Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 05-07-2011, n. 14656 Giurisdizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Ca.Ma. ed altri dipendenti di Università degli Studi e di Agenzie fiscali, indicati in epigrafe, proponevano ricorso al T.A.R. del Lazio per l’annullamento del silenzio-rifiuto o silenzio- inadempimento formatosi per l’effetto del decorso del termine assegnato a provvedere a mezzo di atto stragiudiziale di significazione e diffida del 27 giugno 2008, nonchè per l’accertamento e la declaratoria dell’interesse legittimo dei ricorrenti a veder adottato a cura delle intimate amministrazioni il decreto di equiparazione con le corrispondenti qualifiche funzionali valevoli per il personale afferente al Comparto Ministeri – "quale atto prodromico" all’istituzione della separata Area della vice dirigenza, così come normativamente previsto con decorrenza economica e giuridica dall’entrata in vigore della legge istitutiva ( L. 15 luglio 2002, n. 145) ovvero – in via gradata – dalla formale sottoscrizione del c.c.n.l. per il comparto Ministeri valevole per il quadriennio 2006-2009.

I ricorrenti, lamentando la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17 bis, comma 1, come introdotto dalla L. 15 luglio del 2002, n. 145, art. 7, comma 3, fondavano la loro pretesa sulla circostanza che l’istituzione di una specifica area per le professionalità più elevate nella pubblica amministrazione sarebbe contemplata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17 bis, introdotto dalla L. n. 145 del 2002, con una disposizione avente efficacia immediatamente precettiva e cogente nei confronti della contrattazione collettiva.

Le Amministrazioni intimate (il Ministero per le riforme e le innovazioni nella Pubblica Amministrazione e Ministero dell’economia e finanze), secondo la prospettazione dei ricorrenti, avrebbero omesso di istituire la separata area della vice dirigenza rimanendo inerti a seguito della notificazione di apposito "atto di significazione e diffida" del 27 giugno 2008 e non adottando – così come previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17 bis, comma 2, – il decreto di equiparazione del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni – diverse da quelle che fanno parte del comparto Ministeri – con le posizioni C2 e C3 di quest’ultimo comparto.

Si costituivano le amministrazioni in epigrafe eccependo l’inammissibilità sotto vari profili (tra cui il difetto di giurisdizione) e, comunque, l’infondatezza del ricorso.

2. Con la sentenza n. 5340 del 6-29 maggio 2009 il T.A.R. del Lazio ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione.

3. Avverso la suddetta sentenza gli originari ricorrenti proponevano appello.

Si costituivano le amministrazioni appellate ribadendo le eccezioni di inammissibilità e di infondatezza del ricorso.

Con la sentenza n. 8928 del 17 novembre-29 dicembre 2009 il Consiglio di Stato confermava la decisione di primo grado precisando che – alla luce della norma interpretativa intervenuta nelle more (L. 4 marzo 2009, n. 159, art. 8) – la disciplina della vice-dirigenza era di esclusiva pertinenza della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento; ciò che confermava il difetto di giurisdizione già dichiarato dal TAR..

4. Avverso questa pronuncia ricorrono per cassazione Ca.

M. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe.

Resistono con controricorso le pubbliche amministrazioni intimate.
Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso i ricorrenti, denunciando la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17 bis, come introdotto dalla L. n. 145 del 2002, art. 3, comma 7, deducono che il legislatore, nell’istituire l’area della vicedirigenza, ha previsto un procedimento bifasico: una prima fase caratterizzata dalla necessità dell’emanazione di provvedimenti di natura amministrativa (decreto di equiparazione e atto di indirizzo) ed una seconda fase demandata alla contrattazione collettiva.

Erroneamente – secondo i ricorrenti – i giudici amministrativi avrebbero svalutato il rilievo della prima fase con la conseguenza di ritenere la giurisdizione del giudice ordinario in ragione della generale previsione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 3. In realtà non sono ravvisabili posizioni di diritto soggettivo; ma la mancata emanazione del provvedimento autoritativo-organizzativo da parte dei Ministeri intimati consente – secondo i ricorrenti – la proposizione del ricorso davanti al giudice amministrativo.

2. Il ricorso è infondato.

3. Deve premettersi che il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 17 bis, introdotto dalla L. 15 luglio 2002, n. 145, art. 7, comma 3, poi novellato dal D.L. 30 giugno 2005, n. 115, art. 14 octies, conv. con mod., in L. 17 agosto 2005, n. 168, ha contemplato l’area della "vice- dirigenza". In particolare ha previsto che la contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplina l’istituzione di un’apposita "separata" area della vicedirigenza nella quale è ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche 8^ e 9^ del precedente ordinamento; previsione questa estesa, nei limiti della compatibilità, al personale dipendente dalle altre amministrazioni soggette alla disciplina dettata dal cit. D.lgs. n. 165 del 2001 con riferimento a posizioni "equivalenti alle posizioni C2 e C3 del comparto Ministeri".

