Cons. Stato Sez. VI, Sent., 08-04-2011, n. 2188 Indennità di anzianità e buonuscita Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La signora F. M. T. ed altri, tra cui la signora B.M., dipendenti del Ministero della pubblica istruzione collocati a riposo nel corso di vigenza del Contratto collettivo nazionale di lavoro per il triennio 19821984, approvato con il d.P.R. n. 345 del 1983, con il ricorso n. 18724 del 1999, proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, hanno chiesto l’accertamento del loro diritto alla riliquidazione della indennità di buonuscita con i miglioramenti di cui al d.P.R. citato, con interessi legali e rivalutazione.

2. Il TAR, con la sentenza n. 10139 del 2004, ha respinto il ricorso compensando tra le parti delle spese del giudizio.

3. Con l’appello in epigrafe si chiede l’annullamento della sentenza impugnata e, per l’effetto, l’accoglimento del ricorso di primo grado.

4. All’udienza del 22 marzo 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. Con la sentenza gravata il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione III ter, ha respinto il ricorso presentato in primo grado dall’appellante per l’accertamento del diritto alla riliquidazione della indennità di buonuscita con i miglioramenti di cui al d.P.R. 25 giugno 1983, n. 345 ("Norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 20 aprile 1983 concernente il personale della scuola di ogni ordine e grado").

Il TAR ha rilevato che:

– secondo la giurisprudenza amministrativa, le disposizioni di cui al detto accordo, dirette ad attribuire miglioramenti economici con decorrenze differite nel triennio, non recano la rateizzazione di un beneficio economico complessivo spettante a tutti coloro che erano in servizio alla data di entrata in vigore dell’accordo, ma attribuiscono un diritto agli aumenti nella misura e alle date indicate, non potendo essere riconosciuti, di conseguenza, miglioramenti sulla indennità di buonuscita non maturati alla data del collocamento a riposo;

– è manifestamente infondata, poi, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7 del d.P.R citato, spettando alla discrezionalità delle parti dettare una differente decorrenza delle parti normativa ed economica dell’accordo contrattuale.

2. L’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti della Amministrazione Pubblica (INPDAP) si è costituito nel presente grado del giudizio, eccependo la prescrizione dei diritti invocati ai sensi dell’art. 20 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, e dell’art. 2948 c.c.

L’eccezione, in quanto dedotta la prima volta in sede di appello, non può essere esaminata, come da giurisprudenza costante, confermata da ultimo dall’art. 104, comma 1, del Codice del processo amministrativo (ex multis, Cons. Stato, VI: 28 ottobre 2010, n. 7643; 5 ottobre 2010, n. 7284).

3. Si esamina perciò l’appello, in cui si deduce:

– la Corte dei Conti, con la sentenza n. 70512 del 1993, ha riconosciuto l’attribuzione dei benefici economici previsti dal d.P.R. n. 345 del 1983 ai fini del trattamento di quiescenza dei ricorrenti in quanto dipendenti in servizio al 1° gennaio 1982, per cui, essendo identica la base di calcolo del trattamento di quiescenza ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 ("Testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato") e della indennità di buonuscita, ai sensi degli articoli 3 e 38 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 ("Testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato"), in entrambi i casi costituita dallo stipendio, dalla pronuncia suddetta conseguirebbe il ricalcolo altresì della indennità di buonuscita;

– lo scaglionamento dell’attribuzione dei miglioramenti economici (dal 1° gennaio 1983 il 35 per cento; dal 1° gennaio 1985 per l’intero ammontare), stabilito dal comma 2 dell’art. 1 e dall’art. 7 del d.P.R. n. 345 del 1983 insieme con la decorrenza dell’accordo dal 1° gennaio 1982, scaturirebbe soltanto da esigenze contabili e non può perciò essere motivo di penalizzazione del personale collocato in quiescenza negli anni 19821983, dovendosi considerare il principio della triennalità del contratto di lavoro stabilito nel frattempo dalla legge quadro sul pubblico impiego ( legge n. 93 del 1983), anteriore al d.P.R. n. 345 del 1983, e dovendosi perciò affermare la sussistenza di un’obbligazione unica, che sorge integralmente dalla data di decorrenza degli effetti economici del contratto, salva la dilazione di pagamento;

– nel caso di una diversa interpretazione si pone una questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli articoli 3 e 36 della Costituzione, per la ingiustificata disparità di trattamento, nell’ambito dei lavoratori in servizio all’1 gennaio 1982, tra quelli collocati successivamente a riposo ovvero rimasti in servizio, e con l’art. 38, per la lesione dei principi di tutela economica del personale a riposo.

