Cons. Stato Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 2226 opere pubbliche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

lega di Palieri e Paparella, ed Ancora, per delega di Quinto;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il T.A.R. per la Puglia con la sentenza n. 2486/2007 accoglieva il ricorso proposto dal Consorzio CO.GE.AM. (2° classificato) avverso gli atti di gara dell’appalto relativo ai lavori di costruzione del sistema impiantistico complesso costituito da linea di biostabilizzazione e discarica al servizio del bacino FG/3, ed in particolare contro la relativa aggiudicazione a favore dell’ati A.- C..

Il Giudice di primo grado riteneva fondata la censura secondo cui la documentazione prodotta dall’aggiudicataria era inidonea a dimostrare il possesso del requisito relativo al fatturato pregresso per lavori analoghi. Il Tribunale respingeva invece la domanda di risarcimento del danno avanzata dal ricorrente Consorzio.

Avverso la detta sentenza proponeva appello la società A..

Il Consorzio C. (di seguito, semplicemente C., oppure Consorzio), a sua volta, assumendo che dall’esame della motivazione della sentenza non fosse comprensibile se il TAR aveva completamente respinto la sua domanda risarcitoria, o invece inteso solo rinviare la quantificazione del danno al momento del subentro nell’esecuzione dei lavori, proponeva appello incidentale sul punto per erroneità della relativa statuizione in fatto e in diritto, chiedendo l’accoglimento della domanda risarcitoria.

Questa Sezione, con la sentenza non definitiva n. 1589/2009, mentre respingeva l’appello principale siccome infondato, sull’appello incidentale del Consorzio disponeva delle acquisizioni istruttorie. Sulla domanda risarcitoria dell’originaria ricorrente si reputava infatti necessario richiedere all’Azienda speciale A. (titolare dell’intervento, ed interamente posseduta dal Comune di Foggia) una documentata relazione sullo stato di esecuzione dell’appalto da parte dell’aggiudicatario originario e sull’offerta economica presentata in gara dal Consorzio, con le relative giustificazioni con riferimento all’utile effettivo che la concorrente si riprometteva di conseguire con l’aggiudicazione.

Poco dopo, con la successiva decisione n. 6340/2009 la Sezione: da un lato, prendeva atto della mancata esecuzione degli incombenti; dall’altro, disponeva la sospensione del giudizio d’appello ai sensi dell’art. 295 c.p.c., avendo appreso: che il Consorzio non aveva inteso accettare di subentrare nei lavori di completamento, che erano stati affidati quindi dal Comune di Foggia alla ditta terza classificata in graduatoria, previa dichiarazione della decadenza dall’aggiudicazione di C.: che la delibera comunale n. 198/2008, che aveva disposto tutto ciò, era stata impugnata dal Consorzio dinanzi al TAR territoriale.

La Sezione osservava, nell’occasione, che l’accertamento di un eventuale diniego di C. al completamento dei lavori sarebbe valso ad incidere in modo rilevante sulla quantificazione del danno da risarcire allo stesso operatore.

Il T.A.R. respingeva il ricorso di C. contro la delibera di decadenza dall’aggiudicazione; tale sentenza formava allora oggetto di appello da parte della stessa società, ma anche tale gravame veniva respinto (C.d.S., V, n. 8087 del 2010). Il Consorzio proponeva infine ricorso per revocazione contro tale decisione di secondo grado.

Nel dare indi notizia di quest’ultima impugnativa, C. insisteva per l’accoglimento del proprio appello incidentale, con condanna della stazione appaltante al risarcimento dei danni.

La A., dal canto suo, lamentando l’erroneità della sentenza della Sezione n. 1589/2009 nella parte in cui aveva colpito con una statuizione di inammissibilità (per violazione del divieto di iusnovorum in appello) uno dei suoi motivi di appello principale, concludeva per l’accoglimento di tale proprio gravame "per fondatezza del motivo non esaminato nel merito", e per il rigetto dell’avverso appello incidentale.

Alla pubblica udienza del 15 febbraio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

1 La Sezione deve preliminarmente ricordare che l’appello principale di A. è stato già definitivamente respinto (con declaratoria, appunto, di inammissibilità del motivo che si vorrebbe ora oggetto di revisione) con la sentenza n. 1589/2009, che risulta passata in giudicato. Da qui la irricevibilità della richiesta di A., contenuta nelle sue memorie dell’11/6/2009 e dell’8/10/2010, intesa ad ottenere un esame nel merito del suo motivo d’appello che la Sezione ha ormai già dichiarato inammissibile.

