Cons. Stato Sez. VI, Sent., 08-04-2011, n. 2184 Interesse a ricorrere

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

a di Forte;
Svolgimento del processo

La sezione regionale del Lazio dell’Ente Nazionale Produttori Selvaggina, associazione venatoria riconosciuta (ai sensi della legge 11 febbraio 1992, n. 157, art. 34, comma 5), ha impugnato la delibera consiliare della Regione Lazio 29 luglio 1998, n. 450 con la quale è stato approvato, ai sensi dell’art. 10, comma 5, della legge regionale del Lazio 2 maggio 1995, n. 17, il Piano faunistico venatorio regionale.

La sentenza impugnata ha in parte dichiarato inammissibili e in parte ha rigettato i motivi di ricorso.

In particolare la sentenza ha ritenuto infondate le seguenti censure.

A) L’ente ricorrente lamenta in primo luogo che la Regione ha omesso di riconoscere in alcuni piani provinciali le adiacenze stradali come zone da includere nella percentuale del territorio da destinare a protezione della fauna selvatica.

B) Il ricorrente censura poi il fatto che il Piano si limita ad elencare le specie cacciabili che le aziende faunistico venatorie, in relazione alla loro classificazione, dovrebbero produrre, senza alcun riferimento a quelle non cacciabili, in contraddizione con le finalità proprie delle aziende di salvaguardia del patrimonio faunistico a prescindere dal fatto che si tratti di specie cacciabili o non cacciabili.

C) Ulteriore punto del piano censurato dal ricorrente è quello in cui si stabilisce che il divieto dell’attività venatoria può essere richiesto per i fondi di ampiezza non inferiore a cento ettari che presentino determinate caratteristiche ambientali.

Sostiene l’ente ricorrente che detta disposizione sarebbe in contrasto con quanto previsto dalla legge 11 febbraio 1992, 157 e dalla legge regionale del Lazio 2 maggio 1995, n.17, le quali non stabiliscono un limite minimo di ampiezza dei fondi tutelabili.

D) Infondata è poi la censura con la quale si lamenta che la previsione per cui la perimetrazione degli A.T.C. è assoggettata a revisione quinquennale impedirebbe, di fatto, prima della scadenza del quinquennio, la possibilità di modifica di detti perimetri in occasione dell’istituzione di nuove aziende faunisticovenatorie.

E) Con ulteriore motivo di gravame, l’ente ricorrente censura la previsione di Piano per la quale le aziende faunistico venatorie le quali, per effetto di disdette di assenso presentate entro il 31 dicembre 1997 dai proprietari o possessori dei terreni inclusi nelle aziende stesse, non dispongono più di una base territoriale di almeno 400 ettari, sono cessate dalla proroga prevista dal comma 1 dell’art. 5 della legge regionale del Lazio 4 agosto 1997, n. 26.

F) Quanto infine alla lamentata mancata introduzione di analoga previsione in seno al piano anche con riferimento agli ambiti territoriali di caccia (ATC)., basta rilevare che per essi troverà comunque applicazione la normativa d cui agli artt. 27, comma 1, lett. c) e 28 della legge regionale del Lazio n. 17 del 1995, e 5, comma 1, della legge regionale del Lazio n. 26 del 1997.

L’Ente Produttori Selvaggina – EPS -Sezione Regionale del Lazio ha prodotto appello i cui motivi saranno di seguito esaminati.

Si sono costituite in giudizio la Regione Lazio e la Provincia di Roma.

All’udienza del 23 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

La sentenza impugnata ha dichiarato inammissibili, per difetto di legittimazione ad impugnare in capo all’ente ricorrente, i primi tre motivi di gravame, perché non può ritenersi sussistente una legittimazione generale delle associazioni faunistiche o venatorie ad impugnare o a resistere nei giudizi avverso il piano faunistico venatorio per fare valere vizi del procedimento.

