T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 08-04-2011, n. 694 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe, la società ricorrente ha adito questo Tribunale per domandare l’ottemperanza della sentenza n° 7933/2010, depositata presso la segreteria della Sezione seconda il 24 giugno 2010, notificata all’amministrazione il 12 luglio 2010 e passata in giudicato, come da certificazione rilasciata in data 25 gennaio 2011 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, versata in atti. In uno alla domanda di esecuzione del giudicato, la ricorrente ha avanzato, altresì, domanda di risarcimento dei danni asseritamente derivanti dai provvedimenti annullati con la sentenza succitata, nonché dei danni da mancata esecuzione del giudicato.

Per resistere al ricorso, si é costituita in giudizio l’amministrazione intimata, che, previa eccezione di inammissibilità della domanda risarcitoria proposta nel rito dell’ottemperanza, ovvero domanda di conversione del rito in ordinario, ne ha domandato il rigetto, con vittoria di spese.

Alla camera di consiglio del 23 marzo 2011, sentiti i difensori presenti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto per essere deciso.

Preliminarmente, dev’essere vagliata l’eccezione di rito sollevata dall’Avvocatura dello Stato, volta a far valere il dettato dell’art. 112, quarto comma, secondo periodo, del Codice del Processo Amministrativo, All. 1 del d.lgs. 2 luglio 2010, n° 104.

Giova ricordare come, prima dell’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo, (id est prima del 16.09.2010), il prevalente orientamento giurisprudenziale era incline a ritenere, in mancanza di una disciplina positiva al riguardo e stante la non estensibilità analogica dell’art. 40 c.p.c. (non esportabile nel processo amministrativo per le peculiarità dei differenti riti speciali nella giurisdizione ordinaria e in quella amministrativa), l’ammissibilità del ricorso cumulativo limitatamente al caso di connessione oggettiva e funzionale tra le domande proposte congiuntamente e, d’altro canto, l’inammissibilità della conversione del rito nel processo amministrativo, con conseguente inammissibilità dell’introduzione con un medesimo rito di due domande soggette a riti differenti.

Nel caso in esame, in particolare, sarebbe venuto in rilievo un caso di incompatibilità – sul piano processuale – del procedimento camerale in materia di ottemperanza al giudicato con quello ordinario di natura impugnatoria destinato a svolgersi in pubblica udienza in ordine alla domanda risarcitoria dei danni asseritamente derivanti dai provvedimenti illegittimi impugnati in sede di cognizione.

Il profilo strettamente processuale, peraltro, era intimamente connesso alla problematica, di rilevanza anche sostanziale, della proponibilità, per la prima volta in sede di ottemperanza, della domanda risarcitoria di danni antecedenti alla formazione del giudicato, che la giurisprudenza tradizionale aveva escluso per salvaguardare il doppio grado di giurisdizione e garantire una cognizione piena sull’an della pretesa risarcitoria (Cons. Stato, Sez. IV, 8 ottobre 2001, n° 5312; Sez. VI, 18 giugno 2002, n° 3332).

Il Codice del Processo Amministrativo, in attuazione del principio di concentrazione ed effettività della tutela, nonchè di riordino dei casi di giurisdizione estesa al merito (di cui alla legge delega n. 69/2009, art. 44, II co., lett. a) e lett. b) n° 2), ha innovato al quadro normativo previgente, introducendo, all’art. 112, quarto comma, l’espressa previsione che "nel processo di ottemperanza può essere altresì proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all’articolo 30, comma 5, nel termine ivi stabilito. In tal caso, il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario".

La norma ha definitivamente risolto in senso affermativo la questione della proponibilità, per la prima volta in sede di ottemperanza, della domanda risarcitoria del danno derivante da illegittimità del provvedimento, fugando le perplessità manifestate dalla surrichiamata giurisprudenza, attraverso la previsione dello svolgimento del giudizio di ottemperanza nelle forme, modi e termini del rito ordinario, che assicura, al contempo, la cognizione piena del rapporto e il doppio grado di giurisdizione.

Il caso di specie ricade sotto la sfera di applicazione dell’art. 112 del codice menzionato, per il contenuto prevalentemente processuale di tale norma, che la rende applicabile ai giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore e ai ricorsi promossi dopo il 16 settembre 2010, come quello in esame, secondo il principio del tempus regit actum, nelle implicazioni di diritto intertemporale da ultimo precisate dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n° 1 del 7 marzo 2011.

