Cass. civ. Sez. V, Sent., 05-07-2011, n. 14783 Accertamento Imposta di successione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il sig. U.B.A. impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Messina l’avviso di liquidazione ed irrogazione sanzioni n. 31, vol. 1863, den. Succ., notificatogli in data 5.3.92, emesso dall’ufficio del Registro di Messina in relazione ad una dichiarazione integrativa di denuncia di successione presentata per la successione all’avvocato U.B.L. (apertasi il 16.6.83), avente ad oggetto crediti professionali del de cuius verso lo IACP di Messina.

Il contribuente lamentava come l’Amministrazione finanziaria, nel determinare l’imposta sul valore globale dell’asse, non avesse tenuto conto della diversa tariffa approvata con la L. n. 880 del 1986, art. 1 (che aveva sostituito la tariffa di cui al D.P.R. n. 637 del 1972 con una tassazione più favorevole). Affermava al riguardo che tale tariffa, sebbene entrata in vigore dopo l’apertura della successione al sig. U.B.L., era tuttavia applicabile ai crediti professionali di costui che – non inseriti nell’originaria denuncia di successione in quanto non conosciuti nè conoscibili – erano stati conteggiati e liquidati dallo IACP (e quindi riscossi dagli eredi e, conseguentemente, fatti oggetto di denuncia integrativa) solo in epoca successiva all’introduzione della nuova più favorevole tariffa.

Inoltre il contribuente deduceva che il valore dei suddetti crediti doveva ritenersi compreso nella maggiorazione ex lege del 10% del dichiarato, di cui al D.P.R. n. 637 del 2002, art. 8.

La Commissione Tributaria Provinciale di Messina respingeva il ricorso.

La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, adita con l’appello dell’erede, riformava la sentenza di primo grado e annullava l’avviso di liquidazione, argomentando che "al momento dell’apertura della successione non potevano essere dichiarati i compensi futuri e incerti che lo IACP avrebbe dovuto corrispondere all’avvocato U.B., in quanto indisponibili e incerti nel loro ammontare. Infatti la tassazione poteva avvenire solo in presenza di dati certi precisi e concordanti riguardanti le somme certe e riscosse. L’Ufficio del registro, nella determinazione delle somme da pagare, avrebbe dovuto tenere in considerazione il 10% che per ogni singola dichiarazione di successione era stato applicato, oltre alla quota esente e le aliquote vigenti al momento delle varie dichiarazioni di successione." Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale ricorrono per cassazione il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate, entrambi rappresentati dall’Avvocatura Generale dello Stato, sulla scorta dei seguenti motivi:

1) Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione della L. L. n. 880 del 1986, per avere ritenuto che le disposizioni di tale legge si applichino anche alle successioni apertesi prima del 1.7.86, con riferimento a sopravvenienza attive denunciate dopo tale data.

2) Art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 8, comma 2, per avere ritenuto che il valore di sopravvenienze costituite dalla riscossione di crediti del de cuius debba computarsi nel valore del 10% dell’attivo conteggiato sulla prima denuncia di successione per presunzione di esistenza di denaro gioielli e mobilia.

3) Art. 360 c.p.c., n. 3 – Violazione del D.P.R. n. 637 del 1972, artt. 11 e 24 – Violazione dell’art. 459 c.c. e del D.P.R. n. 637 del 1972, artt. 2, comma 1, e 6 per aver violato il principio che l’acquisto dei crediti ereditari decorre dalla data di apertura della successione anche per i crediti non liquidi o non esigibili o ignoti agli eredi.

U.B.A. non si è costituito nel giudizio di cassazione.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 22.3.011, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione

Preliminarmente si rileva l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Quest’ultimo non è stato parte del giudizio di secondo grado (a cui ha partecipato solo l’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate), cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio.

Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza in argomento di questa Corte si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

Quanto al ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, il primo ed il terzo motivo vanno trattati congiuntamente, in quanto intimamente connessi. Con detti motivi l’Agenzia delle Entrate in sostanza censura l’argomento della Commissione Tributaria Regionale secondo cui i crediti del de cuius non potrebbero essere assoggettati all’imposta sulle successioni fino a quando risultino incerti e indisponibili, dovendo la tassazione "avvenire solo in presenza di dati certi precisi e concordanti riguardanti le somme certe e riscosse". Tale argomento contrasterebbe, secondo la ricorrente, con il disposto della L. n. 880 del 1986, art. 11, del D.P.R. n. 637 del 1972, artt. 11 e 24, dell’art. 459 c.c. e del D.P.R. n. 637 del 1972, art. 2, comma 1, e art. 6.

La censura è fondata.

In primo luogo va rilevato l’errore in cui è incorsa la Commissione Tributaria Regionale nel ritenere che l’imposta di successione dovrebbe applicarsi sui crediti del de cuius "solo in presenza di dati certi precisi e concordanti riguardanti le somme certe e riscosse".

Infatti nel sistema del D.P.R. n. 637 del 1972, applicabile ratione temporis, l’imposta di successione colpisce tutti i beni e diritti che si trasferiscono mortis causa (vedi l’art. 1, che fa riferimento ai "trasferimenti di beni e diritti dipendenti da successione per causa di morte" l’art. 2, che fa riferimento a "tutti i beni e diritti trasferiti, ancorchè esistenti all’estero"; l’art. 6, il cui comma 1 recita: "L’attivo ereditario è costituito da tutti i beni e i diritti trasferiti per causa di morte, ad esclusione di quelli non soggetti all’imposta ai sensi degli artt. 2 e 3."). Per quanto poi particolarmente concerne i crediti, essi sono esclusi dall’attivo ereditario solo qualora ricorra una delle ipotesi (a nessuna delle quali è riferibile la fattispecie da cui sorge il presente giudizio) previste dal D.P.R. n. 637 del 1972, nn. 6, 7 o 8, art. 11, vale a dire se si tratti di "crediti contestati giudizialmente alla data di apertura della successione, sino a quando la loro sussistenza non sia riconosciuta con provvedimento giurisdizionale o transazione", o di "crediti che il contribuente dichiari di dubbia esigibilità qualora il contribuente stesso abbia notificato ai debitori l’invito ad assolvere, per suo conto, l’imposta dovuta sui crediti stessi prima del loro pagamento" o, infine, di "crediti dichiarati inesigibili o di dubbia esigibilità se vengono ceduti allo Stato".

La legge dunque, a differenza di quanto ritenuto dalla Commissione Tributaria Regionale, non attribuisce alcuna rilevanza, ai fini dell’inclusione di un credito nell’attivo ereditario (e dunque ai fini della determinazione della base imponibile e, in ultima analisi, dell’imposta dovuta, secondo le disposizioni del D.P.R. n. 637 del 1972, artt. 6 e 7), alla circostanza che, al momento dell’apertura della successione, il credito del de cuius risulti non ancora liquidato; e nemmeno attribuisce alcuna rilevanza al fatto che tale credito possa risultare di difficile esazione, a meno che l’erede non lo abbia ceduto allo Stato o non abbia notificato al debitore l’invito ad assolvere, per suo conto, l’imposta dovuta sul credito stesso prima del suo pagamento (vedi Cass. 2242/1988: "In tema d’imposta di successione, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 11, n. 7, alfine dell’esclusione di un credito dall’attivo ereditario, non richiede la sua assoluta inesigibilità, essendo sufficiente una situazione di "dubbia esigibilità", cioè di difficile realizzazione, alla stregua dell’attestazione dell’erede, sempre che questi abbia ottemperato all’onere di sollecitare il debitore insolvente, invitandolo ad assolvere per conto di esso erede l’imposta gravante sul credito stesso").