Ha stabilito poi l’art. 11 bis, comma 2, che per questo personale, ove dipendente da amministrazioni centrali statali e non già da regioni o enti locali (per il quale ultimo invece operano i criteri di adeguamento stabiliti dal successivo art. 27) l’equivalenza delle posizioni è definita con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze.

Successivamente per l’interpretazione autentica dell’art. 17 bis è intervenuto la L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 8, che ha previsto che l’art. 17 bis si interpreta nel senso che la vicedirigenza è disciplinata esclusivamente ad opera e nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento, la quale ha facoltà di introdurre una specifica previsione costitutiva al riguardo. Ed ha aggiunto che il personale in possesso dei requisiti previsti dall’art. 17 bis può essere destinatario della disciplina della vicedirigenza soltanto a seguito dell’avvenuta costituzione di quest’ultima da parte della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento.

4. Orbene, l’art. 17-6/5 – nel prefigurare una nuova qualifica dei dipendenti pubblici – quella di "vice dirigente" – ne ha demandato "la disciplina dell’istituzione", e quindi innanzi tutto l’istituzione, alla contrattazione collettiva, in piena sintonia con il riparto delle fonti di disciplina del rapporto quale definito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, che assegna appunto in generale alla contrattazione collettiva la regolamentazione del rapporto lasciando agli atti organizzativi delle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei principi generali fissati da disposizioni di legge, solo la definizione delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza e dei modi di conferimento della titolarità dei medesimi, la determinazione delle dotazioni organiche complessive.

La tecnica normativa esibita dall’art. 17 bis è solo in parte simile a quella della L. n. 190 del 1985 che all’epoca parimenti introdusse, nell’area del lavoro di diritto privato, una nuova qualifica – quella del "quadro" – comparabile a quella della vicedirigenza nel lavoro pubblico contrattualizzato.

Però, mentre la L. n. 190 del 1985, art. 1 definiva, al comma 1, la nuova qualifica dei quadri come costituita dai prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgevano funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa e demandava alla contrattazione collettiva i requisiti di appartenenza, l’art. 17 bis non ha dato una definizione, quand’anche in termini generali, della qualifica, ma si è limitato a prescrivere requisiti minimi di appartenenza, quale limite legale per la futura contrattazione collettiva che tale qualifica abbia a prevedere.

Si tratta quindi, in sostanza, di una disciplina che, nell’immediato, non era autoapplicativa perchè presupponeva la prevista istituzione della categoria da parte della contrattazione collettiva; una disciplina quindi proiettata nel futuro, salvo che per un aspetto:

l’ultimo periodo dell’art. 17 bis ha previsto che i dirigenti possano delegare ai vice dirigenti parte delle competenze dell’art. 17. In questa parte la norma contiene già un nucleo minimale della nuova qualifica; ma, al di là di questa ipotesi, occorre l’istituzione della qualifica da parte della contrattazione collettiva.

Il ruolo determinante della contrattazione collettiva è poi confermato dalla disposizione di interpretazione autentica della L. 4 marzo 2009, n. 159, art. 8, che ha previsto che "il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 17 bis e successive modificazioni, sì interpreta nel senso che la vicedirigenza è disciplinata esclusivamente ad opera e nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento, che ha facoltà di introdurre una specifica previsione costitutiva al riguardo. Il personale in possesso dei requisiti previsti dal predetto articolo può essere destinatario della disciplina della vicedirigenza soltanto a seguito dell’avvenuta costituzione di quest’ultima da parte della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento".

Il carattere "esclusivo" dell’investitura della contrattazione collettiva- quella del comparto di riferimento e non già una contrattazione separata per tale area categoriale -vale a sottolineare come è a quest’ultima che è demandata l’introduzione e la disciplina di questa categoria prossima alla dirigenza.

5. L’art. 17 bis cit. ha poi dettato, nel suo secondo comma, una disposizione speciale per il personale diverso da quello del comparto dei Ministeri.

Per i dipendenti delle altre amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, escluse le Regioni e gli enti locali, l’art. 17 bis prevedeva sì la stessa norma – ossia la prefigurazione dell’istituzione di una nuova categoria di dipendenti (i vice dirigenti) con gli stessi requisiti – ma con una particolarità: in mancanza di posizioni C2 e C3, il requisito di appartenenza alla nuova qualifica era costituito da posizioni "equivalenti".