Ne deriva la pacifica ammissibilità del cumulo oggettivo della domanda di ottemperanza al giudicato e della domanda risarcitoria sia per i danni da mancata esecuzione del giudicato che per i danni da illegittimità dei provvedimenti annullati, da conoscere entrambe in questa sede, nei modi e termini del rito ordinario, ai sensi dell’art. 112, quarto comma, del codice del processo amministrativo, sussistendo, nell’odierno ricorso, tutti i requisiti di forma e di sostanza necessari per lo svolgimento del giudizio con il suddetto rito (conforme, Cons. Stato, Sez. V, 23 novembre 2010, n. 8142; TAR Puglia, Bari, 10 gennaio 2011 n. 19; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 18 gennaio 2011, n. 261; T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 01 dicembre 2010, n. 26514; T.A.R. Lombardia Milano, Sez. IV, 28 ottobre 2010, n. 7139).

In tal senso depone la ratio legis come desumibile dalla relazione governativa al decreto legislativo 2 luglio 2010 n° 104, laddove sottolinea che "considerata la storica natura mista del giudizio di ottemperanza, che non é pura esecuzione, ma presenta fisiologici momenti di cognizione, si é ritenuto di poter consentire la concentrazione, nell’ambito del giudizio di ottemperanza, di azioni cognitorie connesse, per evidenti ragioni di economia processuale".

Rispetto alla suddetta ratio appare incompatibile ogni diversa ipotesi che si discosti dall’odierna trattazione contestuale delle domande cumulative con rito ordinario: in particolare, l’art. 112 del codice non sembra autorizzare nè la salvezza della sola azione di ottemperanza con inammissibilità di quella risarcitoria di cui all’art. 30, V comma, del medesimo codice, nè la separazione dei giudizi, soluzioni ad ogni evidenza confliggenti sia con il principio di conservazione degli atti giuridici, sia con il principio di concentrazione e di economia processuale.

Alla medesima conclusione si perviene anche in considerazione dell’esigenza di pienezza ed effettività della tutela e di ragionevole durata del processo, atteso che la cognizione, nell’unica odierna sede, delle domande proposte, oltre ad evitare dilazioni temporali alle quali inevitabilmente resterebbe esposta parte ricorrente in caso di fissazione di una nuova udienza pubblica in seguito a conversione del rito, a parere del Collegio, appresta idonea garanzia al diritto di difesa per almeno un duplice ordine di ragioni:

1) perché la scelta processuale, anche relativa al ricorso cumulativo con proposizione per la prima volta in sede di ottemperanza della domanda risarcitoria da lesione di interesse legittimo pretensivo, é nata da iniziativa della ricorrente, che, dunque, non può dolersene, avendola, nei fatti, reputata adeguata ad assolvere alla domandata tutela;

2) lo svolgimento del giudizio con rito ordinario e con l’esercizio dei poteri giurisdizionali connessi a tale rito non consente di inferire alcuna compressione alle garanzie difensive di cui normalmente dispone la parte in sede di cognizione.

In definitiva, per le argomentazioni fin qui esposte, le domande proposte con l’odierno ricorso sono ammissibili e vanno scrutinate in questa sede con le modalità e nei termini del rito ordinario.

Ciò premesso, venendo al merito, la domanda di ottemperanza dev’essere accolta perché fondata.

Dalla sentenza n° 7933 del 24 giugno 2010, di questo Tribunale, scaturisce l’obbligo conformativo, per l’amministrazione, di "valutare la sussistenza, in capo alla richiedente, dei requisiti per l’esercizio di un’attività accessoria come quella di immissione diretta nei veicoli del gasolio per autotrazione".

E’ incontestato, agli atti del giudizio, l’inadempimento dell’amministrazione a tale obbligo conformativo discendente dal giudicato qui in rilievo.

Deve, pertanto, essere ordinato all’Assessorato resistente di dare attuazione a quanto stabilito nella riferita sentenza entro 60 (sessanta) giorni dalla notificazione o, se antecedente, dalla comunicazione in via amministrativa della presente pronuncia.

Per l’eventualità di una perdurante inottemperanza dell’amministrazione regionale è nominato Commissario ad acta – con l’incarico di porre in essere, entro 60 (sessanta) giorni decorrenti dalla scadenza del termine precedente, tutti gli adempimenti necessari alla completa esecuzione della sentenza n° 7933 del 24 giugno 2010 – il Prefetto di Palermo, attribuendo allo stesso la facoltà di subdelega nominativa a un funzionario dell’Ufficio Territoriale del Governo, provvisto delle necessarie competenze tecniche.