1) Con il primo motivo l’ente deduceva la violazione dell’art. 17, comma 32, della legge 15 maggio 1997, n. 127, non essendo stata sottoposta la delibera impugnata al controllo di legittimità per espressa volontà dell’organo deliberante.

È pacifico in giurisprudenza che la mancata sottoposizione di un provvedimento amministrativo al controllo preventivo non comporta illegittimità ma semmai inefficacia dell’atto stesso (Cons. Stato, V, 12 novembre 1992, n. 1272), con la conseguenza che il ricorso in esame dovrebbe ritenersi inammissibile nella sua interezza perché, sempre sulla base di principi ricevuti, è inammissibile l’impugnazione diretta contro un atto inefficace.

La Sezione ritiene comunque il motivo infondato perché l’atto impugnato, anche per quel che sarà evidenziato in seguito, non ha natura regolamentare.

2) Con il secondo motivo, anch’esso ritenuto inammissibile, l’ente deduceva la violazione dell’art. 25, comma 4, della legge della Regione Lazio 2 maggio 1995, n. 17 e dell’art. 8 della medesima legge regionale. Eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica e per travisamento dei fatti, considerato che il parere del Comitato tecnico faunistico venatorio regionale, pure richiamato nella delibera impugnata, non si sarebbe validamente formato con espressione della volontà della maggioranza dei componenti.

Anche tale motivo è infondato.

L’invocata legge della Regione Lazio 2 maggio 1995, n. 17 disciplina – all’articolo 10 – la formazione del Piano faunistico che (comma 3) realizza il coordinamento dei piani provinciali (ed) è predisposto dalla Giunta regionale sulla base dei criteri di omogeneità e congruenza forniti dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS).

Il successivo comma 5 stabilisce che il Piano faunistico è approvato dal Consiglio regionale entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge regionale e può essere modificato e/o integrato per comprovate necessità faunistico – ambientali od a seguito di sopravvenuti cambiamenti strutturali, su proposta delle province, sentito l’INFS ed i rispettivi comitato tecnico faunisticovenatorio (CTFV).

Il successivo comma 4 dell’articolo 25 prevede che la Regione approva, sentito il comitato tecnico faunisticovenatorio regionale (CTFVR), il regolamento di attuazione del Piano faunistico – venatorio regionale.

L’atto impugnato (deliberazione 29 luglio 1998, n. 450) costituisce l’approvazione, ai sensi dell’art. 10, comma 5, della legge regionale n. 17 del 2 maggio 1995, del Piano faunistico venatorio regionale, che è il Primo piano regionale approvato dopo l’emanazione della legge regionale.

Questo pertanto risulta subordinato (così come previsto dal comma 3 dell’articolo 10) solo alla proposta della Giunta regionale, che deve uniformarsi ai criteri fissati dall’Istituto nazionale per la fauna selvatica. I pareri dei CTFV e dei CTFVR debbono intervenire solo per le modifiche del piano, così come previsto dal comma 5 dell’art. 10, ovvero per l’emanazione del regolamento, disciplinato dal comma 4 dell’art. 25, che è atto diverso e comunque successivo a quello impugnato in questa sede.

3) Con il terzo motivo l’ente ha dedotto la violazione del principio di legalità, degli artt. 10 e ss. della legge regionale del Lazio 2 maggio 1995, n. 17 e 10 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, nonché eccesso di potere per manifesta ingiustizia, illogicità e disparità di trattamento, per avere la delibera regionale recato modifiche ai piani provinciali al di fuori della regola partecipativa del giusto procedimento.

Anche il terzo motivo è infondato.

Già si è visto che il Piano in esame costituisce il primo piano regionale approvato dopo l’emanazione della legge regionale del Lazio 2maggio 1995, n. 17: esso realizza (secondo la previsione contenuta nel comma 3 dell’art. 10) il coordinamento dei piani provinciali ed è predisposto dalla Giunta regionale sulla base dei criteri di omogeneità e congruenza forniti dall’INFS.