La nozione di equivalenza ha già di per sè un contenuto normativo di clausola generale, peraltro ben noto proprio in materia di qualifiche; nozione sulla quale spesso è stata chiamata a pronunciarsi la giurisprudenza, in tema, ad es., di mobilità verticale tra qualifiche e mansioni, appunto, "equivalenti" (cfr. ex plurimis Cass., sez. un., 24 novembre 2006, n. 25033).

Non di meno l’art. 17 bis nella sua originaria formulazione conteneva una prescrizione singolare perchè demandava la nozione di equivalenza ad un decreto del Ministro della funzione pubblica.

Apparentemente quindi, a fronte della devoluzione alla contrattazione collettiva della istituzione e della disciplina della nuova qualifica di vice dirigente nel comparto dei Ministeri e delle altre amministrazioni pubbliche suddette, c’era un aspetto molto particolare – l’equivalenza alle posizioni C2 e C3 delle posizioni lavorative delle amministrazioni pubbliche diverse dai ministeri – che sembrava rimesso invece ad una normativa regolamentare, e quindi subprimaria, costituita del decreto ministeriale suddetto, in contraddizione – o comunque non in sintonia – con il riparto di fonti previsto in via generale dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2;

disposizione alla stregua della quale questo aspetto della equivalenza di qualifiche e mansioni non poteva che essere disciplinato dalla contrattazione collettiva.

E’ vero che l’art. 2 suddetto, pur regolamentando le fonti di disciplina del rapporto di lavoro pubblico, rimane comunque una norma primaria priva di rango costituzionale e quindi inidonea a condizionare la legittimità di norme equiordinate successive, quale è l’art. 17 bis che quindi, in deroga all’art. 2, avrebbe potuto restituire all’area della legge ciò che prima apparteneva all’area della contrattazione collettiva. Non di meno esigenze di interpretazione sistematica impongono di leggere l’art. 17 bis in parte qua in termini di conformità – e non già di deroga – all’art. 2 cit.; lettura questa che poi è confermata – anzi prescritta – dalla successiva disposizione di intepretazione autentica (l’art. 8 cit.) che rimette "esclusivamente" alla contrattazione collettiva la disciplina della dirigenza, in ogni suo aspetto, compreso quello dell’equipollenza alle posizioni C2 e C3 delle posizioni lavorative delle amministrazioni pubbliche diverse dai ministeri.

Ed allora l’originaria previsione dell’art. 17 bis, che demandava ad un decreto del Ministro della funzione pubblica la definizione di tale equipollenza non può che essere letta in termini di compatibilità con il sistema delle fonti dell’art. 2: non si tratta di normazione regolamentare subprimaria, ma di una particolare ipotesi di estrinsecazione del potere di indirizzo nei confronti dell’ARAN di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 41. Ossia il legislatore del 2002 ( L. n. 145 del 2002 cit.) ha voluto riservare al Ministro della funzione pubblica il potere di indirizzo all’ARAN quanto a questo specifico aspetto – l’equipollenza alle posizioni C2 e C3 delle posizioni lavorative delle amministrazioni pubbliche diverse dai ministeri – laddove si fosse avviata una trattativa contrattuale per l’istituzione della nuova figura di vice dirigenti.

Il successivo art. 8 – che ha valenza di norma di interpretazione autentica quanto alla conferma del riparto delle fonti e all’assegnazione in via esclusiva alla contrattazione collettiva della disciplina della figura di vice dirigente – ha eliminato – con disposizione che in tale parte è in realtà innovativa – questa particolare modalità di esercizio del potere di indirizzo di cui all’art. 41, riconducendo pertanto tale potere nelle modalità previste in generale dall’art. 41. 6. Ciò che comunque rileva nel presente giudizio è che, a fronte di questo particolare potere di indirizzo originariamente previsto dall’art. 17 bis, non c’era alcuna posizione tutelata – a livello di interesse legittimo, come correttamente ha ritenuto il giudice amministrativo sia in primo grado che in grado d’appello – dei dipendenti pubblici perchè – come tuttora in riferimento al potere di indirizzo di cui all’art. 41 – si tratta di una disciplina tutta interna all’azione della parte pubblica nella formazione della contrattazione collettiva.

