Cons. Stato Sez. V, Sent., 11-04-2011, n. 2215 Pubblicità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo

A) – La società originaria ricorrente, che, in veste di concessionaria dell’E.F.D.S., in base alla legge 18 marzo 1959 n. 132, era proprietaria di alcuni impianti pubblicitari ubicati in ambito ferroviario, chiedeva l’annullamento, previa sospensione, dell’ordinanza sindacale recante ingiunzione di rimozione di un impianto pubblicitario ubicato in ambito FF.SS. (Piazzale Porta Maggiore, parete FF.SS.), pena la rimozione d’ufficio ed il sequestro in danno, nonché di ogni altro atto o provvedimento alla stessa preordinato, conseguente o comunque connesso, ivi espressamente inclusi il parere della Commissione affissioni e pubblicità, i "criteri informativi dettati dalla Commissione tecnicoamministrativa, il parere della Commissione consiliare permanente, le disposizioni concernenti la pubblicità ubicata all’interno del centro storico (tutti non noti) e, infine, occorrendo, gli artt. 5, 6, 16, ultimo comma, e 53, primo e secondo comma, del locale regolamento di affissione e pubblicità.

B) – Avverso gli atti impugnati si deducevano censure come di seguito riassumibili:

1) la violazione dell’art. 3, d.P.R. n. 639/1972; degli artt. 5, 6, 16 e 53, regol. pubbl., in relazione alla legge n. 132/1959 ed all’art. 14, comma 4septies, legge n. 488/1986, nonché eccesso di potere per illogicità e difetto di presupposti e di motivazione;

2) l’incompetenza, la violazione dell’art. 823, c.c., e l’eccesso di potere per illogicità, assurdità manifesta e sviamento.

L’amministrazione comunale, costituita in giudizio, insisteva per il rigetto del ricorso.

L’E.F.D.S., costituito in giudizio, aderiva a quest’ultimo, per il quale veniva accolta un’istanza cautelare.

Con apposita ordinanza venivano disposti incombenti istruttori, adempiuti i quali l’originaria ricorrente proponeva i seguenti motivi aggiunti:

3) – eccesso di potere per illogicità, contraddittorietà, difetto assoluto di presupposti e di motivazione, nonché illegittimità derivata, ritenendo di dover contestare la sussistenza di una potestà autorizzatoria comunale nei confronti delle strutture pubblicitarie preesistenti, ricadenti nell’ambito ferroviario, e comunque la sussistenza di un autonomo potere comunale di disposizione della rimozione di detti impianti.

La fattispecie, retta originariamente dall’articolo unico della legge speciale 18 marzo 1959 n. 1 (riservante allo Stato il diritto di esercitare la pubblicità sui beni demaniali e patrimoniali, affidati all’amministrazione delle Ferrovie dello Stato, anche quando la pubblicità stessa fosse visibile o percettibile da aree o strade comunali, provinciali e statali, nonché sui veicoli di proprietà privata circolanti sulle linee), secondo cui l’esercizio della pubblicità nei predetti ambiti avrebbe dovuto esercitarsi da parte delle Ferrovie dello Stato, o direttamente o mediante concessione, non avrebbe potuto ritenersi retroattivamente incisa dalla legge 9 agosto 1986 n. 488, di conversione del decretolegge 1° luglio 1986 n. 418.

Donde l’inapplicabilità al proprio impianto, preesistente, del comma 4septies dell’art. 14 del decreto in questione, che aveva dichiarato l’attività pubblicitaria effettuata nell’ambito delle Ferrovie dello Stato, ai sensi della legge 18 marzo 1959 n. 132, se visibile o percettibile anche da vie o piazze pubbliche, sottoposta anche all’autorizzazione comunale di cui all’art. 28, ultimo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 639, quanto alle affissioni, ovvero all’autorizzazione stabilita dai singoli regolamenti comunali, quanto alla pubblicità.

In ogni caso, poi, la rimozione non avrebbe potuto essere disposta, quale contrarius actus, se non da parte o con il concorso del concedente.

C) – Detta sentenza veniva poi impugnata dal Comune di Roma, soccombente in prima istanza, per nullità della pronuncia per extrapetizione quanto al rilevato vizio di omesso esercizio dei poteri di autotutela comunali, non dedotti dalla originaria ricorrente; violazione del comb. disp. (di carattere interpretativo e retroattivo) di cui all’art. 14septies, legge n. 488/1986, all’art. 28, d.P.R. n. 639/1972, ed all’art. 16, regolamento comunale (delib. G.m. n. 8776/1974, ratif. delib. C.c. n. 3021/1974), in rapporto ad una generica domanda concernente il centro storico e priva della necessaria dichiarazione di pubblicità e della prescritta documentazione, così escludendosi ogni possibile silenzioassenso, in presenza di un persistente potere comunale di preventivo controllo autorizzatorio e senza bisogno di previ pareri di consultivi organi interni, non occorrendo particolari motivazioni per gli atti repressivi di abusi, circa i quali l’interesse pubblico è immanente.

