Cons. Stato Sez. IV, Sent., 11-04-2011, n. 2233 forze armate

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il presente gravame l’appellante – ex tenente colonnello in riserva della Guardia di Finanza destituito a seguito di procedimento disciplinare conseguente ad una condanna penale per i reati di corruzione ed istigazione alla corruzione — chiede l’annullamento della sentenza del Tar della Toscana con cui è stato respinto il suo ricorso diretto avverso il rigetto della sua istanza di reintegrazione nel grado, inoltrata a seguito del sopravvenire della riabilitazione.

Con l’atto di appello, l’interessato ripropone sostanzialmente i medesimi motivi già introdotti in primo grado, relativi alla violazione dell’articolo 7072, n. 4 della legge n. 113/1954, difetto assoluto di motivazione e violazione del diritto all’informazione violazione del principio del "ne bis in idem",contraddittorietà ed illogicità.

Si è costituito in giudizio con memoria il Ministero dell’Economia che: — in punto di fatto, ha ricordato che la condanna dell’odierno appellante era stata cagionata dal riconoscimento giudiziale delle sue responsabilità nei reati di concorso in emissione ed utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, atti contrari dei doveri d’ufficio, corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio; — nel merito del contendere ha contestato le censure dell’appellante, concludendo per il rigetto dell’appello.

L’appellante, con una propria memoria e con ulteriori note di replica, ha sottolineato le proprie argomentazioni.

Chiamata all’udienza pubblica, uditi i patrocinatori delle parti, la causa è stata ritenuta in decisione.

L’appello è infondato.

– 1.Par.. Con il primo motivo si lamenta che il diniego di reintegrazione, sulla base della valutazione negativa della "ottima condotta morale e civile per almeno cinque anni dalla data della rimozione", seppure provvedimento di natura discrezionale, non poteva trovare una fonte esclusiva nelle "informazioni riservate dei carabinieri", perche apodittiche e non controllabili sotto alcun profilo; tale motivazione non farebbe capire perché la condotta morale e civile dell’appellante fosse stata solo "normale", mentre sarebbe stata irreprensibile.

Mentre il principio costituzionale del "giusto processo" di cui all’articolo 111 metterebbe fuori causa l’istituto delle cosiddette "informazioni riservate", la sentenza di primo grado le avrebbe addirittura valorizzate. L’apprezzamento dell’amministrazione, oltreché immotivato e del tutto arbitrario, non avrebbe inoltre consentito al ricorrente l’esercizio del suo diritto di difesa essendo mancata la comunicazione dell’attivazione e dello svolgimento delle varie fasi del procedimento.

Il motivo va respinto.

La ricostruzione logica, giuridica e temporale della vicenda operata dal TAR appare infatti perfettamente condivisibile.

In primo luogo va condivisa la premessa logica per cui l’art. 72 legge 10 aprile 1954 n. 113 prevede un potere ampliamente discrezionale dell’Amministrazione, come è immediatamente evidente dal tenore letterale della detta disposizione ("…può essere reintegrato nel grado..").

Pertanto, come esattamente affermato nel provvedimento impugnato in primo grado, la reintegrazione non consegue automaticamente alla domanda, sussistendo in capo all’Amministrazione un ampio potere di valutazione di merito, sugli aspetti rilevanti sotto il profilo dell’interesse della funzione pubblica istituzionale.

In tale prospettiva, appare corretto il giudizio per cui i comportamenti che avevano dato origine alla condanna, appaiono assolutamente incompatibili, sul piano dell’onore e del senso morale, con lo "status" di un Ufficiale della Guardia di Finanza di elevato grado ed, in assenza di peculiari sopravvenienze, erano altresì tali da far ritenere legittimo il diniego di reintegrazione nel grado ai sensi della L. n. 133/54.

In secondo luogo, sul piano formale, sono poi del tutto irrilevanti o comunque inconferenti rispettivamente:

– il richiamo al principio del giusto processo di cui all’art.111 Cost.: seppure di per sé assolutamente condivisibile in astratto, è comunque del tutto estraneo alla peculiare fattispecie in esame, che attiene all’ambito proprio dell’attività amministrativa, invece informata dai principi dell’imparzialità e del buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione;

– l’enfatizzazione, asseritamente negativa, delle "informazioni riservate": infatti si tratta dei normali rapporti di servizio per l’acquisizione, il controllo e la verifica d’ufficio di tutte le informazioni utili alle verifiche in punto di fatto della situazione, che ponevano le necessarie premesse per una valutazione discrezionale dei diversi profili coinvolti nella istanza;

– l’asserita carenza di motivazione: in caso di provvedimento negativo per la ritenuta mancanza di un requisito, il semplice richiamo alla assenza dello stesso, nella fattispecie considerata, costituisce una motivazione di per sé necessaria e sufficiente.

Quest’ultimo aspetto, tocca la sostanza del contendere.

Deve ricordarsi che l’Amministrazione ha negato la concessione del beneficio della reintegrazione nel grado, in quanto non aveva riscontrato nell’istruttoria la sussistenza dello specifico requisito, della "ottima condotta morale e civile tenuta dall’interessato per almeno cinque anni dalla data della rimozione" che è richiesto dall’art. 72 legge 10 aprile 1954 n. 113.