2 Rimane invece da statuire sulla domanda risarcitoria azionata dal Consorzio con il suo appello incidentale.

3 A tale riguardo la Sezione, poiché nelle more si è già svolto un doppio grado di giudizio sulla legittimità della decadenza dall’aggiudicazione di C. disposta dalla delibera comunale n. 198/2008, ritiene che non vi siano ragioni per giustificare un prolungamento ulteriore della sospensione del presente giudizio stabilita in precedenza (del resto C., già all’indomani della -pur per sé sfavorevole- sentenza TAR n. 1701/2010, confermativa della decadenza, ebbe ad instare con atto del 28/6/2010 per la trattazione del corrente appello, per essere "venuto meno ilmotivo che ha determinato la sospensione delgiudizio").

La Sezione reputa altresì superfluo insistere sugli adempimenti istruttori a suo tempo disposti ma rimasti inevasi. Questo non perché possano essere tratti argomenti di prova dalla mancata esecuzione degli incombenti, omissione che trova la sua plausibile spiegazione, in verità, nel fatto che il Comune di Foggia dal 2008 era nel frattempo subentrato all’AMICA (il solo soggetto onerato dell’istruttoria disposta nel 2009), soppiantandola nell’esercizio delle competenze in questione, bensì per la ragione che gli atti di causa offrono oggi comunque (anche sui punti oggetto di tali incombenti) elementi sufficienti ai fini della decisione.

4 L’appello incidentale va accolto per quanto di ragione.

5 Si deve convenire con il Consorzio sulla sussistenza di estremi tali da rendere dovuto, quale conseguenza dell’illegittimità accertata nella procedura di gara originariamente aggiudicata ad A., il risarcimento del danno ad esso ricorrente in prime cure.

E’ pacifico che in assenza dell’illegittimità commessa dall’Amministrazione il Consorzio si sarebbe aggiudicato la gara. Non è quindi in discussione la spettanza del bene della vita da identificare nell’aggiudicazione dell’appalto.

Quanto all’estremo della colpa della stazione appaltante, come la giurisprudenza ha in più occasioni sottolineato (cfr. ad es. Sez. VI, sentenze 9 marzo 2007 n. 1114 e 9 giugno 2008 n. 2751), non è richiesto al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione. Questi può limitarsi ad invocare l’illegittimità dell’atto, potendosi ben fare applicazione, al fine della prova della sussistenza dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 del codice civile.

Spetterà a quel punto all’Amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, che è configurabile, in particolare, in caso di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, o di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata (cfr., tra le tante, C.d.S., sez. IV, 12 febbraio 2010, n. 785; V, 20 luglio 2009, n. 4527).

Nel caso di specie, peraltro, nessuno dei predetti fattori giustificativi è dato riscontrare (è appena il caso di osservare, infatti, che l’assenza di colpa dell’Amministrazione nella vicenda del mancato subentro del Consorzio nel contratto nulla potrebbe togliere alla colpevolezza correlata invece all’illegittimità commessa nell’ambito della procedura di gara), né la loro sussistenza è stata motivatamente addotta, non essendo stati dunque allegati elementi tali superare la presunzione di colpa che scaturisce dall’illegittimità.

Deve ritenersi quindi integrata la prova dell’elemento soggettivo.

6 Ritenuta la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito, si tratta a questo punto di quantificare il relativo danno.

7 Con riferimento alle sorti della commessa per cui è causa, negli scritti di C. si assume che al tempo dell’annullamento giurisdizionale i lavori erano stati realizzati per metà. Tale indicazione trova riscontro e parziale rettifica nella nota in data 30/1/2008 del Comune di Foggia al Consorzio che è rinvenibile in atti, dove si legge che al momento della sospensione del 15/11/2007 (poco dopo, cioè, la pubblicazione della sentenza del T.A.R. di annullamento dell’aggiudicazione) i lavori risultavano pervenuti, alla luce degli atti di contabilità, alla percentuale del 43 %.

E’ dunque in tale stato di esecuzione dell’appalto che il Consorzio avrebbe potuto subentrare nel rapporto contrattuale.

7a Esso si è tuttavia sottratto a tale possibilità.