Va innanzi tutto rilevato che il coordinamento dei piani provinciali ammette, per esigenza logica, che gli stessi possano essere modificati: il piano regionale non può infatti consistere nella mera sommatoria dei piani provinciali, perché altrimenti non avrebbe autonomia e non sarebbe necessario per esso un apposito procedimento.

È poi sufficiente osservare che, in sede di prima formazione del piano, l’attività regionale non poteva restare paralizzata da eventuali inadempienze degli enti provinciali, cosicché la mancanza di dati, alla quale fa riferimento parte ricorrente, poteva essere sopperita in altro modo.

4) Per quanto attiene alle censure ritenute infondate dalla sentenza, la sezione ritiene inammissibile quella relativa alla mancata considerazione in alcuni piani provinciali delle adiacenze stradali come zone da includere nella percentuale del territorio da destinare a protezione della fauna selvatica.

L’ente invoca il comma 1 dell’art. 11 della legge regionale più volte citata, secondo cui il territorio agro – silvo – pastorale della regione è destinato per una quota non inferiore al 20 per cento e non superiore al 30 per cento a protezione della fauna selvatica, comprendendo tutte le aree ove sia comunque vietata l’attività venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni.

La norma pone un intervallo ricompreso tra il 20 e il 30 per cento del territorio a protezione della fauna selvatica. Poiché il merito della scelta del limite massimo (30 per cento), quale espressione di una valutazione discrezionale, era insindacabile in sede di legittimità, l’ente ricorrente avrebbe dovuto dimostrare che la somma del territorio già individuato, maggiorato delle pertinenze stradali, avrebbe superato il limite massimo del 30%: l’omessa dimostrazione rende la censura inammissibile.

5) Il ricorrente censura poi il piano perché si è limitato ad elencare le specie cacciabili che le aziende faunistico venatorie, in relazione alla loro classificazione, dovrebbero produrre, senza alcun riferimento a quelle non cacciabili, in contraddizione con le finalità proprie delle aziende di salvaguardia del patrimonio faunistico a prescindere dal fatto che si tratti di specie cacciabili o non cacciabili.

Il ricorrente non chiarisce quali siano le conseguenze di tale omissione e, quindi, se debba portare alla caducazione integrale del piano, cosicché anche tale censura deve ritenersi inammissibile.

6) Le ulteriori censure attengono ai capi di sentenza indicati in fatto sotto le lettere C), D), E) e F) e riguardano:

il divieto dell’attività venatoria per i fondi di ampiezza non inferiore a cento ettari;

la previsione della revisione quinquennale della perimetrazione degli ambiti territoriali di caccia;

l’effetto delle disdette di assenso, presentate entro il 31 dicembre 1997, sulla base territoriale di almeno 400 ha;

la mancata introduzione di analoga previsione in seno al piano anche con riferimento agli A.T.C.

La Sezione ritiene tali censure inammissibili per difetto di interesse diretto ed attuale.

Ai fini della sussistenza, o meno, dell’interesse ad impugnare in via diretta un regolamento o un atto amministrativo a contenuto generale, occorre aver riguardo alla sua immediata concreta lesività, con riferimento all’entità ed alle modalità dell’incidenza reale e non meramente ipotetica dell’atto sulla sfera giuridica del ricorrente (Cons. Stato, V, 18 maggio 1998, n. 601).

La circostanza che l’ente ricorrente sia un’associazione riconosciuta non lo esime dal dimostrare l’attualità e non solo la mera potenzialità della lesione derivante da alcune previsioni di piano.

7) Il ricorso va respinto.

8) Le spese seguono la soccombenza e si liquidano coma in dispositivo, in favore della sola amministrazione provinciale di Roma, in ragione dell’attività difensiva svolta.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna l’ente ricorrente al pagamento, in favore dell’Amministrazione provinciale di Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento della somma di Euro 3.000,00 (euro tremila/00) per spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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