L’impresa appellata si costituiva in giudizio e resisteva al gravame, anche con apposita memoria, in cui ribadiva avere il T.a.r. dichiarato come illegittimamente esercitato il potere comunale di autotutela, in relazione a quanto esplicitamente richiesto dalla parte originaria ricorrente, in presenza di un provvedimento non meramente repressivo ma di espressa manifestazione di potere di autotutela (immanente nell’ordine di produrre la denuncia di cessazione alla scadenza del discusso impianto, sintomatico dell’originaria presenza di un titolo legittimante), con correlativa esigenza di una perspicua motivazione (invece pretermessa), ogni altra doglianza respinta dai primi giudici essendo stata poi abbandonata in sede d’appello, con automatica formazione del c.d. giudicato interno, non più contestabile.

Il comune appellante si costituiva in giudizio pure con un nuovo difensore e, all’esito della pubblica udienza di discussione, la vertenza passava in decisione.
Motivi della decisione

L’appello del Comune di Roma è fondato e va accolto.

I) – I primi giudici ritenevano taluni assunti infondati (il che viene condiviso dal collegio), poiché la contestata potestà autorizzatoria aveva trovato fondamento non nel citato art. 14, comma 4septies, bensì nell’art. 28, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 639, emanato in attuazione della delega per la riforma tributaria, contenuta nella legge 9 ottobre 1971 n. 825, secondo cui le pubbliche affissioni costituivano un servizio di esclusiva competenza comunale, trattandosi di una potestà vòlta a permettere nella materia pubblicitaria una disciplina uniforme per tutto il territorio comunale, non esclusa la pubblicità ferroviaria, esigente sempre un provvedimento autorizzatorio comunale (cfr. C.S., sez. VI, dec. n. 1196/1989).

In proposito, la Corte costituzionale (cfr. sent. n. 131/1985) aveva precisato come la legge n. 132/1959 avesse trovato specifico ed esclusivo fondamento nella necessità di garantire la sicurezza dell’esercizio ferroviario e, attraverso questo, l’incolumità dei soggetti fruenti del servizio stesso, disturbabile da pubblicità che, per la loro forma o per il loro contenuto, avrebbero potuto agevolmente creare intralcio al regolare funzionamento del trasporto ferroviario e, quindi, provocare incidenti e disagi anche di grave rilievo.

Conseguentemente, il profilo dell’interferenza della citata disciplina con le competenze comunali in tema di pubblicità poteva rivelarsi agevolmente risolvibibile in base al citato art. 28, ultimo comma, d.P.R. n. 639/1972, per la necessità del consenso comunale e, dunque, di un competente provvedimento autorizzatorio, anche per l’affissione di mezzi pubblicitari da parte delle FF.SS. o dei suoi concessionari.

II) – Il Tribunale di prima istanza riteneva, invece, fondate le censure di carente motivazione (e su ciò il collegio dissente), dato che il citato 14, comma 4septies, d.l. 1° luglio 1986 n. 418, convertito in legge 9 agosto 1986 n. 488, oltre a dichiarare interpretativamente l’attività pubblicitaria effettuata nell’ambito delle ferrovie dello Stato, ai sensi della legge 18 marzo 1959 n. 132, se visibile o percettibile anche da vie o piazze pubbliche, come sottoposta anche all’autorizzazione comunale di cui all’art. 28, ultimo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 639, quanto alle affissioni, ovvero all’autorizzazione stabilita dai singoli regolamenti comunali, quanto alla pubblicità, avrebbe disposto che l’autorizzazione comunale dovesse intendersi rilasciata, in assenza di contraria motivata comunicazione, da assumersi dal competente comune entro trenta giorni dalla relativa richiesta degli interessati.

La società si sarebbe avvalsa della menzionata disposizione, avanzando al Comune di Roma una richiesta di presa d’atto dell’esistenza degli impianti all’epoca in essere, tra cui quello oggetto del ricorso introduttivo.

A tale istanza l’amministrazione comunale non avrebbe opposto, nel termine previsto dalla legge, una contraria comunicazione.

Il provvedimento di rimozione impugnato sarebbe, quindi, intervenuto quando già doveva ritenersi maturato il silenzioassenso, per l’infruttuoso decorso del termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza dell’interessata società, per cui la sua adozione non avrebbe potuto ascriversi alla potestà repressiva degli abusi, bensì a quella di autotutela, e, quale atto (implicito) di revoca del precedente assenso, esso avrebbe dovuto evidenziare le attuali ragioni di pubblico interesse idonee a supportare il concreto esercizio di siffatto potere, tenuto conto del consolidato affidamento maturatosi nella società sulla legittima esposizione dei suoi impianti pubblicitari.

Il che, peraltro, non sarebbe accaduto, in quanto né il provvedimento comunale stesso né il parere della commissione avrebbe contenuto l’esposizione di siffatte ragioni, limitandosi a disporre la rimozione del discusso impianto, per non meglio individuati motivi di riordino della pubblicità, ricadente nel centro storico, e di salvaguardia e tutela delle bellezze naturali, ambientali ed archeologiche della città.

Di fronte alla sussistenza di una pregressa autorizzazione, ancora in vigore, l’indefettibile illustrazione dei presupposti di fatto e diritto della misura repressiva adottata, nonché delle sottostanti ragioni di interesse pubblico, non avrebbe potuto ritenersi soddisfatta né dal sintetico richiamo alla necessità di riordino della localizzazione degli impianti posti nel centro storico né dalle non meglio precisate esigenze di salvaguardia e tutela delle bellezze cittadine, elementi tutti non idonei a consentire la ricostruzione del percorso logico seguito dal comune.

Quanto, poi, ai criteri di carattere generale pure richiamati, essi sarebbero risultati del tutto privi di collegamento con la fattispecie concreta.

III) – Il ricorso veniva, dunque, accolto per quanto di ragione, assorbendosi ogni altra censura, con una pronuncia che il collegio non condivide, poiché una sentenza pubblicata nell’anno 2005 non poteva prendere in considerazione una domanda presentata solo il 2 ottobre 1986 per una presa d’atto degli impianti installati su aree appartenenti alle Ferrovie dello Stato, con successivo formarsi del discusso silenzioassenso: donde il palese vizio di ultrapetizione, che impone la riforma dell’impugnata decisione, tanto più che la citata richiesta mancava della necessaria dichiarazione di pubblicità e dell’imprescindibile espressione della volontà di ottenere il preventivo rilascio del citato titolo comunale legittimante, come pure dei quattro disegni planimetrici in scala (redatti da un tecnico abilitato), delle fotografie e dei bozzetti illustrativi prescritti, nonché delle misure dell’impianto.

Di conseguenza, la menzionata richiesta in alcun modo poteva ritenersi idonea ad integrare quella necessaria per il formarsi dell’invocato silenzioassenso, in ogni caso normativamente escluso per le zone tinteggiate in grigio scuro, onde evitare all’apparato comunale un incessante quanto inutile burocratico lavorìo quotidiano, di fronte alla protervia di talune inattendibili istanze, relative ad abusi la cui repressione risultava già motivata (oltre che per la menzionata lotta all’abusivismo e la richiamata tutela delle bellezze naturali, ambientali ed archeologiche del centro storico di Roma) per l’assoluto divieto di cui all’art. 53 dell’allora vigente regolamento, che rendeva ultronea qualsiasi altra argomentazione.

IV) – Al che deve solo aggiungersi come la normativa precedentemente rivisitata riveli un indubbio carattere meramente interpretativo della pregressa disciplina, con piena retroattività anche sui rapporti sorti (ivi compresi quelli attinenti alla c.d. pubblicità ferroviaria) anteriormente e non esplicitamente esclusi dalla sua operatività (cfr. Cass. civ., sez. I, sent. n. 6871/1991; Corte cost., sent. n. 131/1985).

D’altra parte, il percorso procedimentale seguito dal Comune di Roma si rivelava indubbiamente aderente al previsto modulo legale, trattandosi di attività vincolata (ordine di rimozione) non necessitante di alcun preventivo controllo di propri organi consultivi interni (comunque, nella specie, anch’essi sentiti a titolo di ulteriore garanzia procedimentale).

Conclusivamente, l’appello del Comune di Roma va accolto, con riforma dell’impugnata sentenza, rigetto del ricorso di prima istanza e salvezza degli atti ivi gravati, a spese ed onorari del doppio grado di giudizio interamente compensati, per giusti motivi, tra le parti in causa, tenuto anche conto del loro comportamento processuale e della natura della vertenza.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione V, accoglie l’appello (ricorso n. 10513/2006) e, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso di prima istanza, con salvezza degli atti ivi impugnati.

Spese ed onorari del doppio grado di giudizio compensati tra le parti in causa.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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