Quanto segue è tratto, infatti, dalla sentenza di questo Consiglio n. 8087 del 2010, che ha respinto l’appello di C. contro la conferma della delibera che l’aveva dichiarato decaduto dall’aggiudicazione: "Stando alla interminabile durata della corrispondenza intercorsa tra le parti, deve ritenersi che, nella specie, il C. non avesse tenuto quella condotta diligente e collaborativa che sarebbe stata necessaria, per la proficua gestione della fase successiva all’annullamento dell’originaria aggiudicazione, tenuto conto del fatto che il subingresso nei lavori già iniziati determina normalmente, di per sé, l’esigenza che la stazione appaltante e l’impresa subentrante cooperino nella ricerca delle giuste condizioni tecniche ed economiche per l’ultimazione ed il buon esito dell’appalto. Il Consorzio non aveva sufficientemente assecondato le esigenze manifestate dal comune di Foggia, che a più riprese aveva messo a disposizione, quantomeno, una bozza di stato di consistenza delle opere esistenti. La decisione di affidare l’appalto alla terza classificata, fondata anche sulle concorrenti ragioni di urgenza, appariva pertanto correttamente motivata, impregiudicata la distinta ed autonoma valutazione della domanda risarcitoria già introdotta dal Consorzio con il primo ricorso (vicenda non ancora conclusa), in relazione alla mancata aggiudicazione per vizi della gara…".

7b Ciò posto, la Sezione non può non confermare quanto già osservato in occasione della pregressa sospensione del presente giudizio, nel senso che il diniego di C. al completamento dei lavori non avrebbe potuto non incidere in modo rilevante sulla quantificazione del danno da risarcire allo stesso operatore.

Invero, i contenuti della delibera comunale n. 198/2008, ed il contenzioso che ne ha confermato la legittimità, hanno fatto emergere un oggettivo concorso da parte del Consorzio nella produzione delle conseguenze dannose per le quali è qui richiesto il risarcimento. Viene allora in rilievo la disciplina posta dell’art. 1227 cod.civ., secondo la quale, in sintesi: se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze; il risarcimento, inoltre, non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

7c Tali previsioni, come è noto, sono richiamate espressamente dall’art. 124 del d.lgs. n. 104/2010 (C.P.A.), che richiede al giudice di valutare ai sensi dell’articolo citato proprio i casi della parte che senza giustificato motivo non si renda disponibile a subentrare nel contratto. E la norma di diritto sostanziale del CPA appena menzionata, essendo priva di una reale portata innovativa, deve ritenersi applicabile anche a vicende verificatesi prima della sua entrata in vigore.

Infatti l’art. 1227 comma 2 c.c., nel porre la condizione della "inevitabilità", ex latere creditoris, con l’uso dell’ordinaria diligenza, non si limita a richiedere al creditore stesso un mero comportamento inerte ed omissivo di fronte all’altrui comportamento dannoso, ovvero il semplice astenersi dall’aggravare con il fatto proprio il pregiudizio già verificatosi, ma, secondo i principi generali di correttezza e buona fede di cui all’art. 1175 c.c., gli impone altresì una condotta attiva o positiva funzionale a limitare le conseguenze dannose del detto comportamento, dovendosi peraltro intendere ricomprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza, all’uopo richiesta, soltanto quelle attività non gravose, non eccezionali, non comportanti rischi notevoli e/o rilevanti sacrifici (Cassazione civile, sez. III, 30 marzo 2005, n. 6735; sez. III, 05 luglio 2007, n. 15231).

Orbene, per un’impresa che, fatte le proprie valutazioni, abbia presentato un’offerta in una procedura di evidenza pubblica, il subentro nel relativo contratto alla concorrente illegittimamente dichiarata aggiudicataria non presenta (attesa anche la specifica professionalità per definizione posseduta dall’operatore) le anzidette caratteristiche di straordinarietà e di esposizione a notevoli rischi/sacrifici, ma integra anzi un evento del tutto coerente con l’offerta a suo tempo presentata, che permette alla prima di conseguire il "bene della vita" sperato.

Da qui la possibilità di ritenere che la previsione della valutabilità del rifiuto di subentro ai sensi dell’art. 1227 cod.civ., come recata dall’art. 124 CPA, non abbia valore innovativo.

7d Tale norma subordina la valutabilità dell’anzidetto rifiuto a carico del suo autore alla condizione che lo stesso rifiuto sia ingiustificato.

