Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-06-2010) 07-07-2010, n. 25940 FALSITA’ PERSONALE

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 20 novembre 2009, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale monocratico di Como, del 18.02.2005, che aveva condannato R.A., per i reati di ricettazione, falso materiale e tentata falsa attestazione di identità personale riconosciute le attenuanti generiche, prevalenti sulle aggravanti e la recidiva, nonchè la diminuente del rito, alla pena di anni uno e mesi due di reclusione ed Euro 400,00 di multa.

2. Avverso la sentenza propone ricorso il difensore di R., deducendo due motivi di impugnazione. a) La violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) per erronea applicazione della legge penale per il mancato riconoscimento della circostanza attenuante speciale di cui all’art. 648 c.p., comma 2. Il ricorrente deduce che la motivazione con la quale i giudici hanno escluso l’attenuante speciale del danno lieve è illogica perchè, dopo aver riconosciuto che l’oggetto del furto – il tesserino – ha un valore economico modesto hanno esteso l’elemento oggettivo del reato al danno sociale della falsificazione ed alla pericolosità della stessa, entrambi concetti di difficile definizione. b) La violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 494 c.p..

La fattispecie regolata dall’art. 494 c.p., ha natura sussidiaria rispetto ad altri reati contro la fede pubblica e rimane assorbito dalla fattispecie criminosa della falsità materiale.

La condotta illecita è unitaria perchè intesa alla finalità di evitare una identificazione.

Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

In ordine al primo motivo, va evidenziato che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, per giurisprudenza consolidata e costante di questa S.C., della quale la Corte di merito ha fatto buon uso, ai fini dell’applicazione dell’ipotesi di particolare tenuità prevista dall’art. 648 cpv. c.p., non ci si può riferire esclusivamente al valore economico della cosa ricettata, ma si deve avere riguardo a tutti quegli aspetti, oggettivi e soggettivi del fatto, che ne connotano la gravità che, in buona sostanza, si sostanziano negli elementi indicati nell’art. 133 c.p. (Rv. 180207, Rv. 187401, Rv. 216520, Rv. 195496, Rv 210598, Rv. 182221).

Ne consegue che costituisce motivazione adeguata, logica, scevra da contraddizioni e conforme alla lettera ed allo spirito dell’art. 648 c.p., quella resa dalla Corte territoriale che ha individuato la pericolosità dell’uso di una patente di guida contraffatta nel danno sociale (rectius allarme sociale) connesso all’improprio utilizzo dell’abilitazione alla guida.

Anche se contratta, la motivazione appare del tutto congrua nei contenuti, che non meritano censure.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione delle norme ed in particolare della clausola di sussidiarietà di cui all’inciso dell’art. 494 c.p. ("se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica"), richiamando la costante e non contrastata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il delitto di sostituzione di persona, in tanto può ritenersi assorbito in altra figura criminosa, in quanto ci si trovi in presenza di un fatto unico, riconducibile contemporaneamente sia alla previsione dell’art. 494 c.p. sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica (rv 210600; rv 223887; rv 231147). Nella fattispecie in esame, come sottolineato dalla Corte territoriale, si è trattato, invece, sicuramente di condotte plurime perchè l’imputato ha prima falsificato i documenti di identità e se ne è poi servito per giustificare il passaggio alla frontiera di (OMISSIS), in ingresso dalla (OMISSIS). La Corte territoriale, nel rigettare lo schema dell’assorbimento ha proprio fatto riferimento alla sussistenza di una pluralità di azioni nella condotta del R.:

tale aspetto della questione, peraltro, non è sindacabile in sede di legittimità, trattandosi di valutazione in fatto.

Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile.

Ritenuto che, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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