Posto dunque che i crediti professionali vantati dal defunto avvocato U.B.L. nei confronti dello IACP di Messina, non dichiarati dagli eredi con la prima denuncia di successione e successivamente dichiarati con denunce integrative presentate dopo l’entrata in vigore della L. n. 880 del 1986, dovevano ritenersi ab origine compresi nell’attivo ereditario, ancorchè non ancora liquidati al momento dell’apertura della successione, risulta evidentemente errato l’assunto della Commissione Tributaria Regionale secondo cui detti crediti si sarebbero dovuti tassare secondo la tariffa introdotta con la L. n. 880 del 1986, vigente all’epoca della presentazione della denuncia integrativa (vedi la sentenza, pag. 2, penultimo capoverso della motivazione: "L’Ufficio del Registro nella determinazione dell’importo da pagare avrebbe dovuto tenere in considerazione … le aliquote vigenti al momento delle varie dichiarazioni di successione"), invece che secondo la precedente tariffa, vigente al momento dell’apertura della successione. Tale assunto viola infatti il chiaro disposto della L. n. 880 del 1986, art. 11, che espressamente stabilisce: "Le disposizioni della presente legge si applicano alle successioni apertesi e alle donazioni poste in essere a partire dal 1 luglio 1986"; alla stregua dell’inequivocabile dettato letterale della norma, infatti, il criterio sulla cui base stabilire se ad un credito ereditario si debba applicare la tariffa introdotta dalla L. n. 880 del 1986 o la tariffa anteriore è la data dell’apertura della successione e non la data della riscossione del credito.

Il primo e terzo motivo di ricorso vanno dunque accolti.

Parimenti meritevole di accoglimento è il secondo motivo, con cui la ricorrente censura la sentenza impugnata dove essa afferma che "L’Ufficio del Registro nella determinazione dell’importo da pagare avrebbe dovuto tenere in considerazione il 10% che per ogni singola dichiarazione di successione era stato applicato" (pag. 2, penultimo capoverso della motivazione della sentenza). Il D.P.R. n. 637 del 1972, art. 8, comma 2, nel testo, applicabile alla fattispecie, anteriore alla modifica recata dalla L. n. 880 del 1986 (vedi Cass. 4766/98: Con riguardo alle successioni apertesi in epoca antecedente al primo luglio 1986 trova applicazione il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, comma 2, nella originaria formulazione e non come modificato dalla L. 17 dicembre 1986, n. 880, art. 5) recita:

"nell’attivo si considerano compresi danaro, gioielli e mobilia per un importo pari al dieci per cento del valore complessivo netto dell’asse ereditano,anche se dichiarati o indicati in inventario per un importo minore. " I crediti pecuniari la cui liquidazione sopravvenga dopo l’apertura della successione non costituiscono nè danaro, nè gioielli nè mobilia e, pertanto, il loro importo non può ritenersi compreso nella quota dell’asse ereditario costituita da danaro, gioielli o mobilia, che si presume ex lege di valore pari al 10% del valore netto dell’asse dichiarato. Al contrario, il valore di detti crediti, lungi dal considerarsi assorbito nell’importo della quota di asse ereditario presunta D.P.R. n. 637 del 1972, ex art. 8, comma 2, concorre a formare la base di calcolo per la quantificazione di tale quota (vedi Cass. 1518/1996: "In tema d’imposta sulle successioni, anche i crediti giudizialmente contestati alla data di apertura della successione, quando la loro sussistenza sia riconosciuta con provvedimento giurisdizionale o transazione, concorrono a formare l’attivo ereditario e vanno perciò computati ai fini del calcolo della maggiorazione del 10 per cento, di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 8, comma 2").

In definitiva il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte può decidere nel merito ex art. 384 c.p.c., rigettando il ricorso proposto da U.B.A. contro l’avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni emesso dall’Ufficio del Registro di Messina n. 31 Vol. 1863 Den. Successione.

Le spese si compensano per i gradi di merito e si pongono a carico del resistente per il giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art 384 c.p.c., rigetta il ricorso proposto da U.B.A. contro l’avviso di liquidazione ed irrogazione di sanzioni emesso dall’Ufficio del Registro di Messina n. 31 Vo. 1863 Den. Successione.

Compensa le spese dei gradi di merito e condanna il resistente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000 per onorari, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *