T.A.R. Toscana Firenze Sez. III, Sent., 08-04-2011, n. 631 Bellezze naturali e tutela paesaggistica Concessione per nuove costruzioni Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. In data 12.12.1987 la Società S. s.n.c., in qualità di locataria dell’immobile ubicato in Firenze – Via Aretina 177 r – zona soggetta a vincolo paesaggistico ex D.M. 31.08.53, presentava domanda di condono (Pos. S/69135), ex art. 31 della legge n. 47/1985, per la sanatoria di una serie di manufatti, ivi abusivamente realizzati, relativi ad un complesso edilizio di circa mq. 1100, destinato a laboratorio artigiano.

In particolare la S.AL.FER. s.n.c., richiedeva la concessione in sanatoria per:

1. cambio di destinazione d’uso di due appartamenti in locali ad uso artigianale per una superficie di mq. 172,94;

2. costruzione di tettoia in elementi in ferro e plastica per una superficie di mq. 714,13;

3. cambio di destinazione d’uso di locali preesistenti per ottenere locali al servizio dell’attività artigianale per una superficie di mq. 28,00;

4. costruzione di tettoia con strutture metalliche e copertura in ondulato plastico adibita a deposito di materiale ferroso per una superficie di mq. 23,78;

5. costruzione di tettoia in ferro di superficie pari a mq. 37,44;

6. realizzazione di ripostiglio di superficie pari a mq. 4,58;

7. realizzazione di parete in foratoni di ml. 10,35 per un’altezza di ml. 2,40 e costruzione locali tecnici sul retro del capannone.

Nella seduta del 7.09.94 la C.E.I., con decisione n° 1355, esprimeva parere contrario alla predetta domanda di condono "in quanto l’intervento costituisce grave danno ambientale".

In data 28/05/96, prot. n. 26440/96/22, l’Assessore competente faceva proprio il suddetto parere ed emetteva il provvedimento di diniego parziale n.64, con cui negava la sanatoria delle opere indicate sub 2, 4, 5, 6 e 7.

Il predetto provvedimento, conforme al predetto parere della C.E.I., veniva adottato con la seguente motivazione: "in quanto costituiscono danno ambientale, ricadendo le suddette opere abusive in zona inserita con D.M. 31.08.1953 nell’elenco delle zone da sottoporre a tutela paesaggistica ai sensi dell’art. 2 della L. 1497/39".

Tale provvedimento veniva regolarmente notificato in data 30.05.96 alla Ditta Salfer s.n.c. che aveva presentato l’ istanza di condono di cui trattasi (si veda a tal proposito la cartolina di avviso di ricevimento versata in atti), e non veniva impugnato dalla predetta Società nel termine perentorio previsto dall’art. 21 della L.1034/71.

Tale società, peraltro, era stata dichiarata fallita e il fallimento, aperto il 7 gennaio 1988, si chiudeva il 5 novembre 1997.

In data 19.07.2002, a seguito di esplicita richiesta della Sig.ra F. G., in qualità di comproprietaria, con la Sig.ra L.S., dell’immobile in questione, il predetto provvedimento di diniego veniva notificato anche alle medesime.

Avverso tale provvedimento, le Sig.re G. e Serafini promuovevano ricorso straordinario al Presidente della Repubblica che veniva depositato in data 22.11.2002.

Con decreto del Capo dello Stato in data 15.04.2008, il predetto ricorso è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza

di interesse, attesa la proposizione, medio tempore, di un’istanza di riesame della pratica di condono edilizio da parte delle stesse ricorrenti.

In data 11.11.2002 veniva emesso a carico delle predette comproprietarie il provvedimento di demolizione e rimessa in pristino dei luoghi, prot. 02/41716, regolarmente notificato loro in data 16.12.2002 ed oggetto della impugnazione proposta con l’atto introduttivo del presente giudizio.

La relativa domanda di sospensione veniva respinta da questo Tribunale, con ordinanza n° 220/2003.

In appello, il Consiglio di Stato, con ordinanza n° 1470 del 15 aprile 2003, accoglieva l’istanza di sospensione "fino alla definizione del ricorso straordinario al Capo di Stato".