Residua l’esame della domanda risarcitoria dei danni asseritamente cagionati dai dinieghi annullati con la succitata sentenza, dei danni lamentati per la mancata esecuzione del giudicato, nonché per il ritardo nel rilascio del chiesto titolo concessorio.

Ritiene il Collegio che, ferma l’ammissibilità dell’azione, l’esame degli atti di causa evidenzi l’infondatezza nel merito delle pretese risarcitorie azionate in questa sede, in quanto sfornite di supporto probatorio sulla stessa sussistenza del danno allegato e sul nesso di condizionamento eziologico rispetto alla condotta serbata dall’amministrazione, prima ancora che sulla sua esatta quantificazione.

E’ noto come, dopo il revirement di cui alle SS.UU. della Corte di Cassazione n° 500/99, i cui principi sono stati recepiti dalla legge n° 205/2000 e oggi dal Codice del Processo Amministrativo, si sia affermato in sede giurisprudenziale il principio per cui "il risarcimento non può ritenersi un semplice effetto automatico dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento impugnato, richiedendo, invece, la presenza di una verifica positiva degli specifici requisiti (lesione della posizione giuridica soggettiva tutelata, accertamento dell’imputabilità dell’evento dannoso alla responsabilità della P.A., esistenza di un danno patrimoniale ingiusto, nesso causale tra l’illecito compiuto e il danno subito), atteso che il ricorso giurisdizionale é diretto a conseguire la riparazione integrale della concreta situazione pregiudicata, cosicchè il ricorso all’azione risarcitoria é possibile solo quando – nonostante l’annullamento dell’atto e la nuova attività amministrativa volta all’adozione di altro atto che soddisfi l’interesse del privato – sussistano ancora conseguenze pregiudizievoli in capo all’interessato, gravando, in tal caso, però su chi assume di essere stato danneggiato l’onere di fornire la necessaria prova circa la sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità dell’illecito" (Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, 26 ottobre 2010, n° 1315; in tal senso, da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 2011, n° 1335; Cons. Stato, Sez. V, 12 dicembre 2009, n° 7800 e, nella giurisprudenza di legittimità, tra le più recenti, Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2010, n° 4326; Cass. civ., Sez. I, 29 gennaio 2010, n° 2122; Cass., SS.UU., 22 giugno 2005).

E’ principio di diritto indiscusso che, nel giudizio sulla domanda di risarcimento del danno, la ripartizione dell’onere probatorio avviene secondo l’art. 64 del Codice del Processo Amministrativo e l’art. 2697 c.c., di talchè, per il criterio della vicinanza della prova, incombe al danneggiato l’onere di dimostrare puntualmente l’esistenza del danno asseritamente sofferto, non potendo essere invocato un intervento giudiziale suppletivo, nè attraverso l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nè mediante liquidazione equitativa, qualora non sia stato assolto l’onere di allegazione e produzione degli elementi nella disponibilità della parte onerata, attraverso i mezzi di prova previsti dall’art. 63 del Codice del Processo Amministrativo (ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 2011, n° 1672; Cons. Stato, Sez. IV, 11 febbraio 2011, n° 924; Cons. Stato, Sez. V, 10 novembre 2010, n° 8006; Cons. Stato, Sez. V, n° 6118/2009; Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, 12 maggio 2010, n° 640; Cass., SS.UU. civ., 16 febbraio 2009, n° 3677; Cass. civ., Sez. lav., 17 settembre 2010, n° 19785; Cass., SS.UU. civ., 30 ottobre 2001, n° 13533).

In particolare, giova ricordare che, in seguito agli storici interventi demolitori e monito della Corte Costituzionale n° 146/1987 e n° 251/1989, ed in forza delle novelle legislative recate dall’art. 35 del d.lgs. n° 80 del 1998 e dalla legge 21 luglio 2000 n° 205, come oggi trasfuse nella disciplina degli artt. 63 e seguenti del Codice del Processo Amministrativo, il giudice amministrativo sia in sede di giurisdizione esclusiva, che di giurisdizione generale di legittimità può disporre l’assunzione di tutti i mezzi di prova contemplati dal codice di procedura civile, ad eccezione dell’interrogatorio formale e del giuramento.