Un giustificato motivo per rifiutare il subentro, in presenza di contratti la cui esecuzione sia stata già avviata, può essere ravvisato allorché, alternativamente: -la porzione residua del contratto sia di entità tanto modesta da rendere logicamente e praticamente insensato il subentro stesso: ma quando permanga almeno la metà della commessa, come in questo caso, si può di massima escludere a priori che una tale evenienza ricorra; -sia trascorso un lasso di tempo abnorme; – sia stata analiticamente dimostrata l’impossibilità di ritrarre un qualsiasi utile dal subentro.

Il Consorzio non invoca però alcuna di tali condizioni, né in altro modo dimostra, come sarebbe stato suo onere fare, la sussistenza di un giustificato motivo a base della sua indisponibilità a subentrare nel contratto.

Esso allega l’esistenza di una marcata differenza tra il proprio progetto e quello che era in corso di esecuzione ad opera di A.. Ma un simile assunto viene smentito dalla stessa condotta del Consorzio, che nel ricorrere avverso la decadenza ha sostenuto di non essersi rifiutato di subentrare nei lavori, bensì di esservi stato ostacolato dalla stazione appaltante (cfr. anche le sue note d’udienza del 10/6/2009: "… l’ATI C. ha più volte sollecitato -ben 5 volte- l’affidamento in proprio favore dei lavori, manifestando contestualmente il concreto interesse alla loro esecuzione").

Il Consorzio allega poi che una cosa è realizzare integralmente il proprio progetto, ma altra è subentrare nel progetto altrui una volta che lo stesso sia stato già realizzato al 50 %, e puntualizza che è legittimo avere interesse alla sola prima soluzione, e non anche alla seconda.

A tanto va però obiettato che, ferma la libertà dell’impresa vittoriosa in giudizio di assumere le proprie determinazioni sul piano in esame (non vi è dubbio che la stessa proposizione della domanda di subentro sia in se stessa facoltativa), non può però escludersi una ricaduta delle stesse determinazioni, ai sensi appunto dell’art. 1227 cod.civ., sul terreno del quantum risarcitorio conseguibile dallo stesso operatore.

La quantificazione del danno risarcibile al Consorzio, per quanto equitativa, dovrà dunque tenere in adeguato conto quanto precede sull’applicabilità del citato articolo del codice civile al rifiuto di subentro registrato nel caso concreto.

8 C. ai fini del richiesto risarcimento invoca la liquidazione forfetaria ed automatica del lucro cessante in applicazione del criterio del 10% del prezzo a base d’asta, ai sensi dell’ art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F.

Tale criterio è desunto da disposizioni in tema di lavori pubblici che riguardano, però, altri istituti, come appunto l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’amministrazione committente, o la determinazione del prezzo a base d’asta. Ed il relativo riferimento, pur evocato come criterio residuale in una logica equitativa, conduce tuttavia, almeno di regola, al risultato che il risarcimento dei danni è per l’imprenditore più favorevole dell’impiego del capitale: con il che si crea la distorsione per cui il ricorrente non ha più interesse a provare in modo puntuale il danno subìto quanto al lucro cessante, perché presumibilmente otterrebbe meno di quanto la liquidazione forfetaria gli consentirebbe (CDS, V, n. 2967/2008; VI, 21 maggio 2009 n. 3144).

La tecnica di quantificazione del danno in discorso è stata, pertanto, messa profondamente in discussione dalla più recente giurisprudenza di questo Consiglio (V, n. 2967/2008; VI, n. 3144 del 2009; n. 8646 del 2010).

È stato, invero, osservato che il relativo criterio non può essere oggetto di applicazione automatica e indifferenziata. Viceversa, deve esigersi la prova rigorosa, a carico dell’impresa, della percentuale di utile effettivo che la stessa avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria dell’appalto (Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5098, e 5 aprile 2005, n. 1563; sez. VI, 4 aprile 2003, n. 478).

A conforto di tale indirizzo è poi recentemente giunta l’espressa previsione contenuta nell’art. 124 del Codice del processo amministrativo, a tenore del quale "se il giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente subìto", a condizione, tuttavia, che lo stesso sia stato "provato".

Ora, nel caso di specie nessuna attendibile prova è stata fornita dal Consorzio in merito al proprio possibile utile: né sono stati allegati indici fattuali circostanziati al punto di consentire, in ipotesi, il ricorso a perizie contabili integrative.

Non può, infatti, giovare alla parte l’esibizione dell’offerta economica già presentata al seggio di gara, documento pur ritenuto in passato utile dalla giurisprudenza, stante la mancanza, nello specifico, delle pertinenti giustificazioni preventive di corredo, che non erano richieste dalla lexspecialis: onde dalla produzione dell’offerta non emerge alcuna indicazione dell’utile stimato. E nemmeno può reputarsi sufficiente allo scopo, per il suo taglio sommario, generico ed apodittico, la relazione del progettista depositata in data 4/6/2009 come All. n. 5.