Dopo la pronuncia del Consiglio di Stato, le Sig.re G. e Serafini presentavano all’Ufficio Condono Edilizio tre istanze di riesame della originaria domanda di condono con allegate le relative soluzioni progettuali di adeguamento dell’immobile ed in particolare della copertura.

In particolare, la prima, datata 27.10.2003, era corredata da un progetto di riqualificazione dell’intero complesso che proponeva la sostituzione della copertura dei manufatti abusivi attraverso la "posa in opera di un manto di copertura in cotto" nonché la "sostituzione delle pareti laterali, attualmente in ferro e pannelli prefabbricati di plastica"… "con paramenti realizzati in elementi di cemento colorato faccia vista" (come descritto nella relazione tecnica allegata all’istanza di riesame).

Tale proposta non veniva presa in considerazione dall’Ufficio Edilizia, in quanto – secondo quanto asserito dal Comune intimato nella propria memoria difensiva – avrebbe dato luogo ad un intervento di demolizione e ricostruzione, sicuramente inammissibile secondo la disciplina edilizia comunale.

La seconda, datata 1.04.2004, prevedeva la sostituzione della sola copertura con un materiale diverso dall’esistente, ovvero con un ondulato in multistrato di tipo simile ai coppi e alle tegole di tradizione fiorentina.

In ordine al predetto progetto la C.E.I. – in data 19.05.2004 – sospendeva il giudizio in attesa della definizione del ricorso straordinario al Capo dello Stato.

La terza, presentata in data 21.09.2004, prevedeva una diversa soluzione in ordine al materiale destinato alla copertura (ovvero lastre di rame anticato, invece dell’ondulato di tipo simile ai coppi, a motivazione dell’ eccessivo ed insostenibile carico che avrebbe determinato il materiale in multistrato di cui al precedente progetto rispetto alla struttura dell’edificio), nonché la riverniciatura delle facciate dei manufatti.

In data 17.02.2005 l’Ufficio Condono Edilizio trasmetteva alla Commissione Edilizia Integrata il progetto da ultimo indicato per l’espressione del parere di competenza.

La Commissione Comunale per il Paesaggio – istituita ai sensi della L.R. n. 1/2005 – chiamata a pronunciarsi sul progetto da ultimo indicato, in data 14.03.2005, definiva l’intervento compatibile con il vincolo paesaggistico, "viste le integrazioni prodotte e vista la richiesta di adeguamento ai sensi dell’art. 198.7 R. E. ".

Sulla base della decisione della Commissione, il Dirigente dell’Ufficio Condono Edilizio emetteva in data 6 maggio 2005 parere positivo ex art. 32 della legge n. 47/1985, ritenendo che "la permanenza dei suddetti manufatti non rappresenti… elemento di degrado ambientale".

Con nota del 27.06.2005, la Soprintendenza per i Beni e le Attività Culturali non rilevava motivi di illegittimità tali da far annullare il suddetto parere.

In data 4 dicembre 2006 la Commissione Comunale per il Paesaggio, cui veniva nuovamente presentata dall’Ufficio Condono Edilizio, con nota del 25.09.2006 prot. 50709/06, la richiesta di sanatoria dei manufatti abusivi, confermava il precedente parere contrario già esposto in ordine alla domanda di condono edilizio presentata dalla Società Salfer, sulla base della seguente motivazione:

"- preso atto che il progetto di adeguamento estetico presentato dai richiedenti in data 23.09.04, è stato erroneamente trasmesso dall’Ufficio Condono alla C.E.I., dato che, in base a quanto espresso nella sopracitata nota del 25.09.06, all’istanza non risulta applicabile la procedura di cui all’art. 198.7 del Regolamento Edilizio, poiché la stessa risulta già definita al momento della richiesta;

– preso atto che alla Commissione Comunale per il Paesaggio si richiede di conseguenza di esprimersi sull’istanza di condono, in riferimento allo stato originario ed attuale dei luoghi, conferma il parere negativo già espresso dalla C.E.I. nella seduta del 7.09.1994".

II predetto parere veniva trasmesso al legale delle ricorrenti con comunicazione della Dirigente dell’Ufficio Condono Edilizio in data 4 gennaio 2007 prot. 2484/07.

Con atto notificato in data 15.03.2007 le ricorrenti hanno conseguentemente proposto motivi aggiunti avverso il parere della Commissione Comunale per il Paesaggio, nonché avverso la predetta nota di trasmissione, quale diniego implicito della istanza di riesame e conferma del diniego di condono.

2. Il ricorso principale concerne l’impugnativa dell’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino dei luoghi prot. 02/41716 dell’11.11.2002.

Con il primo motivo le ricorrenti lamentano: illegittimità derivata dalla illegittimità del provvedimento di diniego di sanatoria del 28.05.1996.

Vengono riproposte le medesime censure già svolte nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, che, com’è stato evidenziato in fatto è stato dichiarato improcedibile con decreto n° 836/2008, per sopravvenuta carenza di interesse.

Nel ricorso al Capo dello Stato le ricorrenti lamentavano la violazione ed erronea applicazione dell’art.3 L.7.08.1990 n° 241,

nonché eccesso di potere per insufficiente motivazione e carenza

di istruttoria.

L’Amministrazione Comunale eccepisce l’inammissibilità delle predette doglianze sotto tre distinti profili:

– in primo luogo perché le ricorrenti non avevano a suo tempo presentato la domanda di condono cui si riferisce il provvedimento di diniego contestato e non erano quindi legittimate a proporre alcuna impugnazione avverso il medesimo;

– in secondo luogo, perché le censure riferite al diniego di condono risultano comunque tardive (di oltre sei anni…), rispetto alla data di adozione del medesimo;

– in terzo luogo perché il ricorso straordinario al Presidente della

Repubblica è per definizione alternativo al ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo, e pertanto le eccezioni in esso contenute non possono essere legittimamente riproposte in questa sede.

Si può prescindere dall’esame delle predette eccezioni, stante l’infondatezza delle doglianze nel merito.

Come si è visto, il diniego parziale di sanatoria in questione (datato 28.5.1996 prot. n. 26440/96/22), ha per oggetto la domanda di condono ex art. 31 della legge n. 47/1985, presentata in data 12.12.1987 dalla società S. s.n.c., in qualità di locataria dell’immobile ubicato in Firenze – Via Aretina 177 r – zona soggetta a vincolo paesaggistico ex D.M. 31.08.53, per la sanatoria di una serie di manufatti, ivi abusivamente realizzati, relativi ad un complesso edilizio di circa mq. 1100, destinato a laboratorio artigiano.

In particolare, il diniego di sanatoria concerne le seguenti opere abusive:

1. costruzione di tettoia in elementi in ferro e plastica per una superficie di mq. 714,13;

2. costruzione di tettoia con strutture metalliche e copertura in ondulato plastico adibita a deposito di materiale ferroso per una superficie di mq. 23,78;

3. costruzione di tettoia in ferro di superficie pari a mq. 37,44;

4. realizzazione di ripostiglio di superficie pari a mq. 4,58;

5. realizzazione di parete in foratoni di ml. 10,35 per un’altezza di ml. 2,40 e costruzione locali tecnici sul retro del capannone.

Il diniego veniva motivato sulla base del parere n° 1355 del 7.09.94 della C.E.I., la quale aveva ritenuto che l’intervento costituisse grave danno ambientale.

E, il parere contrario formulato dalla C.E.I. per le opere abusive di cui si controverte, risulta motivato in termini che, per quanto sintetici, risultano del tutto chiari e univoci e non evidenzia, alla luce della documentazione anche fotografica prodotta, profili di travisamento o palese illogicità della valutazione, insindacabile nel merito, compiuta dalla C.E.I.. Dalla motivazione del parere si evince l’avvenuto accertamento della esistenza di un impatto negativo, per di più notevole ("grave danno"), sull’ambiente protetto dei manufatti in questione. L’Amministrazione comunale ha recepito detto giudizio di disvalore che, stanti le caratteristiche strutturali delle opere, non può considerarsi privo di una sua puntuale e logica giustificazione.

Le ricorrenti rilevano altresì che l’Amministrazione Comunale avrebbe dovuto indicare le prescrizioni più idonee per consentire un migliore inserimento ambientale delle opere, invece di ordinare la misura ripristinatoria.

Anche tale rilievo non può essere condiviso.

La giurisprudenza amministrativa ha, infatti, riconosciuto – secondo un orientamento pienamente condiviso dal Collegio – per fattispecie analoghe a quella in oggetto, la legittimità di una motivazione essenziale, ossia scevra di prescrizioni o richieste di adeguamenti, "non essendo ravvisabile nel sistema, a carico della p.a. l’onere di indicare in una logica comparativa degli interessi in gioco, prescrizioni tese a rendere l’intervento compatibile con la bellezza tutelata, la cui protezione risponde ad un interesse pubblico normalmente prevalente su quello privato"(T.A.R. Toscana, n.806 del 19.04.02).

A ciò si aggiunga che, l’Amministrazione preposta alla tutela di un’area vincolata può condizionare modalità di esecuzione di opere edilizie in sede di autorizzazione preventiva, mentre va esclusa tale facoltà allorché si tratti di esprimere un parere sulla sanabilità delle opere edilizie già realizzate (trattandosi di attività di edificazione già esaurita) (cfr., T.A.R. Toscana 05.10.2006 n° 4228; Cons di Stato, II Sez.. parere n° 398/95 del 30 aprile 1996).

Infine le ricorrenti lamentano un ritardo dell’Amministrazione nel rilevare l’incompatibilità della costruzione abusiva con i valori estetici e tradizionali del luogo, in quanto l’Amministrazione Comunale avrebbe dovuto attivarsi in occasione della realizzazione delle costruzioni abusive, avvenuta, secondo quanto dalle stesse asserito, intorno agli anni "70.

Anche tale assunto non può essere condiviso.

Occorre infatti ricordare che, secondo un principio ormai ben noto e consolidato nella giurisprudenza amministrativa – come correttamente evidenziato dal Comune intimato nei propri scritti difensivi – l’esercizio del potere di controllo e sanzionatorio della p.a. in materia urbanistico edilizia e paesistica non è soggetto a prescrizione. Ne consegue che l’accertamento dell’illecito amministrativo paesistico e l’applicazione della relativa sanzione, così come la verifica in sede di condono della ricorrenza di un profilo preclusivo di incompatibilità, può intervenire anche dopo il decorso di un rilevante lasso temporale dalla consumazione dell’abuso, al quale deve riconoscersi natura permanente sino al conseguimento del titolo autorizzatorio (cfr., Cons. Stato, sez. VI, n. 528 del 10.02.2006; sez. VI, 15 novembre 2004, n.7405).

Sicché anche la predetta censura risulta priva di ogni fondamento.

Con il secondo motivo del ricorso principale le ricorrenti eccepiscono che il provvedimento di demolizione sarebbe stato notificato unicamente alla Sig.ra F. G. e non alla Sig.ra L.S., vedova G..

La doglianza, che avrebbe potuto avere rilievo solo ai fini del riconoscimento dell’errore scusabile, è, nella specie, inconferente, tenuto conto che la Sig.ra L.S., vedova G., ha tempestivamente proposto il ricorso in esame avverso il suindicato provvedimento di demolizione.

Con il terzo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano eccesso di potere per errore sullo stato dei luoghi e difetto di motivazione in

ordine alla possibilità tecnica della demolizione.

Si deduce l’illegittimità del provvedimento di demolizione impugnato sul presupposto che esso avrebbe dovuto tener conto della peculiarità delle costruzioni abusive, il che, secondo la tesi ricorsuale, avrebbe escluso l’adozione del provvedimento di demolizione, non essendo quest’ultima tecnicamente possibile.

Anche tale motivo è infondato e come tale dev’essere respinto.

A riguardo è sufficiente rilevare che la asserita impossibilità tecnica di procedere alla demolizione risulta smentita dalla stessa relazione tecnica prodotta dalle ricorrenti, dalla quale, da un lato, non si traggono elementi per revocare in dubbio quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente – e cioè che le opere abusive consistono in una serie di tettoie e locali strutturalmente indipendenti dal fabbricato principale, la cui demolizione risulta sicuramente possibile, proprio in virtù dei materiali usati e del carattere provvisorio delle costruzioni realizzate – e, dall’altro, emerge che le difficoltà che si frapporrebbero alla demolizione sono di ordine puramente economico.

3. L’atto introduttivo del presente giudizio va, pertanto, respinto.

4. Con ricorso per motivi aggiunti, depositato il 30 marzo 2007, le ricorrenti hanno impugnato il parere contrario della Commissione Comunale per il Paesaggio reso nella seduta del 4 dicembre 2006 di conferma del precedente parere in ordine alla domanda di condono edilizio presentata dalla società Salfer S/69135; la nota del Dirigente dell’Ufficio Condono Edilizio del 4 gennaio 2007 prot. 2484/07 costituente diniego implicito alla istanza di riesame e conferma al diniego di condono; l’istanza dell’Ufficio Condono Edilizio del 25 settembre 2006 prot. n. 50709/06 inviata al Presidente della Commissione Comunale per il Paesaggio nella quale si afferma la inapplicabilità al caso di specie dell’art. 198.7 del Reg. Edilizio; nonché, per quanto occorrer possa, l’art. 198.7 del Regolamento Edilizio del Comune di Firenze laddove dovesse essere interpretato nel senso che, relativamente alle domande di condono, sono consentiti interventi di adeguamento solamente sugli immobili per i quali non è stato ancora emesso il diniego, ovvero nei casi in cui quest’ultimo è stato notificato successivamente all’entrata in vigore del R.E.. Con il medesimo ricorso per motivi aggiunti è stata chiesta, altresì, la condanna del Comune di Firenze e del Dirigente dell’Ufficio Condono Edilizio al pagamento di solido del risarcimento del danno in favore dei ricorrenti.

Anche il ricorso per motivi aggiunti è infondato.

Con il primo dei motivi aggiunti, le ricorrenti ripropongono le medesime censure già svolte nel ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, dichiarato improcedibile con decreto n° 836/2008, per dedurne l’illegittimità dei provvedimenti impugnati dalla illegittimità del parere della C.E.I. del 7.9.1994 e del provvedimento di diniego di condono del 28.5.1996.

Tali censure sono destituite di fondamento, come emerge dalle considerazioni sviluppate nel precedente paragrafo.

Con il quarto e quinto dei motivi aggiunti – che per comodità espositiva vengono esaminati prioritariamente e congiuntamente – le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 198.7 del Regolamento Edilizio del Comune di Firenze e dell’art. 97 della Costituzione, nonché eccesso di potere per difetto di motivazione e disparità di trattamento.

Si sostiene che alla pratica di condono di cui si discute doveva essere necessariamente applicata la procedura di cui all’art. 198.7 del Regolamento Edilizio Comunale, con conseguente adozione di un provvedimento comunale di annullamento in autotutela del diniego di condono (quarto motivo).

Nella denegata ipotesi in cui si dovesse ritenere che l’art. 198.7 citato non possa essere applicato alle pratiche di condono già concluse alla data di approvazione della norma, ovverosia l’anno 2001, la norma stessa risulterebbe illegittima per violazione dei principi generali di imparzialità, correttezza e buon andamento dell’azione amministrativa, nonchè sotto il profilo dell’eccesso di potere per disparità di trattamento, non essendo ammissibile che una norma possa consentire un trattamento differente di due pratiche presentate nello stesso momento e in forza della stessa legge (quinto motivo).

Entrambe le censure non possono essere condivise.

La procedura prevista dall’art. 198.7 del Regolamento Edilizio, invocata dalle ricorrenti, è stata introdotta con le deliberazioni comunali nn. 346/2000 e 214/2001 (quindi successivamente all’emanazione del diniego di condono del 28.05.96 riferito alle opere abusive di cui trattasi), e ha una portata del tutto eccezionale e, comunque limitata alle ipotesi ivi tassativamente previste.

