Cons. Stato Sez. VI, Sent., 08-04-2011, n. 2201 Beni di interesse storico, artistico e ambientale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R.Lazio dichiarava l’inammissibilità del ricorso n. 7932 del 1990, proposto dalle signore U. A. M. e U. M. avverso il decreto n. 7072 del 13 febbraio 1990 del Ministero per i beni culturali e ambientali – con il quale alcune aree con sovrastanti costruzioni di proprietà delle ricorrenti, ubicate in Roma via Lucio Volumnio 22 e identificate al N.C.T. e N.C.E.U. al foglio 972, erano state dichiarate di interesse archeologico ai sensi della l. 1 giugno 1939, n. 1089 (unitamente ad una serie di immobili di proprietà di terzi) -, per genericità delle formulate doglianze, a spese interamente compensate fra le parti.

2. Avverso tale sentenza proponevano appello le ricorrenti soccombenti, sostanzialmente riproponendo le censure dedotte in primo grado avverso il gravato provvedimento.

3. Costituendosi, l’Amministrazione appellata eccepiva l’inammissibilità dell’appello per genericità e ne contestava comunque la fondatezza nel merito.

4. All’udienza pubblica del 15 febbraio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. L’eccezione d’inammissibilità dell’appello per genericità, sollevata dall’Amministrazione appellata, è fondata e merita accoglimento.

I primi giudici hanno dichiarato inammissibile il ricorso in primo grado per genericità dei dedotti motivi, rilevando testualmente che "l’impugnativa risulta, invero, affidata ad alcune generiche ed indimostrate affermazioni di principio, che non consentono all’organo giudicante di compiere un esaustivo sindacato giurisdizionale, con riferimento sia all’effettiva consistenza dei beni sottoposti a vincolo, sia alla loro concreta ubicazione in relazione ai reperti archeologici rinvenuti in zona, sia, infine, al contenuto ed all’estensione del vincolo imposto sull’area di pertinenza delle ricorrenti, le quali si sono limitate ad indicare, quali estremi di identificazione del loro terreno, il foglio catastale n. 972, per cui non è chiaro, essendo state alcune particelle comprese in detto foglio assoggettate a vincolo diretto (art. 1) ed altre a vincolo indiretto (art. 2), se le censure si riferiscono all’imposizione dell’uno o dell’altro vincolo ovvero di entrambi su distinte parti della loro proprietà", e aggiungendo che "l’astratta prospettazione di censure, affidate ad una carente o insufficiente rappresentazione del contesto fattuale, al quale l’odierno gravame intende riferirsi, non si rivela in grado di condurre ad alcun serio costrutto giudiziale, sia in direzione della possibilità di assicurare l’effettività della tutela richiesta in questa sede, sia in termini di giusta e ponderata valutazione dei contrapposti interessi coinvolti nella vicenda contenziosa".

A fronte di siffatto impianto motivazionale della gravata sentenza, le odierne appellanti hanno riproposto i motivi dedotti in primo grado avverso il gravato provvedimento impositivo del vincolo archeologico (peraltro, aggiungendone uno nuovo – di violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990 per omesso avviso d’avvio del procedimento d’imposizione del vincolo -, in violazione del divieto dello ius novorum in appello), senza articolare doglianza alcuna avverso la statuizione d’inammissibilità del ricorso in primo grado, che sorregge l’impugnata sentenza, limitandosi ad esordire in modo del tutto apodittico, al punto n. 1) dell’atto d’appello, che la declaratoria d’inammissibilità "non è condivisibile, in quanto la procedura seguita per l’imposizione del vincolo è palesemente illegittima".

Alla luce di siffatta impostazione difensiva non può che pervenirsi alla conclusione dell’inammissibilità del ricorso in appello, per carenza del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, in quanto nell’atto d’appello alla parte volitiva – che, indicando i punti e i capi della sentenza impugnata sottoposti a gravame, fissa i limiti della controversia devoluta al giudice dell’impugnazione – deve sempre accompagnarsi la parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice e svolga, con sufficiente grado di specificità, le ragioni che sorreggono le tesi dell’appellante in correlazione alla motivazione dell’impugnata sentenza, nella specie minimamente sviluppate nell’atto d’impugnazione, sicché s’impone la citata statuizione in rito, impeditiva dell’ingresso delle questioni di merito.

2. Le spese del grado seguono la soccombenza.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile; condanna le appellanti, in solido tra di loro, a rifondere all’Amministrazione appellata le spese del grado, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 2.500,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *