Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 09-03-2011) 13-04-2011, n. 15088 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Le difese di M.F. e A. hanno proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria del 18/12/2008 con la quale è stata confermata la sentenza di primo grado a carico di M.A., e parzialmente riformata quella emessa da carico di M.F..

2. In particolare, con il ricorso proposto nell’interesse di M.A. si lamenta violazione di legge e contraddittorietà della motivazione nella parte in cui, pur dandosi atto della collaborazione offerta, era stata negata l’applicazione delle attenuanti generiche, argomentando che, sia pure in presenza di ulteriori elementi di accusa, costituiti da intercettazioni, in assenza di un’ammissione di responsabilità questi avrebbero potuto essere diversamente interpretati, conducendo ad una assoluzione, come avvenuto per i coimputati.

Si valuta errata la motivazione sulla determinazione della pena, quantificata in misura superiore al minimo, senza adeguata considerazione degli elementi di fatto favorevoli all’imputato, quali la minima entità della sostanza stupefacente trattata ed in assenza di ogni approfondimento sull’elemento psicologico, che poteva consentire la commisurazione della pena al caso concreto.

Si eccepisce inoltre la mancanza di motivazione specifica riguardo i rilievi svolti in appello, che non può considerarsi compiuta ove svolta con il mero richiamo per relationem alla sentenza di primo grado.

3. Con il ricorso proposto nell’interesse di M.F. si eccepisce la nullità della sentenza in quanto priva di motivazione poichè non riferibile a tutti motivi d’appello, avendone ignorati alcuni; in particolare si richiama la deduzione relativa alla valorizzazione, nella conversazione telefonica intercettata, di apprezzamenti sulla difficoltà di far uscire dalla pistola i bossoli, che, secondo i commenti sarebbero stati buoni "anche per una pistola vera", che consente di desumere che tale non fosse l’arma in possesso del ricorrente.

L’interpretazione richiamata non è stata sottoposta ad esame nel provvedimento impugnato, ove è stato ignorato anche il rilievo critico sulla equivocità delle conversazioni, che ben potevano essere intense nel senso che la pistola detenuta non fosse vera, come sembrerebbe confermato dal riferimento alla presenza nell’arma del tappo rosso, ingiustamente svalutato nel provvedimento impugnato; per tali motivi si conclude per l’assenza di un quadro indiziario quale quello richiesto dall’art. 192 c.p.p., comma 2 per pervenire alla condanna.

4. Da ultimo si insiste per l’applicabilità della diminuente della L. n. 865 del 1975, art. 5, richiamando tutti gli elementi di fatto rivelatori di una scarsa potenzialità offensiva dell’arma, esclusa invece senza adeguata motivazione.

Si sollecita conseguentemente l’annullamento della pronuncia.
Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da M.A. è inammissibile per genericità.

Invero nella sentenza impugnata è adeguatamente ed esaustivamente dato conto dei criteri in forza dei quali si ritiene congrua la sanzione inflitta in primo grado, valorizzando elementi sulla gravità della condotta emergenti sia dalla sua oggettività, che dai precedenti a carico del ricorrente, ed operando inoltre una comparazione tra gli elementi negativi e quelli positivi indicati nell’atto di appello dal difensore, dei quali, con motivazione coerente ed esaustiva, si indica la scarsa valenza favorevole, a fronte degli elementi in precedenza esposti.