Questo il tenore testuale della norma: "Nel caso che i manufatti oggetto di condono, assoggettati al regime di cui al D.Lgs. 490/99, vengano valutati negativamente dagli organismi competenti, per motivi non sostanziali e comunque modificabili senza alterazioni sostanziali della struttura oggetto di condono, il Soggetto competente al rilascio dell’atto di sanatoria, potrà aprire una fase di partecipazione al procedimento ai sensi degli artt. 7 e 8 della L. 241/90, in modo da consentire agli interessati di proporre, entro termini determinati, eventuali interventi di adeguamento, finalizzati a rimuovere i motivi ostativi individuati dai competenti organi, in analogia con il procedimento di adeguamento statico previsto dall’art. 35, 5° comma, della L. 47/85. Gli eventuali interventi proposti saranno valutati dai medesimi organismi che hanno espresso il precedente parere, e la realizzazione degli interventi di adeguamento sarà condizione indispensabile per il rilascio della Sanatoria.

Una volta trascorso infruttuosamente il termine assegnato per gli eventuali adeguamenti si procederà comunque al diniego della istanza".

Orbene, non può non convenirsi con il Comune intimato nel ritenere che dalla semplice lettura dell’art. 198.7 in questione risulti evidente che la procedura eccezionale dallo stesso prevista presuppone necessariamente che non sia stato ancora adottato alcun provvedimento di definizione della domanda di condono.

Tale considerazione appare, inoltre, confermata dalla rubrica della norma, ovvero "Normativa transitoria in materia di manufatti oggetto di condono edilizio" che a tenore letterale non può certamente riferirsi ad ipotesi di condono già definite e addirittura già sanzionate da un’intimazione di demolizione, come nel caso di specie.

Pertanto, tenuto conto dell’inequivoco tenore della norma in questione e del carattere eccezionale della stessa, l’ulteriore censura di cui al quinto motivo di ricorso, risulta inammissibile per carenza di interesse.

Infatti, quand’anche dovesse risultare fondata, condurrebbe all’annullamento della suindicata disposizione, della quale, invece, le ricorrenti chiedono l’applicazione.

Né a diverse conclusioni in ordine all’inapplicabilità nel caso di specie del ripetuto art. 198.7, può condurre la tesi ricorsuale secondo la quale il procedimento di condono si sarebbe concluso solo con la comunicazione alle ricorrenti del diniego di condono da parte del Comune di Firenze, avvenuta il 19.7.2002, e quindi dopo l’entrata in vigore del citato art. 198.7.

Infatti, ad escludere siffatta possibilità vi è la circostanza che la domanda di condono non era stata presentata dall’allora proprietario – Sig. G. – ma esclusivamente dalla società Salfer, in qualità di locataria, la quale aveva realizzato le opere abusive, e non risulta che il Sig. Giorgio G., ovvero alcuno dei successivi proprietari abbia mai rivolto all’Amministrazione Comunale formale richiesta di subentro nella domanda di condono.

Anche con la nota del 23.04.1989 (citata dalle ricorrenti a pag. 15 dei motivi aggiunti), che risulta inviata dagli eredi del Sig. G. al Comune di Firenze si chiedeva unicamente di essere informati in ordine alla pratica di condono in corso; non certo di subentrare nella domanda già presentata dalla società Salfer s.n.c..

Inoltre, è incontestato che, ancorchè la società Salfer s.n.c. sia stata dichiarata fallita dal Tribunale di Firenze con sentenza del 9 gennaio 1988, non sia stata effettuata dalla stessa, né dai proprietari dell’area su cui insiste l’opera abusiva di cui si controverte, alcuna comunicazione in proposito al Comune di Firenze.

Pertanto, la notifica del provvedimento di diniego, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/85, risulta essere stata correttamente effettuata presso la sede legale della società richiedente, conformemente ai dati in possesso dell’Ufficio Condono. E, la relativa relata è stata regolarmente restituita all’Ufficio Condono, firmata in data 30 maggio 1996 dal Sig. "Belli" che, in base ad accertamenti – le cui risultanze sono incontestate – effettuati dall’Ufficio Condono (come precisato nel rapporto informativo dell’Amministrazione Comunale del 5 settembre 2007, versato in atti), era un dipendente della stessa società Salfer.

L’infondatezza del quarto e del quinto motivo aggiunto, con conseguente inapplicabilità al caso di specie dell’art.198.7 del Regolamento Edilizio, per le ragioni innanzi esposte, comporta l’assorbimento del sesto dei motivi aggiunti, con il quale le ricorrenti lamentano, con riferimento alla nota dei 25 settembre 2006 Prot. 50709/06, la violazione ed erronea applicazione del citato art. 198.7 del Regolamento Edilizio, nonché eccesso di potere per travisamento, per avere il Comune prima ritenuto che il citato art. 198.7 potesse trovare applicazione in quanto la valutazione negativa era stata espressa "per motivi non sostanziali e comunque modificabili senza alterazioni della struttura oggetto di condono", per poi immotivatamente modificare il proprio avviso.

Con il secondo dei motivi aggiunti, le ricorrenti lamentano, in ordine al parere della Commissione per il Paesaggio del 4 dicembre 2006 e alla nota del 4 gennaio 2007, la violazione ed erronea applicazione dell’art. 3 L.7.08.1990 n° 241, nonché eccesso di potere per insufficiente motivazione, travisamento, illogicità, erroneità, contraddittorietà, e per mancata valutazione dell’interesse privato al mantenimento dell’opera rispetto al vincolo esistente.

Anche tale deduzione è infondata.

Con il primo profilo di doglianza si deduce l’illegittimità del provvedimento impugnato, che ha confermato il contrasto con il vincolo ambientale, poiché, secondo le ricorrenti, il manufatto "è ben lontano dal rappresentare elementi visivi di particolare disturbo per il panorama"; pertanto, secondo le ricorrenti, le opere abusive oggetto della domanda di condono non arrecherebbero alcun pregiudizio estetico, rimanendo riparate dalla vista diretta del pubblico.

Il rilievo non può essere condiviso.

La maggiore o minore visibilità dell’opera abusiva non può rilevare ai fini del giudizio di compatibilità con i valori paesaggistici tutelati, in quanto la compatibilità delle opere con le esigenze di tutela ambientale non è un giudizio legato alla maggiore o minore visibilità delle opere stesse, ma al rispetto di determinati criteri e modalità di costruzione, che costituiscono i presupposti per il corretto adeguamento del vincolo paesaggistico (cfr., T.A.R. Valle d’Aosta, sent. n. 103 del 23.05.2003; nello stesso senso T.A.R. Umbria, sent. n. 218 del 24.03.1998).

Ed infatti, nella fattispecie in esame, il diniego di sanatoria risultava motivato proprio con riferimento alla contrarietà della costruzione abusiva con i valori estetici tradizionali del luogo a causa dell’impiego di materiali non armonici rispetto all’ambiente

circostante nonché del ricorso a caratteristiche costruttive non usuali per una zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

In altri termini, ove l’Amministrazione verifichi l’inconciliabilità di un’opera abusiva rispetto ai valori paesaggistici tutelati, l’eventuale mancanza di visibilità della costruzione – nel caso di specie peraltro insussistente, come ben evidenziato nel rapporto dell’Ufficio Condono in data 05.09.2007 – non potrà essere idonea a giustificare un esito positivo del giudizio di compatibilità.

Senza peraltro considerare che qualora si accedesse alla tesi ricorsuale si finirebbe per introdurre nel sistema una sorta di esimente – non prevista dalla legge – mediante la automatica sanabilità degli abusi edilizi pure se consistenti in opere che, per i materiali utilizzati e le caratteristiche costruttive e tipologiche, siano assolutamente inconciliabili con l’ambiente circostante, per il solo fatto della loro mancanza di visibilità.