In sostanza l’"ottima condotta civile e morale" implica che l’interessato abbia tenuto una condotta che si discosti, superandola notevolmente, dalla normale buona condotta (vale a dire l’assenza di condanne penali pregiudizievoli) e cioè abbia dato luogo a comportamenti suscettibili di un peculiare favorevole apprezzamento sul piano etico e su quello dei rapporti sociali (quali ad esempio l’impegno in attività di beneficienza o di assistenza, ecc.).

Del resto, né nella documentazione presentata a supporto dell’istanza, né nel giudizio di prime cure, e neppure in questa sede d’appello, l’interessato ha allegato i particolari meriti civili e sociali in base ai quali egli avrebbe potuto rivendicare il concreto possesso di una "ottima condotta civile e morale" tale da poter aspirare alle reintegrazione.

In sostanza, legittimamente l’amministrazione perviene alla decisione di respingere l’istanza di reintegrazione nel grado quando nemmeno il richiedente ha illustrato sulla base di quali elementi possa essere ritenuta sussistente il requisito dell’"ottima condotta civile e morale".

2. Con il secondo motivo si lamenta che il parere contrario, espresso il 20 marzo 2003 dall’ispettorato per il reclutamento, illegittimamente darebbe rilievo "alla natura dei reati commessi all’epoca dei fatti e all’elevato grado che l’interessato ricopriva", violando l’articolo 70 della L. n. 133/54.

Di qui la pretesa contraddittorietà della sentenza del TAR che, da un lato affermerebbe di condividere il principio per cui è illegittimo il diniego di reintegrazione fondato su precedenti penali militari o su comportamenti antecedenti all’emanazione del decreto di rimozione dal grado (Cons. Stato, Sez. IV°, n. 1260/1977); e dall’altro stabilisce che il diniego possa basarsi su fatti che portano alla loro rimozione violando così il principio del "bis in idem" perché quei fatti sono già stati sanzionati in via penale e con la rimozione dal grado.

L’assunto va respinto.

La valutazione esperibile dall’Amministrazione a fronte di una domanda di reintegrazione proposta da un militare, rimosso dal grado per condanna penale, non può ritenersi confinata al vaglio delle condotte tenute dall’istante nel quinquennio seguente alla disposta rimozione, dovendo essere contestualmente tenute presenti anche la natura e gravità del reato a suo tempo commesso (cfr. Cons.Stato, sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6922).

Ciò per la fondamentale ragione che, com’è noto, la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna relativamente alla recidiva ed alla dichiarazione di abitualità o di professionalità nel reato, ma non cancella la destituzione che è l’effetto di un autonomo e separato procedimento disciplinare e che quindi, come tale, resta estraneo al profilo penalistico.

In tale quadro, anche sul piano della logica e della razionalità, la mancata riabilitazione appare logicamente ineccepibile in relazione alla gravità della condotta posta in essere dall’istante ed alla peculiarità dei comportamenti ascritti al medesimo in sede disciplinare, che ben potevano essere considerati particolarmente lesivi per il prestigio del Corpo e quindi comunque ostativi alla sua reintegrazione.

– 3.Par.. Sulla scorta delle considerazioni che precedono deve essere disatteso anche il terzo motivo con cui si lamenta, infondatamente, l’erroneità della sentenza che non avrebbe considerato che la sua iscrizione all’albo degli avvocati avrebbe automaticamente dimostrato invece la sussistenza dell’ottima condotta morale e civile dell’odierno appellante. Il requisito della "condotta specchiatissima ed illibata" di cui agli articoli 17 e seguenti del RD 27 novembre 1933 n.1578 (convertito in legge 29 gennaio 34 n. 36) sarebbe infatti un’espressione normativa assolutamente equivalente alla "ottima condotta morale e civile" richiesta dall’art. 72 della l. n. 113/1954.

E’ evidente la totale differenza non solo linguistica ma soprattutto ontologica e teleologica tra le due disposizioni.

La "condotta specchiatissima ed illibata" di cui agli articoli 17 e seguenti del RD 27 novembre 1933 n.1578 concerne la valutazione di comportamenti e condotte dell’interessato, anche diverse da quelle aventi rilievo penale od accertate in sede penale, che si pongano in contrasto con la disciplina positiva o con le regole deontologiche dell’avvocato ed, in conseguenza, possono quindi essere idonee ad incidere negativamente sull’affidabilità del professionista in ordine al corretto esercizio dell’attività forense.

Su tutt’altro piano teleologico si pone la nozione di "ottima condotta morale e civile" di cui all’art. 72 della l. n. 113/1954, che, come osservato anche in precedenza, indica un paradigma di comportamento che, in quanto tale, deve essere rivelatore di rinnovate, e spiccate, qualità civili e morali, che sono peculiari degli Ufficiali della Guardia di finanza.

Si deve dunque escludere in maniera assoluta ogni possibile equiparazione sostanziale tra le due nozioni. Il motivo va dunque disatteso.

– 4.Par.: In conclusione l’appello è totalmente infondato e va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

– 1. Respinge l’appello, come in epigrafe proposto.

– 2. Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali del presente grado che sono liquidate in Euro 3.000,00, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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