Il codice di procedura civile regola analiticamente le prove, distinte in precostituite e costituende, dedicando un separato spazio di disciplina alla consulenza tecnica d’ufficio, quale strumento giudiziale di acquisizione e valutazione della prova, esperibile nei casi di cui all’art. 61 c.p.c..

Senza qui soffermarsi sulla nozione, funzione e classificazione processualcivilistica dei mezzi di prova, va rilevato, tuttavia, che nessuna delle prove né precostituite, né costituende, ammissibili in base al Codice del Processo Amministrativo e al codice di procedura civile, è stata prodotta in giudizio dalla parte ricorrente a supporto dei fatti costitutivi della domanda risarcitoria azionata e, in particolare, a dimostrazione dell’esistenza del danno, della sua entità e della sua ascrivibilità eziologica alla condotta dell’amministrazione intimata.

A corredo dell’odierno ricorso, infatti, la ricorrente ha prodotto unicamente una relazione di stima redatta da un consulente tecnico di parte, che, sulla base del numero di fatture emesse dalla società nel quadriennio 2006 – 2010, ha evidenziato un "calo drastico del numero di fatture emesse" e dei correlativi introiti, senza allegare alcuna documentazione comprovante il fondamento dell’analisi, dalla quale, peraltro, non si evince in termini conducenti che l’asserito calo del fatturato trovi nell’azione o nell’inerzia amministrativa la sua "conditio sine qua non".

Il Collegio non può esimersi dal rilevare che nel giudizio amministrativo, come in quello civile, la consulenza tecnica di parte, isolatamente considerata e non supportata da documentazione oggetto di valutazione, non esplica alcuna efficacia probatoria.

L’art. 87 c.p.c. equipara l’assistenza tecnica del consulente di parte all’assistenza del difensore, sia pur limitatamente al profilo tecnico della difesa, mentre l’art. 201 c.p.c. riserva alla consulenza tecnica di parte, di natura facoltativa e con tassativa predeterminazione delle attività espletabili, la funzione di garantire la pienezza del contraddittorio, nell’ambito dei confini delineati dai quesiti del giudice al consulente tecnico d’ufficio, dagli accertamenti compiuti e dalla relazione stesa da quest’ultimo.

Nel caso in esame, in cui la relazione di parte fuoriesce dall’alveo di rilevanza processuale come sopra delineato, le valutazioni in essa contenute non si prestano ad assolvere all’onere probatorio, essendo altresì prive dell’unica efficacia giuridica che l’ordinamento riconnette alla consulenza tecnica di parte, quando svolta conformemente al dettato di legge, ovvero quella di argomento di prova, rimesso al libero apprezzamento del giudice, ai sensi dell’art. 116, secondo comma, c.p.c..

Neppure ricorrono i presupposti per un’iniziativa istruttoria officiosa, atteso che, in mancanza di un principio di prova, desumibile, a titolo esemplificativo, da disdette contrattuali, richieste di pagamento di penali, puntuazione precontrattuale, trattative in corso interrotte a causa del ritardato rilascio del titolo, contratti stipulati sotto condizione sospensiva o risolutiva del rilascio del titolo, eventuale contenzioso insorto con fornitori o clienti, impossibilità di adempiere ad obbligazioni contrattuali (tutte circostanze neanche dedotte in impugnativa), un intervento giudiziale d’ufficio si porrebbe insanabilmente in contrasto con il principio dispositivo al quale é improntato il processo amministrativo ed, in particolare, con il principio della domanda ed il suo corollario cardine del "ne eat iudex ultra alligata et probata partium" (conforme, Cons. Stato, Sez. V, n° 6118/2009; art. 64 cod. proc. amm. e artt. 112 e 115 c.p.c.).

Per le suesposte ragioni, dev’essere accolta la domanda di ottemperanza al giudicato nei sensi superiormente precisati, mentre va respinta la domanda risarcitoria, perché infondata.

Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti, stante la parziale reciproca soccombenza.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) accoglie la domanda di esecuzione del giudicato e, per l’effetto, nomina Commissario ad acta il Prefetto di Palermo o un funzionario dell’Ufficio dallo stesso delegato, che provvederà, in luogo dell’amministrazione, in caso di persistente inerzia oltre il termine assegnato di sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, nell’ulteriore termine di sessanta giorni.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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