Con la conseguenza di una facile – ed inammissibile – elusione della normativa ambientale: si consentirebbe, infatti, in modo surrettizio la realizzazione di manufatti anche se palesemente contrastanti con i valori estetici del luogo (cfr., TAR Toscana, sez. III, 6 novembre 2001 n. 1738).

Quanto poi alla lamentata disparità di trattamento riferita ad altri manufatti abusivi presenti nella medesima zona che sarebbero stati oggetto di sanatoria, preme innanzitutto rilevare che tale censura, si risolve, in realtà, in una mera affermazione di parte priva di un qualsiasi supporto probatorio, quanto meno in relazione all’ubicazione ed alla consistenza dei manufatti presi in

considerazione dalle ricorrenti.

La predetta doglianza è comunque infondata.

Infatti – a prescindere da qualsivoglia ulteriore considerazione – quand’anche fosse riscontrabile un eventuale incontrollato rilascio di titoli edilizi in sanatoria in situazioni ipoteticamente analoghe a quelle per cui è causa, tale circostanza non potrebbe comunque giustificare l’estensione ad altri delle rilevate illegittimità.

Con il terzo motivo aggiunto, le ricorrenti rilevano, con particolare riferimento al parere contrario espresso dalla Commissione per il Paesaggio, che il Comune di Firenze avrebbe errato nel confermare il parere negativo della predetta Commissione ed, implicitamente, il provvedimento di diniego, senza una nuova ed adeguata istruttoria, la cui necessità si imponeva dal momento che si trattava di riesaminare la pratica alla luce degli sviluppi successivi dei quali la stessa Commissione e l’Ufficio erano compiutamente informati.

La doglianza non ha pregio.

In realtà tale parere, prendendo atto che il progetto di adeguamento estetico proposto dalle proprietarie non poteva essere preso in considerazione (atteso che, come si è visto, il procedimento di cui all’art.198.7 del Regolamento Edilizio del Comune di Firenze non poteva essere applicato ad ipotesi di istanze di condono già definite, quale quella di cui si controverte), ha ovviamente fatto riferimento "allo stato originario ed attuale dei luoghi", così come documentato nell’istanza di condono.

Pertanto, non era necessaria alcuna ulteriore istruttoria da parte dell’Ufficio Condono in quanto si trattava unicamente di riesaminare, a seguito della formale richiesta delle ricorrenti, la compatibilità paesaggistica delle predette opere in relazione al contesto in cui erano inserite.

Né può, di conseguenza, fondatamente dedursi – quale ulteriore profilo di doglianza – che il parere adottato dal Comune di Firenze in data 4 dicembre 2006 sarebbe censurabile per contraddittorietà rispetto al precedente parere positivo.

Le decisioni messe a raffronto, infatti, non sono tra loro comparabili, proprio perché muovono da presupposti differenti: la Commissione per il Paesaggio, nella seduta del 14 marzo 2005, ritenendo erroneamente – per le ragioni innanzi esposte – di poter fare applicazione dell’art. 198.7 del Regolamento Edilizio, ha valutato l’istanza, presentata in data 21 settembre 2004, di riesame della originaria domanda di condono con allegata la soluzione progettuale di adeguamento dell’immobile, con modifica della copertura; nella seduta del 4 dicembre 2006, invece, la Commissione, essendosi avveduta dell’errore commesso, si è limitata a riesaminare l’istanza di condono "in riferimento allo stato originario ed attuale dei luoghi", e a confermare il proprio precedente giudizio del 7 settembre 1994, senza poter condizionare un eventuale parere favorevole sull’opera abusiva già realizzata ad eventuali modifiche della stessa, trattandosi, come innanzi precisato, di attività di edificazione già esaurita.

5. Anche il ricorso per motivi aggiunti va, pertanto, respinto.

6. Va ugualmente respinta la domanda di risarcimento danni, stante l’accessorietà della stessa rispetto alla domanda principale.

7. Quanto alle spese di giudizio, le stesse seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale della Toscana – Sezione III^, respinge sia l’atto introduttivo del presente giudizio che il ricorso per motivi aggiunti.

Respinge la domanda di risarcimento del danno.

Condanna le ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di giudizio che liquida nella complessiva somma di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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