Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 09-12-2010) 12-04-2011, n. 14697 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Milano, con sua ordinanza resa in esito all’udienza del giorno 11/11/2009 ha rigettato la istanza proposta da S.S.F. per ottenere riparazione da ingiusta detenzione.

Il S. ha proposto, ricorso per cassazione per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato.

Il Ministero dell’Economia ha depositato memoria con la quale ha concluso per la inammissibilità o per il rigetto del ricorso con condanna del S. al pagamento delle spese del giudizio sostenute dal Ministero concludente.

All’udienza camerale del 9/12/2010 il ricorso è stato deciso con compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.
Motivi della decisione

Parte ricorrente denunzia:

erronea applicazione delle norme di procedura penale che regolano la sussistenza dei presupposti per l’equa riparazione e manifesta illogicità della motivazione.

In particolare il ricorrente sottolinea come la ingiustezza della detenzione sia individuabile anzitutto nella distanza di quasi sei anni tra la data di commissione del fatto e la data di adozione del provvedimento restrittivo della libertà.

Il ricorrente nega che la colpa grave possa essere individuata nella frequentazione imprudente di persone coinvolte in traffici di stupefacenti quando queste persone siano una sorella e il compagno di costei e in due sole comunicazioni telefoniche trattenute con un soggetto ritenuto poi elemento di spicco del sodalizio criminoso. La stessa presenza del sodalizio criminoso nei locali aperti al pubblico in una quartiere di (OMISSIS) nel quale era collocata anche la sala giochi gestita dall’odierno ricorrente, erroneamente sarebbe stata assunta quale indice di colpa grave.

Questa Corte rileva che la osservazione relativa allo scarto temporale tra data di commissione dei fatti addebitati e data di applicazione della cautela carceraria si limita a rappresentare una valutazione generale che non costituisce censura o individuazione dei vizi del provvedimento qui impugnato.

Quanto alla colpa grave, la ordinanza impugnata ha messo in adeguata evidenza circostanze che da sole e anche nel loro insieme non potevano non indurre l’autorità giudiziaria, a ritenere certa la partecipazione del S. a tutte le attività delittuose che si svolgevano a sua vista, nel locale affidato alla sua gestione e con la presenza di soggetti che si erano associati per trafficare in droga. La ordinanza impugnata, oltre a evidenziare che il S. è stato condannato per fatti di traffico di ingenti quantità di sostanze stupefacenti conclusi nel (OMISSIS) (i fatti per i quali è in discussione la colpa grave ostativa si concludono nel (OMISSIS)) ha anche compiutamente individuato il rapporto esistente tra la incolpazione che attribuiva al S. un ruolo di addetto alla distribuzione della sostanza stupefacente sul mercato clandestino per conto dell’associazione di appartenenza e di aver messo a disposizione di quella associazione la sala giochi gestita dallo stesso S. e l’accertamento della effettiva frequentazione ad opera di soggetti dediti al traffico di stupefacenti e che nel locale, effettivamente gestito dal S., si svolgevano trattative sull’acquisto di droga integrano una chiara colpa grave.

Infondatamente il S. nega la ravvisabilità della colpa grave nelle condotte rilevate in ordinanza.

L’improprio utilizzo di pubblico esercizio non solo viola condivise regole di ordinata convivenza civile ma è idoneo a produrre la rappresentazione di una implicazione totale nelle attività delittuose svolte nel locale del quale il gestore ha un obbligo di controllo. La frequentazione della sorella, condannata per traffico di stupefacenti con la stessa sentenza che aveva assolto l’odierno ricorrente, sorella che gestiva un vicino bar egualmente frequentato da spacciatori che in quel bar svolgevano talune loro attività è frequentazione qualificata dalle attività che nell’uno e nell’altro locale si svolgevano. La esistenza di altro procedimento penale contro il S. per traffico di stupefacenti avrebbe richiesto una condotta più controllata e più osservante idonea a evitare un rischio prevedibile di coinvolgimento. Il ricorso è infondato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento nonchè alla rifusione delle spese sostenute per questo giudizio di cassazione da Ministero dell’economia e liquidate in Euro 750,00.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè alla rifusione in favore del Ministero resistente delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 750,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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