Ed infatti l’atto di indirizzo di cui all’art. 41 si inserisce in un rapporto di mandato tra le pubbliche amministrazioni e l’ARAN che le rappresenta nelle trattative contrattuali, rapporto al quale sono estranei non solo le associazioni sindacali dei dipendenti, quali controparti contrattuali, ma anche i dipendenti stessi, i quali tutti non hanno alcuna situazione tutelata per orientare l’attività di indirizzo in un senso piuttosto che in un altro.

Nè l’art. 17 bis cit., sia nell’originaria formulazione che letto alla luce della successiva legge di interpretazione autentica, apporta deroga all’impianto del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 50, istitutivo dell’ARAN, e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 41, che prevede il potere di indirizzo delle pubbliche amministrazioni nei confronti dell’ARAN. Il fatto di investire la contrattazione collettiva del comparto di riferimento per l’istituzione e la disciplina della vice dirigenza non comporta che le procedure contrattuali siano diverse da quelle ordinarie. Nè è possibile assegnare all’art. 17 bis una rilevanza diversa e maggiore nel senso che l’opzione di indirizzo sarebbe sussunta a livello di normazione primaria sicchè le pubbliche amministrazioni – e, in rappresentanza delle stesse, l’ARAN – avrebbero una sorta di vincolo di mandato ad istituire la vice dirigenza. Il dato testuale dell’art. 17 bis non avalla una tale costruzione perchè tale disposizione si limita ad individuare il livello della contrattazione collettiva facoltizzata ad introdurre tale figura professionale escludendo quindi ogni altro diverso livello contrattuale.

Se quindi l’atto di indirizzo vale a regolare i rapporti tra rappresentato (le pubbliche amministrazioni) e rappresentante (l’ARAN), i dipendenti pubblici, che costituiscono la controparte contrattuale rappresentata dalle associazioni sindacali dei lavoratori, sono estranei al rapporto di mandato nella parte pubblica (per un’altra ipotesi di atto di indirizzo ministeriale, qualificato come orientativo di scelte della pubblica amministrazione e non già autoritativo, v. Cass., sez. un., 24 settembre 2010, n. 20164).

Ciò non toglie che situazioni soggettive tutelate possano sorgere già prima della stipulazione del contratto collettivo vuoi per responsabilità precontrattuale, vuoi per condotta antisindacale o discriminatoria; ma atterrebbero non già al rapporto di mandato e all’attività di indirizzo del rappresentato nei confronti del rappresentante, bensì alle relazioni intersoggettive tra le parti in sede di trattative contrattuali.

Comunque anche in tal caso opererebbe la previsione della generale giurisdizione del giudice ordinario in materia di controversie individuali e collettive nel lavoro pubblico contrattualizzato ( D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 63, commi 1 e 3).

7. In conclusione è corretta l’impugnata sentenza del Consiglio di Stato che, escludendo la sussistenza nella specie di posizioni di interesse legittimo dei ricorrenti, dipendenti pubblici contrattualizzati, e non ravvisando alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva, non ha violato le norme sulla giurisdizione, le uniche che consentono il ricorso ex art. 362 c.p.c..

La controversia quindi – attenendo comunque al rapporto di impiego pubblico contrattualizzato – ricade nella generale previsione dell’art. 63, comma 1, che devolve al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’art 1, comma 2, con le eccezioni ivi previste; disposizione questa da leggersi congiuntamente al successivo terzo comma che devolve al giudice ordinario le controversie, promosse da organizzazioni sindacali, dall’ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di contrattazione collettiva di cui agli art. 40 ss. del medesimo decreto legislativo. Sicchè al giudice ordinario sono devolute anche le controversie, promosse dai dipendenti stessi, relative alle medesime procedure di contrattazione collettiva.

8. Il ricorso va quindi rigettato, dovendosi confermare la declaratoria di giurisdizione del giudice ordinario fatta dalla sentenza impugnata e, di conseguenza, affermare ex art. 384 c.p.c., comma 1, il seguente principio di diritto: "Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere la controversia promossa da dipendenti di pubbliche amministrazioni, in regime di lavoro pubblico contrattualizzato, per contrastare l’inerzia di queste ultime nel promuovere – mediante atti di indirizzo all’ARAN o il decreto di equipollenza di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 17 bis – l’introduzione della categoria dei vice dirigenti, la cui istituzione e disciplina è demandata alla contrattazione collettiva nazionale di comparto dal medesimo art. 17 bis, interpretato autenticamente della L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 8, che ha specificato ulteriormente che la vicedirigenza è disciplinata esclusivamente ad opera e nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento".

Sussistono giustificati motivi (in considerazione della novità e problematicità delle questioni dibattute) per compensare tra tutte le parti le spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario innanzi al quale rimette le parti; compensa interamente tra tutte le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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