4. Ritiene la Sezione che le censure così riassunte sono infondate.

4. 1. Questo Consiglio (Sez. VI, 3 giugno 2010, n. 3502) ha esaminato la questione oggetto della presente controversia riguardante "il preteso diritto della ricorrente, cessata dal servizio durante la vigenza del contratto di lavoro di categoria recepito con DPR n. 345/83, a vedersi riconoscere nella misura dell’intero, sia ai fini del trattamento di quiescenza sia ai fini del computo della indennità di buonuscita, gli incrementi economici previsti dal contratto medesimo, a prescindere da quanto effettivamente maturato dalla stessa dipendente all’atto del collocamento in pensione" ed ha chiarito, con argomentazioni da cui non vi è motivo per discostarsi per il caso in esame, quanto segue.

"Detta questione impone la soluzione di un quesito preliminare: se gli incrementi economici da corrispondere nel corso del triennio diventino credito esigibile per il dipendente fin dall’entrata in vigore del relativo contratto e quindi siano da costui esigibili, e nella misura dell’intero, anche ove vi sia stata medio tempore la cessazione dal servizio; ovvero se maturino solo se (e nella misura in cui) il dipendente resti in servizio, dovendo il trattamento pensionistico e la indennità di buonuscita essere calcolati sulla base del trattamento economico "maturato" ed effettivamente in godimento all’atto del collocamento in quiescenza del dipendente. La questione…è stata risolta dalla giurisprudenza amministrativa nel senso che il dipendente cessato dal servizio ha diritto a veder calcolato il trattamento di quiescenza e l’indennità di buonuscita soltanto sulla base retributiva già maturata al momento della cessazione dal servizio e non anche con riferimento agli incrementi che, pur previsti nel vigente accordo contrattuale, non siano stati ancora in concreto erogati. E ciò sia in considerazione del carattere sinallagmatico della retribuzione del dipendente, che in tanto è dovuta in quanto corrisponde ad una attività effettivamente svolta in favore dell’amministrazione, sia in ragione del fatto che gli incrementi stipendiali previsti in contratto diventano crediti esigibili per il lavoratore non prima che sia maturato il termine contrattuale per la loro concreta erogazione. Si è anche osservato (Consiglio di Stato, Sezione VI, decisione n. 3305 del 28 maggio 2009) che "l’ art. 3, comma terzo, della legge 29.12.1973, n. 1032, di approvazione del t.u. delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti dello Stato, stabilisce che ai fini della determinazione della base contributiva per la liquidazione dell’indennità di buonuscita "si considera l’ultimo stipendio o l’ultima retribuzione integralmente percepiti" dal dipendente interessato.

Il riferimento della disposizione in esame alla nozione di "percezione" nella sua interezza del trattamento economico in costanza di impiego comporta che concorrono a formare la base contributiva gli emolumenti che siano stati riconosciuti ed attribuiti, in base alle norme del comparto di impiego di appartenenza, con carattere di effettività al dipendente interessato ed hanno, quindi, costituito l’ultimo trattamento di attività percepito"".

4.2. Non può ritenersi sussistente l’asserito contrasto della interpretazione ora richiamata con la normativa costituzionale, non essendo posta nella disciplina da applicarsi alcuna previsione idonea ad autorizzare una diversa interpretazione e non risultando questa irragionevole né lesiva dei principi costituzionali per la tutela economica del lavoratore, alla luce della richiamata natura sinallagmatica della retribuzione del dipendente che ne è alla base.

5. Per quanto considerato l’appello è infondato e deve essere perciò respinto.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello n. 8553 del 2005 in epigrafe.

Compensa tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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