9 E’ poi doveroso ricordare che, sempre secondo la giurisprudenza di questo Consiglio (per tutte C.d.S, VI, n. 7004/2010, dalla quale sono tratti i passaggi seguenti), il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questi dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista dell’aggiudicazione. In difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi, e di qui la decurtazione del risarcimento di una misura per aliunde perceptum vel percipiendum.

D’altra parte, non va dimenticato che, ai sensi dell’art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno. Nelle gare di appalto, l’impresa non aggiudicataria, ancorché proponga ricorso e possa ragionevolmente confidare che riuscirà vittoriosa, non può mai nutrire la matematica certezza che le verrà aggiudicato il contratto, atteso che sono molteplici le possibili sopravvenienze ostative. Pertanto, non costituisce normalmente condotta ragionevole immobilizzare tutti i mezzi d’impresa nelle more del giudizio, nell’attesa dell’aggiudicazione in proprio favore, essendo invece ragionevole che l’impresa si attivi per svolgere altre attività.

La giurisprudenza ritiene, inoltre (cfr. ad es. C.d.S. n. 6485/2010), che l’onere della prova in tema di aliunde perceptum gravi non sull’Amministrazione, ma sull’impresa: ciò per la presunzione che l’imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla quali trae utili.

Da qui la piena ragionevolezza di una detrazione dal risarcimento del mancato utile, affermata dalla giurisprudenza (in particolare, nella misura del 50%), non solo dell’aliunde perceptum, ma anche dell’ aliunde percipiendum con l’originaria diligenza.

Ciò posto, nel caso specifico la parte, al di là della generica affermazione di aver immobilizzato i mezzi d’opera nelle more nel giudizio, non ha fornito di tanto alcuna prova puntuale, non potendo reputarsi tale la (interessata) dichiarazione sostitutiva del 28/5/2009 promanante dal legale rappresentante del Consorzio e relativa ATI, né, soprattutto, ha fornito alcuna giustificazione plausibile della stessa riferita immobilizzazione, alla luce delle eloquenti vicende che hanno attestato, invece, il mancato subentro dello stesso Consorzio nel contratto.

10 In conclusione, alla luce delle risultanze e di tutti gli elementi di valutazione sopra esposti, la Sezione ritiene di quantificare equitativamente la prestazione risarcitoria dovuta all’appellante incidentale nella misura unitaria del tre per cento del valore dell’intera commessa, così come espresso dall’offerta economica di gara del Consorzio, liquidazione inclusiva anche del danno c.d. curricolare.

Trattandosi di debito di valore, all’appellante spetta anche la rivalutazione monetaria dal giorno dell’illegittima aggiudicazione sino alla pubblicazione della presente sentenza, a decorrere dalla quale, in forza della liquidazione giudiziale, il debito di valore si trasforma in debito di valuta. Spettano, inoltre, gli interessi nella misura legale dalla data della stessa pubblicazione fino all’effettivo soddisfo (C.d.S., VI, n. 3144/2009).

11 In forza delle considerazioni che precedono l’appello incidentale va per quanto di ragione accolto, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, l’Amministrazione va condannata a favore del Consorzio al risarcimento del danno, da liquidarsi, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, in applicazione dei criteri sopra esposti.

Le spese dell’intero giudizio di appello, che in occasione della sentenza n. 1589/2009 la Sezione si era riservata al definitivo, vengono liquidate a favore del Consorzio nella misura di euro cinquemila, oltre agli accessori di legge, da porre in parti uguali a carico di A. e dell’Azienda speciale A. – Comune di Foggia.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, accoglie per quanto di ragione l’appello incidentale del Consorzio C.,

e, per l’effetto, in parziale riforma dell’appellata sentenza, condanna l’Azienda speciale A. – Comune di Foggia al risarcimento del danno patito dallo stesso Consorzio, che viene liquidato, con la rivalutazione monetaria e gli interessi legali, nei termini esposti in motivazione.

Le spese dell’intero giudizio di appello vengono liquidate a favore del predetto Consorzio nella misura di euro cinquemila, oltre agli accessori di legge, e poste in parti uguali a carico dell’appellante principale e dell’Azienda speciale A. – Comune di Foggia.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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