 ed a quella degli arresti domiciliari dal 14-6- 2000 al 14-2-2001, perchè indagato per il reato di illecita detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente. Peraltro, il Tribunale di Bari – Sezione Distaccata di Altamura – assolveva l’imputato dal reato attribuito per non avere commesso il fatto, ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2.

Il F. proponeva istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta chiedendo che gli venisse riconosciuta l’indennità nella misura di giustizia.

2. La Corte di Appello di Bari rigettava la domanda.

Osservava che l’istante aveva dato causa all’emissione del provvedimento cautelare per avere tenuto un comportamento contrassegnato da colpa grave, riscontrato al momento dell’arresto.

In particolare, la condotta tenuta nella vicenda dal F., accertata in fatto, rilevava di per sè, ad avviso del Giudice della riparazione, macroscopica negligenza ed imprudenza tale da ingenerare la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale.

Precisamente i fatti impeditivi all’affermazione del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione erano individuabili nei seguenti.

Egli era stato notato dai Carabinieri, attraverso una porta a vetri, mentre si trovava all’interno dell’abitazione di tale M.; il predetto, vedendo i carabinieri, aveva chiuso l’accesso dall’interno, e, urlando "i carabinieri, i carabinieri", aveva indotto il padrone di casa a gettare un grosso involucro nella stufa accesa; sul tavolo, intorno al quale vi erano altri tre giovani, venivano rinvenuti tracce di cocaina, un bilancino di precisione e la somma di Euro 1.835,00 in banconote di vario taglio. D’altro canto, l’indagato aveva negato la ricorrenza delle circostanze attestate con precisione dai militari operanti.

3. L’istante proponeva ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di Appello.

Evidenziava che la Corte di merito non aveva correttamente valutato il comportamento tenuto da essa ricorrente, non qualificabile come incauto e tale da giustificare la misura coercitiva emessa nei suoi confronti. Chiedeva l’annullamento dell’ordinanza.

4. Il Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione instava per il rigetto del ricorso.

5. Il ricorso deve essere rigettato perchè infondato.

Nel merito del ricorsoci osserva che il giudice chiamato a decidere sull’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione è tenuto a vagliare il comportamento dell’istante, quale emergente dagli atti, al fine di stabilire se questo, in una valutazione oggettiva, sia stato tale da porre in essere una situazione di fatto, con dolo o colpa grave, falsamente rappresentativa della realtà e tale da ingenerare errore nell’organo giudiziario e da costituire causa od anche concausa dell’instaurarsi o del mantenersi della limitazione dello stato di libertà, essendo la custodia cautelare in rapporto sinergico con il comportamento dell’istante tanto nel momento genetico quanto nella permanenza della detenzione. Per quanto attiene al momento genetico della custodia cautelare, è stato rilevato che deve ritenersi colpevole e quindi preclusiva del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione la condotta del soggetto atta a contribuire efficacemente all’emissione del provvedimento restrittivo della libertà personale, nel senso di comportamento consapevole e volontario che valutato, secondo le regole comunemente accettate, sia stato idoneo a creare una situazione di allarme sociale ed il doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della comunità ragionevolmente ritenuta in pericolo. Sotto tale profilo, deve evidenziarsi che si palesa necessario l’accertamento del rapporto tra le condotte tenute dall’indagato ed il provvedimento restrittivo della libertà, ancorato a dati certi e non congetturali.

In particolare, il giudizio del giudice della riparazione deve essere operato mediante una valutazione ex ante (riferita, cioè al momento dell’adozione del provvedimento restrittivo) sull’idoneità a trarre in inganno l’autorità giudiziaria dei comportamenti (dolosi o gravemente colposi) tenuti (sia prima che dopo la perdita della libertà personale) dal soggetto richiedente l’equo indennizzo. Detta valutazione deve, inoltre, svolgersi su un piano diverso ed autonomo rispetto a quella effettuata dal giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale, e ciò in quanto quest’ultimo giudice deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato e la ricondueibilità all’imputato, mentre il giudice della riparazione deve esaminare non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) rispetto alla produzione dell’ingiusta detenzione, (v. in tema, tra le altre, Cass. S.U. 13-12-1995 – Sarnataro; Cass. S.U. 26-6-2002 Di Benedictis;

Cass. 28-11-2007 – Gualano).

6. Nel caso in esame, la Corte di Bari ha correttamente qualificato il comportamento di F.A. come gravemente colpevole, ai sensi dell’art. 314 c.p.p., comma 1, tenendo conto delle evenienze sopra riportate correttamente, apprezzate in modo ragionevole e logico, come fonte di allarme sociale in rapporto sinergico rispetto all’instaurazione del processo penale nei confronti del F., all’applicazione della misura coercitiva ed al suo mantenimento.

7. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte di Cassazione – 4^ Sezione Penale rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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