Non risulta fondata, in fatto ed in diritto, l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado per omessa motivazione su tutte le deduzioni contenute in atto di appello. Quanto al primo profilo deve richiamarsi l’individuazione specifica degli elementi, soggettivi ed oggettivi, che consentivano di valutare corretta la quantificazione della pena operata dal primo giudice, cui la Corte si è rapportata, con motivazione analitica ed esauriente. In ordine all’aspetto giuridico è del tutto pacifico in giurisprudenza (Sez. 6, Sentenza n. 46514 del 23/10/2009, dep. 03/12/2009, imp. Tisci, Rv. 245336) che, essendo la concessione delle attenuanti generiche o la determinazione della pena espressione del potere valutativo discrezionale del giudice, questi sia tenuto a motivare le sue decisioni, ed a tal fine possa fare riferimento, al fine di rendere chiaro il suo iter argomentativo, anche ad uno solo degli elementi personali o del reato che escludono un trattamento sanzionatorio più mite, e non sia invece tenuto a contrastare la singola valenza dimostrativa degli elementi offerti dalla difesa a sostegno delle sue diverse istanze.

In tal senso quindi deve pervenirsi alla conclusione di inammissibilità del ricorso, apparendo completa, e non suscettibile di censura la motivazione resa dal giudice di secondo grado, che si sottrae pertanto ai rilievi svolti nell’atto introduttivo.

Ne deve conseguire la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, determinata come in dispositivo, in applicazione dell’art. 616 c.p.p..

2. Fondato invece risulta il ricorso presentato in favore di M.F..

L’esame della sentenza rivela che si è giunti ad accertare il possesso di un’arma da parte dell’imputato sulla base di una conversazione telefonica dal contenuto piuttosto ambiguo, potendosi trarre da ciascuna delle affermazioni in esse contenute spunti per conclusioni ambivalenti.

Se risulta corretta la premessa attinente l’insussistenza della necessità di riscontri alle evidenze desumibili dal contenuto dell’intercettazione, ove questa si sostanzi in una confessione, come astrattamente avviene nella specie, tuttavia la sentenza non si è adeguatamente confrontata con gli ulteriori rilievi difensivi, relativi all’assenza di univocità delle affermazioni registrate, fornendo giustificazioni di singoli incisi, quali ad esempio il riferimento alla presenza del tappo rosso, non congruenti rispetto alle doglianze.

Ritiene il Collegio che il complesso della conversazione intercettata non permetta di concludere, con la certezza richiesta nel nostro ordinamento per l’affermazione di responsabilità, in merito alla detenzione di arma vera: da un canto il riferimento ai buchi – "sai che buchi"- è l’unico che può richiamare l’esistenza di una pistola vera, ma nel contesto della conversazione questi risultano riferibili anche ad un evento non realizzato, ma potenzialmente realizzabile, utilizzando i medesimi bossoli con armi vere; tutti gli altri richiami, "pare una 347 Magnum", "sai che botti", "ha il coso rosso davanti" sono compatibili con la descrizione di una pistola giocattolo, che può essere anche avere l’apparenza di arma vera, come una Magnum, fare dei colpi molto rumorosi, utilizzando bossoli di arma vera, senza permettere l’espulsione del proiettile, producendo solo rumori, per l’appunto i botti evocati.

Anche gli ulteriori riferimenti contenuti nella conversazione, come il richiamo alle condizioni delle mani dell’interlocutore dopo l’uso, non è univoco, poichè per effetto dei "botti" e quindi del contraccolpo risentito dall’arma, la mano può ugualmente subire delle sollecitazioni, che giustificherebbero i commenti registrati.

Le deduzioni contenute nella sentenza d’appello sulla univocità delle risultanze non sono, per quanto detto, condivisibili per l’impossibilità di unidirezionalità interpretativa delle risultanze dell’intercettazione; per contro, la mancanza di qualsiasi elemento di supporto alle deduzioni logiche che sia possibile trarre dalle conversazioni, non essendo stato svolto un controllo contestuale all’espressione captata, idoneo a fornire un’indicazione sulla natura del bene oggetto della conversazione, impone di giungere all’annullamento della pronuncia, senza rinvio, non essendo ricavabile dagli atti una prova univoca di sussistenza del fatto contestato, stante l’insanabile ambiguità delle risultanze.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M.F. perchè il fatto non sussiste.

Dichiara inammissibile il ricorso di M.A., che condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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